mercoledì 27 aprile 2016

Il Diritto del Bambino al Rispetto e all’Attenzione ai Suoi Sentimenti Morali: Cineforum – Evento col Film in Esclusiva “Gesti d’Amore”, Coraggioso Esordio di due Artisti ed Attivisti che apre un Tema Tabù: i Minori Perseguitati dai Genitori Perversi sino all’Omicidio Psichico, un Sistema di Odio che le Vittime Interiorizzano e, senza un Angelo Testimone d’Amore, riprodurranno da Adulti


di LELE JANDON


Sono felice di presentare quest’opera prima coraggiosa e commovente, idea originale di due attivisti ed artisti, Luciano Peritore ed Elisabetta Pirro, che hanno realizzato con piccolo budget un prodotto potente per rompere un Tema Tabù: quello delle violenze morali sistematiche contro i minori all’interno delle famiglie perverse.

Un’opera di grande sensibilità e realismo psicologico sotto la supervisione scientifica di Angela Draisci, psicoterapeuta, che dovrebbe essere proiettata e dibattuta nelle scuole. E’ un Tema che incontra così tante minimizzazioni che ho deciso di prepararvi psicologicamente con un raffinato montaggio di scene che ha selezionato per noi il nostro Antonello Ghezzi da cinque film, tutti stranieri perché sinora il cinema italiano non ha affrontato questo problema sociale alla radice di tutte le altre forme di violenze. Dopodiché, ne parliamo con gli Autori e con gli Ospiti: due avvocati dell’Associazione Valeria, che si occupa proprio dei diritti delle persone minorenni, Yela Scardellato e Paolo Pio, il quale insegna anche nelle scuole, e con l’attrice protagonista Dominique Evoli e con una grande amica de “Il Cinema e i Diritti”, Enrichetta Buchli, filosofa e psicanalista.
Enrichetta Buchli


Non esistono solo i maltrattamenti fatti per mezzo delle mani, bensì con vari gesti: gesti di odio. L’odio è anche la mancanza di compassione, ci dice la Bibbia ebraica. Le parole, tanto per cominciare: “Le parole sono pietre”, diceva lo scrittore Carlo Levi.

Mi riferiscono alle svalutazioni, che in certe famiglie apparentemente perbene e tanto carine ed in realtà disfunzionali, sono all’ordine del giorno: le frasi-killer (“sei negato”, “non diventerai mai nessuno”), il sarcasmo (dal greco sarkasmós, che significa ”morso”, parola che a sua volta deriva dal verbo che indica il “lacerare le carni”).


Vogliamo chiamare le cose col loro proprio nome: “persecuzione del bambino”, “mobbing familiare”. Come esiste il mobbing in àmbito lavorativo, così esiste quello da parte di certi genitori contro i figli. Genitori che, anziché svolgere il loro dovere di educatori, sfogano le proprie frustrazioni contro i propri figli, diventandone persecutori.

Tutte queste varie violenze psicologiche sono perpetrate sino all’”omicidio psichico”: erosione dell’empatia, delle capacità logiche (sicché i figli andranno male a scuola, disattenti e depressi) e la perversione di un’eventuale concezione spirituale (questi figli s’immagineranno un divino che, simile ai loro genitori, è ben lungi dall’essere un dio di giustizia ed amore).




Simon Baron-Cohen, Professore di Psicopatologia dello Sviluppo a Cambridge, in Gran Bretagna, nel suo saggio “La Scienza del Male” invoca un’urgente riforma della psichiatria: deve riunire sotto la voce “disturbi dell’empatia” tutti e tre questi tipi che ne hanno un grado zero: i sociopatici, i borderline, e quelli che la vittimologa Marie-France Hirigoyen chiama nel suo libro “Molestie Morali” i “perversi” narcisisti. I sociopatici sono pericolosi perché godono nel commettere azioni tremende ancorché non riconoscibili e punibili sempre dalla legge; i borderline vivono nel terrore dell’abbandono, come Marilyn Monroe che non riuscì ad apprendere l’arte della recitazione né ad instaurare relazioni felici perché non aveva avuto una vera figura genitoriale nella sua infanzia, sballottata da un affido all’altro; i narcisisti patologici sono dei perversi morali e sono loro spesso quelli che fanno mobbing contro mogli, figli e collaboratori.
"Nell'angolo" (1894) del pittore svedese Carl Larsson

Ma perché esiste questa forma di male morale? Alla fine torniamo sempre qui alla radice nel nostro Cinetalk ove parliamo di diritti negati. Non è la povertà né lo stress, dice Alice Miller, una psicanalista di origine ebrea e polacca, naturalizzata svizzera che sin da bambina s’era posta il problema del male morale, e ha dedicato tutta la vita a divulgare la sua geniale teoria che ha incontrato resistenze fra gli ortodossi freudiani. Tesi che riassumo così: “Tutti i genitori maltrattanti sono stati a loro volta dei figli maltrattati”. Ne nasce una spirale di violenza a causa della rimozione: la rabbia contro i genitori viene repressa e finisce nel subconscio, riemergendo attraverso i brutti sogni ed i comportamenti inconsulti. Chi maltratta i figli ne ha giuoco facile giacché il bambino ha assolutamente bisogno di credere che, comunque, il genitore gli voglia bene, tutto sommato, che, se anche lo maltratta, lo fa per tirarlo su bene: il bambino tende a colpevolizzare sé stesso anziché il genitore. Un giorno, si sfogherà contro un capro espiatorio. E negherà anche da adulto, perché non sta bene parlar male della memoria dei propri genitori. Questa rimozione provoca disturbi psicosomatici e depressioni ricorrenti da adulti: la storia è piena di stelle del cinema che, pur avendo ottenuto milioni di dollari e di fans, hanno avuto vite profondamente infelici come Dalida, suicida a 54 anni, o Jean Seberg, suicida a 40, o la stessa Marilyn che tentò almeno 3 volte il suicidio: nessuno diede loro un autentico ascolto attivo, non riconoscendo che all’origine di quest’incapacità di essere felici c’erano i maltrattamenti subìti nelle loro infanzie. Che vergogna, che scandalo, quanta miseria d’immaginazione morale! Quante vite d’artisti spezzate da queste ferite mai sanate nemmeno dai loro analisti, troppo preoccupati di non “colpevolizzare” i genitori e far accettare la psicanalisi dalla società borghese!

Tutti i dittatori (tutti) sono stati bambini maltrattati (il caso più documentato è quello di  Hitler). Tutti coloro i quali hanno tendenze antisociali sono stati figli maltrattati. Naturalmente, non è vero il contrario: perché, vi chiederete, non c’è questo destino ineluttabile? Da cosa dipende? Perché, per fortuna, come abbiamo visto alla mia rassegna “I Nostri Angeli”, che tornerò a settembre all’Institut Français di Milano, nella vita ci càpita d’incontrare persone straordinarie, veri e propri angeli umani i quali sono chiamati da Alice Miller “testimoni soccorrevoli”. Ne basta uno per mutare il corso del destino: una Nonna, un coetaneo, un insegnante. Proprio come gli angeli, che, si sa, nelle tradizioni religiose sono anche messaggeri, anch’essi, i testimoni soccorrevoli, ci recano un fondamentale messaggio: ci testimoniano, col loro ascolto, la loro accoglienza, la loro comprensione, che nella vita esiste anche un qualcosa chiamato amore. Proprio come nel gran finale poetico di “Gesti d’amore”. E proprio com’è successo a François Truffaut, del quale vedremo uno spezzone da “I Quattrocento Colpi” che è la sua storia e del suo amico fraterno Robert Lachenay: come ha testimoniato quest’ultimo, diventato poi suo assistente alla regia, “Se non ci fossimo incontrati, le nostre vite avrebbero preso una cattiva strada”. Sono stati l’uno per l’altro il proprio angelo umano, il proprio testimone soccorrevole.

Poi, da adulti, c’è la psicoterapia “dello smascheramento” la chiama Miller: verbalizzare sia questi maltrattamenti sia la rabbia e l’odio. L’odio è un sentimento Tabù: si sente dire che è sempre velenoso. Ma, pensiamoci bene: non diciamo forse che è odiosa, un’ingiustizia? Non abbiamo forse visto che Mopsa Sternheim, l’artista che imprigionata per la sua Resistenza clandestina antinazista ha curato le donne nel Lager che ho raccontato al Cinetalk sulla Shoah, ha detto che ad averla ispirata è stato l’odio per la perversione del nazismo? La verità è che l’odio è pericoloso solo quando è deviato (anziché contro il male) contro un capro espiatorio. Così è successo con l’Inquisizione, con Milosevic, con Hitler: milioni di tedeschi hanno obbedito volentieri al sistema perverso del nazismo perché sono stati tutti figli maltrattati, educati secondo il sistema maltrattante dell’educazione nazista. Il comandamento che tanto colpevolizza i figli di genitori maltrattanti e che esonera dalle colpe i genitori dice “Onora il padre e la madre”, ma manca in tutte le religioni un comandamento che dica di onorare i figli che oggi ha prodotto la cultura laica: il “diritto del bambino alla felicità” dice la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo del 1959. Dostoevskij, il quale era un credente, ha concluso ne I Fratelli Karamazov che si deve onorare quel padre che si assume la responsabilità del figlio, non a prescindere da ciò: la religione letteralista, che prende cioè alla lettera comandamenti come questo, diviene disumana.

Io credo che noi dobbiamo dare fiducia alla natura umana: questa che vi propongo è una visione non solo filosofica, ma scientifica dell’esistenza, suffragata dai dati che abbiamo oggi. Questa fiducia nella natura umana è stato il fil rouge di tutti i miei Cinetalk.

Aveva fiducia anche Anne Frank, sì, persino lei che aveva testato il terrore del nazismo, dal suo rifugio segreto, ove scrisse: “Nonostante tutto, io continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo”. Era una povera ingenua, questa giovane scrittrice 16enne? Io credo di no, anzi la sua intuizione morale è stata confermata dal grande psicologo di Yale Paul Bloom il cui saggio ho approfonditamente recensito sul mio Blog: nei suoi esperimenti, il Professore mostra come i bambini già di pochi mesi mostrino un’innata tendenza alla collaborazione spontanea, prim’ancora di ricevere un’educazione alla compassione. Non vi pare questa una scoperta straordinaria proprio come la teoria dell’attaccamento di Winnicott? Altro che la dottrina del peccato originale che fa nascere i bambini già colpevoli, la dottrina del Limbo che non manda i bambini in Paradiso, del perverso Agostino, altro che i “figli del diavolo”, come li chiamavano nel Medioevo certi bambini che picchiavano, altro che i bambini perversi di cui parlava Freud! Tutti i bambini nascono innocenti e orientati al bene purché gli si dia amore.

E ha dimostrato una grande fiducia nella natura dei bambini anche quest’Autore che desidero farvi conoscere oggi: Janusz Korczak. Pediatra di formazione, ebreo-polacco (proprio come la Miller), amava così tanto il suo lavoro che decise di non ammogliarsi pur di dedicare tutto il suo tempo ai suoi duecento bambini de “La Casa dell’Orfano” da lui fondata. E ha dimostrato di crederci così tanto che quando i nazisti hanno ordinato di trasferirli tutti nel Ghetto ebraico, ultima tappa prima della spedizione nei campi di concentramento e sterminio, lui decise liberamente di seguirli a morte sicura e morì con loro nel Lager di Treblinka. Una scelta morale eroica come quella del pastore Bonhoeffer, della signorina Etty Hillesum, del dottor Giuseppe Jona.

Ebbene, è stato il suo libro ad ispirarmi il titolo dell’Evento di oggi: “Il Diritto del Bambino al Rispetto, un manifesto di scottante attualità del 1929, pensate! L’errore che si fa, dice Korczak, che viveva nell’orfanotrofio coi suoi bambini, è pensare che in fondo sono solo bambini, che verrà un giorno, quando saranno adulti, in cui li tratteremo come tali: un rinvio ad un domani che  chissà se verrà, senza valorizzare ogni irripetibile momento. I bambini sono già persone e vanno valorizzati in sé, non in funzione di chissà quale domani! Consiglio a tutti gli educatori di leggere queste annotazioni ad esempio nel suo libro “Come amare il bambino”, ove egli mostra una tale attenzione ai sentimenti morali dei suoi bambini che non appena ne arrivavano di nuovi metteva vicini quelli rassomiglianti in maniera tale da studiarne bene le caratteristiche e memorizzarne volti e i nomi con cui li chiamavano le loro madri. Così come il medico fa attenzione ai sintomi vari del corpo, così ogni buon educatore deve fare attenzione a tutte le espressioni dei loro volti: il riso, il pianto, il sorriso, il sospiro. Per questo mi piace la scelta di tecnica registica di Luciano Peritore che in questo suo film fa un primo piano in bianco-e-nero del volto di ciascun bambino dopo il maltrattamento sottolineandone l’espressione di dolore morale: come dire che gli vengono negati i colori della vita familiare.

Mi torna in mente un altro immenso filosofo ebreo, sopravvissuto al Lager, Emmanuel Lévinas, il quale dice che l’etica altro non è che un’ottica, che consiste nel guardarsi in faccia: guardando il volto del nostro prossimo noi ci rammentiamo di quel comandamento inscritto nel nostro cuore che è “Non uccidere l’innocente!” Sì, perché come ho detto, sin da piccolissimi, i bambini possono essere uccisi psichicamente anche da certi sguardi maligni. Mi ha colpito una frase di un lettore della Miller, che le ha scritto: Non ho mai sentito che mia madre mi guardasse veramente.

Lancio un appello: torniamo alle relazioni vis-à-vis, da prima che arrivassero questi mezzi che, se non usati con filosofia, distraggono e distruggono le relazioni umane, spegniamo questi maledetti cellulari e questi televisori all’ora dei pasti con i bambini e quando siamo a tavola con amici! Torniamo a guardarci bene in faccia! Lancio questo messaggio da zio, da educatore, da attivista: prendiamo molto sul serio le emozioni morali dei nostri amici minori, facciamo grande attenzione. Perché l’attenzione, diceva la poetessa Cristina Campo, ispirata da Simone Weil, è la forma più grande di responsabilità perché ogni errore umano è, in essenza, disattenzione.

(questo testo è stato il discorso introduttivo al film)

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Sono varie le categorie di ingiustizie di cui sono vittime le bambine ed i bambini che sono dimenticate: dai media, dallo Stato, dalla pubblica opinione. Per esempio, abbiamo trattato dei milioni di bambini affamati anche come conseguenza dell’irresponsabile industria zootecnica che destina terre che possono essere coltivazioni per sfamare gli umani a luoghi di pascolo per cibo per animali da macello (http://lelejandon.blogspot.it/2016/03/dai-lager-nazisti-alle-industrie.html).

E poi ve ne sono una serie di cui tratteremo nei prossimi Cineforum, a partire dal recente caso di Legnano della 13enne con autismo (peraltro con grande autonomia e che già dorme con altre compagne negli scout) le cui compagne di classe di terza media non volevano assolutamente stare con lei in camera da letto in hotel in gita scolastica (ironicamente, al Lager di Mauthausen, in Austria). La madre ha scoperto la chat privata fra genitori (una nuova moda fra mamme e papà) che l’hanno esclusa e ha deciso di scrivere privatamente agli altri genitori, senza ottenere risposta. Preso atto di ciò, ha deciso di non far partecipare la figlia, senza che la scuola intervenisse per garantire il diritto allo studio. Poi, ha denunziato il caso pubblicamente: ne sono nate manifestazioni di solidarietà in Italia, ma quando è tornata a scuola i compagni e i genitori hanno fatto finta di nulla: nessuno di queste madri e questi padri ha ritenuto giusto chiedere scusa. (Episodi simili sono accaduti a Livorno ed Isernia). Vergognosa l’autodifesa di un’anonima madre di queste ragazzine: “Avevamo paura che durante la notte i nostri figli avrebbero dovuto affrontare situazioni difficili”. Quest’episodio gravissimo mostra che siamo di fronte ad un’emergenza educativa: chiediamoci sin dove porterà questo nuovo stile genitoriale oggi tanto diffuso che ha paura di lasciar fare qualunque esperienza (tutt’altro che da evitare, bensì formativa) per i figli, senza insegnargli il valore della solidarietà. L’Italia è ormai piena di genitori che deprivano i figli persino delle figure dei Nonni, quando questi s’ammalano, perché, poverini, “ne soffrirebbero troppo”: non li portano da loro, non li portano ai funerali, gli nascondono la dimensione della malattia e della morte.

Poi, sono in aumento i bambini rimasti orfani perché vittime collaterali dei femminicidi (secondo Sos Stalking, sono 1626 dal 2000 ad oggi) che vivono uno stress post-traumatico e nella convinzione di non essere amabili, e inclini a criminalità, prostituzione, droghe; poi ci sono quelli che sono intrappolati nelle cosiddette case-famiglia. Il giornale d’inchiesta oline Linkiesta denuncia che in Italia c’è un business di 35 mila bambini “parcheggiati” (in media almeno 3 anni) in case-famiglie (nuovo nome degli orfanotrofi) con costose rette sino a 400 euro di cui non esiste un tariffario comune sicché “ognuno fa ciò che vuole come se si trattasse di un mercato qualunque” (e con spese sino a 150 mila euro l’anno per bambino), un affare così redditizio che spiega l’assurdità delle lentezze burocratiche di concedere le adozioni alle tante famiglie richiedenti: solo mille su diecimila ci riescono, una su dieci ed anziché l’extrema ratio l’abbandono in queste strutture opache diviene la norma (“Orfanotrofi. Umiliati e offesi”: http://www.linkiesta.it/it/article/2016/01/21/orfanotrofi-umiliati-e-offesi/28975/): sono minori “dimenticati dall’opinione pubblica”. “Niente controlli, niente trasparenza” (vedasi questi casi estremi scoperti a Roma di sporcizia e di abusi fisici e sessuali e somministrazione di psicofarmaci: http://m.leggo.it/news/articolo-1631070.html). Ci sono poi milioni di bambine che subiscono le mutilazioni genitali ispirate dalla sessuofobia che rende la religione spietata.

Eppoi ci sono le vittime delle violenze di tipo morale, di cui trattiamo oggi grazie all’ausilio dell’arte cinematografica, da parte dei loro genitori, che anziché proteggerli ed insegnargli la fiducia e l’amore, sfogano su di loro le proprie frustrazioni e li maltrattano così come lo sono stati essi stessi da bambini.

Il film-shock di due attivisti per i diritti dei minori getta un’ombra sulle figure genitoriali tanto sacralizzate da una certa vulgata, mostrando un fenomeno sommerso ed ancora controverso: il mobbing familiare, per il quale ci ricolleghiamo in parte a quanto divulgato al cineforum sul mobbing sul posto di lavoro (http://lelejandon.blogspot.it/2015/04/linvidia-maligna-del-perverso.html). Oggi, domenica 17 aprile 2016, parliamo specificamente del mobbing da parte dei genitori nei confronti dei figli (esiste anche quello nei confronti di un coniuge), auspicando una collaborazione e un’evoluzione culturale verso una società ove i diritti dei bambini siano al centro, con i nostri Ospiti: a cominciare da una grande amica de “Il Cinema  e i Diritti”, Enrichetta Buchli, filosofa e psicanalista (diplomata all’Istituto Jung di Zurigo con studio a Milano), la quale ha avuto ed ha molti e molte pazienti in psicoterapia che hanno vissuto storie di maltrattamenti familiari, nonché docente di Dinamiche Teatrali nelle Relazioni d’Impresa all’Università Cattolica di Milano ove applica l’intuizione psicologica di Shakespeare alla vita di tutti i giorni; da una grande attrice shakespeariana, Dominique Evoli, che insegna recitazione proprio ai bambini ed ai ragazzi giovani non solo nei Teatri ma anche nelle scuole (elementari, medie e superiori); e due avvocati specializzati in diritto minorile e consulenti legali dell’associazione milanese “Valeria” (Viale Majno, 3) che si occupa anche di educazione alla legalità nelle scuole (materia di cui urge l’introduzione, come anche recentemente ha auspicato l’Ocse): Yela Scardellato e Paolo Pio, quest’ultimo anche attore e regista teatrale. Fra l’altro tre dei nostri Ospiti hanno in comune anche la passione per Shakespeare: Peritore, che ha studiato il metodo Stanislavskij II, lo insegna in seminari teatrali, la Evoli lo recita a Teatro come attrice protagonista, e la Buchli ne insegna il valore psicologico mostrandone l’attualità delle dinamiche nel mondo del lavoro attraverso il suo corso in Cattolica.

Violenze morali, le chiama Hirigoyen nel suo grande classico “Molestie morali” (http://lelejandon.blogspot.it/2015_04_01_archive.html). Violenze emozionali, le chiama un’assistente sociale mia amica che ho consultato. In particolare, è mobbing: mobbing familiare. Ne esistono due forme: contro il coniuge e contro i figli. Oggi ci occupiamo della seconda forma, tenendo conto che succede altresì che il coniuge maltrattato “non riuscendo ad esprimersi con il suo aggressore, riversa sui figli tutta l’aggressività che non ha potuto sfogare altrove” e “di fronte alla denigrazione permanente di uno dei genitori da parte dell’altro, ai bambini non resta che la possibilità d’isolarsi. Perderanno così ogni possibilità di individuazione o di pensiero autonomo. Ciascuno di loro porta poi una parte di sofferenza che riprodurrà altrove, se non trova soluzioni in sé stesso” (Hirigoyen, pag. 35).

 “La persecuzione del bambino”, la chiama Alice Miller nell’omonimo libro.

Violenze, appunto, contro le emozioni morali dei bambini, fra cui “la mancanza di cure e il fatto di trascurare il bisogno di contatto e stimolazione caratteristico del primo periodo di vita”, “la mancanza di rispetto, la manipolazione dei sentimenti” (cioè il giocare sul fatto che il bambino non può non amare e credere di essere amato dai genitori, per non morirne), “l’ignorarne sentimenti e bisogni, le percosse, le intimidazioni, il disprezzo, la derisione”, scrive la Miller (“Riprendersi la vita”, Bollati Boringhieri, 2014, prima ediz. it. 2009, pagg. 129 e 137). Ed annoveriamo altresì le frasi-killer (che mortificano la creatività) come quella della madre del film “Gesti d’amore” al figlio (“ammàzzati!”) o ad esempio “sei negato”, “questo regalo ce l’ho già”, le svalutazioni, le umiliazioni pubbliche e private, gli attacchi all’autostima, il fare del sarcasmo, che deriva dal greco sarkasmós, σαρκασμός, che significa “morso” (derivato dal verbo σαρκάζω, "lacerare le carni": il nostro corpo, dice Alice Miller, mantiene una sua memoria somatica di questi maltrattamenti) e che fa non meno male delle botte perché, come diceva lo scrittore ebreo italiano Carlo Levi (1902 – 75), “Le parole sono pietre”. Un esempio da un lettore della Miller: “dire a un bambino che ha fatto venire un’ulcera allo stomaco alla sua educatrice” (pag. 125). Già Korczak scriveva che “si può fustigare l’amor proprio, la sensibilità del bambino, come una volta se ne fustigava il corpo” (“Come amare il bambino”, Luni editrice, Milano 2015, pag. 193).

Quando si può parlare di mobbing familiare, di famiglie perverse? Quando le violenze sono sistematiche.

Dominique Evoli, che insegna recitazione ai bambini, ci lancia un esempio da quello che ha osservato nelle scuole elementari: “Perché mai certe maestre usano d’abitudine un tono di voce gridante contro i bambini? Noi adulti useremmo mai abitualmente un tono del genere così aggressivo?”


Mi viene in mente un esempio da un film recente, “Truth – Il Prezzo della Verità” (U.S.A. 2015), storia vera della reporter Mary Mapes (il Premio Oscar Cate Blanchett), autrice di uno scoop sui favoritismi odiosi ricevuti dal rampollo George W. Bush Jr per fargli saltare il servizio militare: la protagonista, dopo il servizio-bomba che svela l’indegnità del Presidente, subisce l’ennesimo attacco da parte del padre (un rozzo repubblicano ideologico) il quale,  anziché essere orgoglioso del grandioso lavoro svolto e felicitarsi con lei per il coraggio e la ricerca, le fa una “sorpresa” e rilascia un commento in TV definendola in senso spregiativo una "liberal” (in bocca ai reazionari, in America, equivale ad un “comunista” in senso spregiativo). Un suo collega, nel provare a spiegarne la passione, ricorda che da bambina veniva punita se faceva delle domande, e da adulta ha reagito scegliendo di diventare una giornalista d’inchiesta, il cui lavoro, appunto, consiste nel fare una sfilza di domande-chiave.

Korczak aggiunge con acuta sensibilità che:

“Esiste anche un altro modo di punire: un disprezzo costante e un atteggiamento di rassegnazione volto ad umiliare. “Non hai ancora finito di mangiare? Sei ancora una volta l’ultimo? Ti sei dimenticato di nuovo?” (“Come amare il bambino”, Luni editrice, Milano 2015, pag. 195, i corsivi sono miei).

Le Punizioni Sadiche nel Corto-Shock di Peritore e Pirro

Le Violenze di cui i Bambini si vergognano a Parlare
frasi-killer (sarcasmi, svalutazioni), umiliazioni, attacchi all’autostima, punizioni sadiche, abusi di metodi di “correzione”, proiezioni narcisistiche, indifferenza

Nel film d’esordio dei due attivisti ed artisti Luciano Peritore ed Elisabetta Pirro, che oggi alla Casa dei Diritti vediamo in prima visione esclusiva, vi sono quattro scorci di vita familiare di gran realismo ed efficacia per farci comprendere di quale fenomeno parliamo: violenze molto difficili da riconoscere e da denunciare.

In uno scorcio vediamo che ad un padre interessato solo ai messaggini della sua amante segretaria, non riesce di svegliare la figlia, che come tutti noi da bambini s’intrattiene a letto: egli non pensa ad andare a svegliarla dolcemente, ma ha l’idea perversa di prendere una caraffa d’acqua e versarglielo addosso: così impara. Una madre che non riesce neanche a dare un bacio del buongiorno al figlio, gli getta addosso tutte le coperte: bel modo d’iniziare la giornata!
Dominique Evoli e Luciano Peritore


In un altro sketch, una madre (Dominique Evoli) rincasa e trova che la figlia non ha riordinato la stanzetta. Lei le risponde che lo farà subito, ed incomincia a mettere a posto i propri vestìti. La madre è impaziente e non è soddisfatta: allora, la chiude in terrazza fuori al freddo. Insomma, veri e propri abusi di metodi “di correzione”, ma, come nota la grande psicanalista e psicoterapeuta Alice Miller, scomparsa sei anni fa, ciò che viene definito “correzione” può essere qualificato come assassinio, assassinio dell’anima” (“Riprendersi la vita”, Bollati Boringhieri, Milano 2014, prima ediz. It. 2009, pag. 76). Di “omicidio psichico” e “distruzione psicologica” parla anche la psichiatra, psicanalista e psicoterapeuta Marie-France Hirigoyen (http://lelejandon.blogspot.it/2015/04/linvidia-maligna-del-perverso.html): “distruzione morale che può condurre alla malattia mentale o al suicidio” (“Molestie Morali”, pag. XVI, Introduzione).
Elisabetta Pirro


Nella quarta ed ultima scena, vediamo un padre ed una madre litigare fra loro per un debito. Il marito la tratta in malo modo: Ci penseremo. Sfogheranno subito dopo le loro frustrazioni sui due figli. (Ma attenzione: Alice Miller dice espressamente che lo stress o i guai economici non sono la radice delle violenze: si pensi a quelle famiglie povere eppure felici).

La madre per chiamare i figli a tavola grida. Il ragazzino scherza con la sorella a tavola, si tirano dei pezzetti di pane. La madre chiede conto alla figlia delle unghie nere: le odia. Lei risponde, allora la madre fa il verso alla figlia, che replica: “Che cosa devo fare? Stare zitta?”. Il padre è presente fisicamente ma mentalmente assente. Il quale, appena rincasato, anziché chiedere il bilancio della giornata ai due figli, mostra interesse solo a seguire il tg, e quando il figlio tira un pezzetto di pane alla sorella, lui pensa bene di alzarsi e spingergli la testa dentro la minestra davanti a sua madre e sua sorella. (E’ qui che il regista inquadra sotto il tavolo il dettaglio delle due mani dei fratelli che s’intrecciano in una stretta che è un inno alla speranza).

Trovo assai efficace la resa degli elementi abusati che distraggono e distruggono il dialogo (cellulari, televisione): anche la disattenzione è violenza!

Mi piace anche la Sua scelta dell'uso del bianco-e-nero nel momento dell'inquadratura del dolore morale ritratto nel volto di questi ragazzini: rende bene simbolicamente l'idea di come questi siano deprivati dei colori della vita, i colori delle gioie che può donare una sana vita familiare.

“Mi sono ispirata al caso della figlia di miei conoscenti che veniva puntualmente trattata in malo modo”, racconta Elisabetta Pirro, sceneggiatrice dell’illuminante cortometraggio. “Quando mi sono permessa di dire alla madre che non lo ritenevo giusto, lei mi ha totalmente escluso dalla cerchia delle sue frequentazioni: voleva assolutamente che non vedessi sua figlia.”

Il guaio oggigiorno è anche il narcisismo di certe famiglie mononucleari le quali si ritengono autosufficienti ed escludono persino i nonni dall’educazione dei figli quando sono ammalati o morenti: con la scusa che non vogliono far soffrire i figli, deprivandoli così di figure educative ed affettive che sono sempre state importanti. In particolare, delle figure delle Nonne, ho parlato nel cineforum sul film “Un giorno questo dolore ti sarà utile”.

Peritore e Pirro hanno fatto visionare il loro film in anteprima per testare l’effetto e soprattutto gli uomini tendono a minimizzare questa forma di violenze. Analogamente, Paolo Pio, avvocato che si batte per contribuire a sensibilizzare i ragazzini nelle scuole alla cultura della sensibilità, si trova a combattere contro la minimizzazione degli episodi di bullismo: “Faccio loro l’esempio di un compagno che ruba la merenda di un altro, e se la mangia. Questa secondo la legge è una rapina, faccio loro notare. Loro ridono: “Ma è solo uno scherzo!”, replicano. Non è facile educare al rispetto della persona a partire da questi piccoli atti di bullismo.”

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Le Grandiose Intuizioni di ALICE MILLER

“Genitori Sadici furono a loro volta Vittime”

Il Perdono senza il Pentimento del Colpevole nuoce alla Salute Psicofisica, Ricordare ci fa Guarire”

“L’Odio è Pericoloso solo se è Deviato verso Capri Espiatori”
Alice Miller


Ma perché un genitore diviene così “snaturato”, come si diceva un tempo? Perché fa del male alla prima persona cui dovrebbe naturalmente volere il massimo bene? La pioniera psicanalista e psicologa Alice Miller (1923 – 2010), di origine polacca (trasferitasi in Svizzera all’età di ventitré anni), ha formulato una grandiosa teoria alla cui spiegazione e divulgazione ha dedicato tutta la vita, e che riassumiamo in queste battute-chiave:

I genitori sadici non piovono dal cielo; da bambini sono stati trattati in maniera altrettanto sadica” (“Riprendersi la vita”, Bollati Boringhieri, 2014, prima ediz. 2009, pag. 79)

“Non esiste sulla faccia della terra un solo individuo che maltratti i bambini, il quale non sia stato a sua volta maltrattato” (“Riprendersi la vita”, pagg. 157-8)


“I genitori scaricano sui figli la rabbia che sono stati costretti a trattenere e a reprimere verso i loro stessi genitori. Il figlio è stato un semplice catalizzatore di quella rabbia” (“Riprendersi la vita”, cit., pag. 98)

“Non è affatto vero  che le cause che c’inducono a maltrattare e a non amare i figli sono la mancanza di tempo, lo stress e la povertà” (“Riprendersi la vita”, pagg. 139 – 140).

Di conseguenza, dice Marie-France Hirigoyen,

"La violenza perversa nelle famiglie tende a trasmettersi da una generazione all'altra" (“Molestie morali”, pag. 34)

Poi, andando alla radice dei pregiudizi diffusi nella nostra cultura) invita a non prendere alla lettera, da fondamentalisti, il quinto comandamento: “Onora tuo padre e tua madre”. Fu lei per prima, un’analista di origine ebraica e laica, a criticare questo perdonismo, attribuito dai Vangeli canonici all’ebreo Gesù il quale invitava a perdonare addirittura settanta volte sette (metafora dell’infinito, e che spiega anche molto delle storie come quelle del film Premio Oscar “Il Caso Spotlight”) il quale peraltro teneva in grandissima considerazione i bambini ed anzi invitava a diventare come loro. Il perdòno facile abbonato a chi non si pente sinceramente delle proprie violenze è fonte di nevrosi o psicosi:

“Il perdono dei crimini commessi sui bambini non è soltanto inefficace ma anche nocivo: il corpo infatti non capisce i precetti morali, lotta contro ogni negazione delle vere emozioni” (“Riprendersi la vita”, Bollati Boringhieri, Milano 2014, prima ediz. It. 2009, pag. 36)

(Quando ho presentato il film “Philomena”, la mia personale opinione era che non avrei perdonato nei panni della signora Lee quelle suore impenitenti e notato che il perdonismo è la degenerazione della religione, giacché la spiritualità e la vita morale si fondano sulla libertà, non sui dogmi di chi pretende chissà che cosa dalla nostra umanità. La stessa interprete, il Premio Oscar Judi Dench, ha detto che lei non avrebbe perdonato: http://lelejandon.blogspot.it/2015/01/la-sessuofobia-rende-spietata-e.html).


Già lo scrittore russo Dostoevskij (1821 – 81) nel romanzo “I Fratelli Karamazov” dice che un padre dovrebbe essere amato solo se l’è maritato (benché egli stesso sofferse proprio di epilessia in sèguito ai maltrattamenti subiti, leniti dall’affetto della madre).

Miller invita da una parte i figli a chiedere conto ai genitori, e dall’altra i genitori a chiedergli perdono perché

“Sono proprio i maltrattamenti negati a essere riprodotti nella generazione seguente” (pag. 9) +e distruggono “la capacità di empatia ed il pensiero logico” (pag. 108)

Si guarisce prendendo coscienza con la “terapia di smascheramento” (pag. 99):

ricordare” (“in presenza di un testimone empatico”) “i maltrattamenti subìti in passato porta a far scomparire i sintomi patologici” (pag. 9).

“Abbiamo bisogno di un testimone che sia totalmente dalla parte del bambino e non abbia timore di condannare” (pag. 99): ne parla al plurale anche perché lei stessa in prima persona ha subìto questa forma di violenze. Miller dice che “non sono tanto i nostri sentimenti in sé a costituire un pericolo quanto piuttosto il fatto di dissociarli da noi” (pag. 47). L’odio è pericoloso se è deviato verso i “capri espiatori” (pag. 44, ad es. i pedofili ignari che si stanno vendicando di quanto subìto a loro volta da bambini). Se io ignoro il mio odio represso contro genitori che mi hanno negato affetti, soffrirò di un odio latente che magari devio contro categorie di persone, mentre “se invece conoscono molto bene” ciò che ho subìto, “non avrò più bisogno di trasferire il mio odio su altre persone. Col tempo si potrà affievolire, oppure scomparire per poi essere rinfocolato da nuovi avvenimenti o ricordi. Ma ora so di che cosa si tratta, non devo più far del male a qualcuno per sfogare il mio odio” (pag. 44). Addirittura, esiste un odio creativo ed ispiratore (ricordate che al cineforum sull’olocausto vi ho detto che fu l’odio contro i nazisti ad ispirare le azioni di solidarietà di Mopsa Sternheim?): “Se odiamo la falsità, l’ipocrisia e la menzogna, ci riterremo in diritto di combatterle ovunque ci sia possibile e di sottrarci alle persone che si affidano alla menzogna” (pag. 46). Peraltro, “la compassione del bambino non cambierà nulla nella depressione della madre” e “la premessa per una vera compassione verso l’altro è solo provare empatia verso il proprio destino” (pag. 89, cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/11/the-help-lezione-sulla-compassione_14.html). “Molte persone hanno paura di smettere di amare i propri genitori” ma “io non ci vedo una perdita, ma piuttosto un guadagno”: infatti, mentre “l’animo del bambino aveva bisogno dell’amore dei suoi genitori per sopravvivere e aveva necessità d’illudersi”, “l’adulto però può vivere con la sua verità, e il suo corpo gliene è riconoscente” sicché “non solo è possibile, ma in certi casi è assolutamente necessario perdere quest’”amore”” (pagg. 88 – 89).

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La Vittimologa Massima Esperta del Mobbing Familiare

Hirigoyen: “Chiamiamoli col loro Nome: “Perversi Morali” Provocano un Omicidio Psichico”


La vittimologa Marie-France Hirogoyen ha dedicato un saggio, "Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro" (Einaudi, Torino 2000, mia ediz. del 2015, traduzione italiana di Monica Guerra, titolo originale francese "Le harcèlement moral: la violence perverse au quotidien", éditions La Découverte et Syros, Paris 1998) in cui teorizza che certi individui maltrattanti sono dei perversi morali. Anche lei concorda con la Miller che costoro sono stati a loro volta vittime di genitori maltrattanti. La psichiatra tratta anche del mobbing contro le compagne, qui noi oggi ci focalizziamo sul mobbing contro le figlie ed i figli.

"Manipolare i bambini è facilissimo", spiega Hirigoyen, perché "la loro tolleranza non ha limite, sono pronti a perdonare tutto ai loro genitori, ad assumere su di sé la colpa" (si pensi a Michael Hess che immagina di essere stato chissà che cattivo quando gli raccontano la menzogna che la madre l'aveva abbandonato, cfr. il mio saggio sul libro "The Lost Child of Philomena Lee": http://www.lelejandon.blogspot.it/2015/01/la-sessuofobia-rende-spietata-e.html).

Citando Bernard Lempert: “Il disamore è un sistema distruttivo; non si tratta di una semplice mancanza d’amore, ma dell’organizzazione, al posto e in luogo dell’amore, di una violenza costante che il bambino non soltanto subisce ma che, per di più, interiorizza” (Hirigoyen, pag. 42).


Ricorderete quando avevo citato, fra le cause per cui viene inibita la creatività (creando così la nevrosi detta dell'artiste manqué), le "frasi-killer" di certi cattivi maestri che dicono che non sei "portato" per un determinato campo, che "sei-negato" mortificando così la tua creatività (cfr. il mio articolo "Il Coraggio Creativo è la Risposta Radicale alla Noia dei Giovani": http://lelejandon.blogspot.it/2015/03/il-coraggio-creativo-e-la-risposta.html): ecco, queste frasi sprezzanti possono essere pronunziate da un perverso, ed il perverso genitore snaturato dice cose così, trovando pretesti per mortificare suo figlio:



"bistratta il bambino perché è maldestro e non è come si deve; lui diventa sempre più maldestro e sempre più lontano da come il genitore lo vorrebbe. Non lo si svaluta perché è maldestro, è diventato maldestro perché lo si è svalutato. Il genitore che rifiuta cerca e trova inevitabilmente una giustificazione (una pipì a letto, un cattivo voto a scuola) alla violenza che sente dentro, ma a scatenare tale violenza è l'esistenza del bambino, non il suo comportamento" (“Molestie morali”, pag. 42).

Il perverso è invidioso persino di suo figlio:



"Succede anche che un bambino abbia qualcosa in più rispetto a suo padre o a sua madre: è troppo dotato, troppo sensibile, troppo curioso. Si cancella quello che ha di meglio per non vedere le proprie lacune". "Poiché non si può uccidere davvero il bambino fisicamente, si fa in modo che non sia niente, lo si uccide psichicamente. Si può conservare così una buona immagine di sé" (“Molestie Morali”, pag. 45).

"I bambini vittime di aggressioni perverse hanno come unica via d'uscita meccanismi di scissione protettiva e si ritrovano portatori di un nucleo psichico morto. Tutto quanto non è stato metabolizzato durante l'infanzia viene riprodotto in età adulta", "su sé stessi o sugli altri" (“Molestie morali”, pag. 47).

La vittimologia francese cita vari esempi dai casi dei suoi pazienti fra cui il rinfaccio dei sacrifici fatti per i figli o i dolori del parto per giustificare una stanchezza cronica, od ancora il caso di una ragazza che dice al padre d’essere stata violentata e lui, per tutta risposta, le dice: “Faresti meglio a non parlarne a tua madre. Poveretta, questa faccenda le causerà una preoccupazione in più”.

Io ho sentito casi di persone che informando della propria omosessualità i parenti, la risposta è: “E che cosa penserà la gente?” (sic). Un classico esempio di etica eteronoma rispetto ad un’etica autonoma, adulta.

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La Teoria del grande psichiatra Simon Baron-Cohen:

“I Narcisisti hanno Zero Empatia, come i Sociopatici.
Ma non sono abbastanza studiati”


Dunque secondo Hirigoyen gli autori del mobbing familiare sono dei narcisisti. Ebbene, lo psichiatra Simon Baron-Cohen, docente di Psicopatologia dello Sviluppo a Cambridge (Gran Bretagna) nel suo libro "La scienza del male. L'empatia e le origini della crudeltà" (Raffaello Cortina editore, Milano 2012, pag. 38), pone il tipo narcisista (tipo N) assieme al tipo borderline che ha una scissione ove non ha stabilito il suo vero sé ed ha un’estrema paura dell’abbandono e presentano un’amigdala più piccola (come Marilyn Monroe che da bambina, avendo la madre divorziato ed essendo stata ricoverata in ospedale psichiatrico, non ebbe mai una vera figura genitoriale e fu sballottata da un affido all’altro, tentò tre volte il suicidio e morì a 36 anni) ed al tipo psicopatico (sociopatico, vedi mio articolo "Senza pietà. Come riconoscere i sociopatici" http://lelejandon.blogspot.it/2014/02/senza-rimorso-colpa-o-pieta-come.html) nel grado zero-negativo dell'empatia:

"Raggruppo queste categorie di persone indicandole come "zero-negative" perché non hanno nulla di positivo di cui vantarsi"



"Il grado zero dell'empatia può indurre a commettere atti di crudeltà, a essere insensibili verso gli altri (...). Per chi entri nell'orbita di una persona con un'empatia così impoverita esiste il rischio concreto di essere oggetto d'insulti verbali, attacchi fisici, o di vivere uno stato di mancanza di attenzione e di considerazione. In breve, rischia di farsi male" (“La scienza del male”, pag. 38)



Purtroppo, dice Cohen criticando la psichiatria,



"a differenza dei tipi P o B, la ricerca sul tipo N è stata scarsa, una lacuna che dev'essere colmata" (pag. 76). "La psichiatria raggruppa questi tre modi di essere zero-negativi sotto l'etichetta "disturbi della personalità", cosa che ovviamente sono. Ma a mio parere la caratteristica evidente che hanno in comune è il grado zero dell'empatia (pag. 77). "Indipendentemente che il difetto porti al tipo B o al tipo P, sono interessati gli stessi circuiti neurali. Possiamo predire che anomalie simili nel circuito dell'empatia verranno trovate anche per il tipo N, anche se questi studi sono ancora tutti da fare." (“La scienza del male”, pag. 78).

Perciò, come commenta Baron-Cohen, invitando a ripensare la psichiatria,



“stupisce che nel curriculum scolastico o genitoriale l’empatia compaia a stento o non compaia affatto e che in politica o negli affari, nei tribunali o in polizia venga considerata raramente, se non addirittura mai” (pag. 132): “la conclusione più ovvia è che il sistema medico e psichiatrico di classificazione richieda a gran voce una categoria chiamata “Disturbi dell’empatia” (pag. 137).


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Gli Effetti della Rimozione

Quei Suicidi dei VIP del Cinema, Mai Amati da Bambini: Negavano a Sé Stessi i Maltrattamenti Subiti
Dalida

Molti seppelliscono nel subconscio questi maltrattamenti che riemergono sotto forma di disturbi psicosomatici, gastriti, bulimia ed anoressia, insonnia, mal di testa.

Può darsi addirittura il caso che riaffiorino solo nel sogno, anziché nei ricordi (Alice Miller, “Riprendersi la vita”, pag. 133) come nel film “La bestia nel cuore” (Italia 2005) di Cristina Comencini ove la protagonista (il Premio David di Donatello Giovanna Mezzogiorno) rivela al fratello degl’incubi ricorrenti e lui le rivela che sia lui che lei sono stati abusati dal padre.
Jean Seberg


Il guaio è, secondo la convincente teoria psicologica della Miller, che molti hanno delle paure di ammettere a sé stessi e agli altri di aver subìto del male, e tendono a parlare in termini indulgenti e comprensivi nei confronti della memoria dei propri genitori, ammalandosi di depressioni ricorrenti nel corso della vita.

La depressione è la ribellione del corpo: è “come se il corpo protestasse contro questo tradimento nei confronti di sé stessi poiché esso non può vivere senza sentimenti autentici” (“Riprendersi la vita”, pag. 26).

Ecco perché, secondo la sua teoria, persino coloro i quali, come i divi di Hollywood, hanno un enorme successo, sono sofferenti di depressione e non parlano dei traumi dei maltrattamenti subiti dai genitori: “L’idea di non essere stati amati dai propri genitori mi pare risulti insopportabile alla maggior parte delle persone” (pag. 27). Ad esempio, l’attrice Dalida (1933 – 87), suicida a cinquantaquattr’anni, era stata cresciuta dalle suore nei cui collegi all’epoca imperavano i maltrattamenti psicologici, o l’attrice icona della Nouvelle Vague Jean Seberg (1939 – 79), anche lei suicida (a 40 anni), il cui padre non seppe mai congratularsi con lei, e “non appena un uomo si comportava in maniera non distruttiva nei suoi riguardi, lei lo lasciava” (pag. 26) o come si vede nel film “Mammina Cara (U.S.A. 1981) sulla vita del Premio Oscar Joan Crawford (1904 – 77), tratto dal libro della figlia maltrattata e mai aiutata da nessuno. E a proposito di cinema: la Miller cita anche i casi di pseudo-artisti, magari registi di successo, che in realtà non si rendono nemmeno conto di proiettare sul grande schermo i propri fantasmi con film sadici e violenza gratuita (pagg. 14 – 15).

Miller cita la nostra ingenuità ed ignoranza quando visitiamo i castelli fatti costruire da Ludwig II di Baviera (1845 – 86) e dove lui nemmeno mai dimorò: nessuno si pone il problema di quali traumi infantili abbia subìto questo re che non trovò accoglienza presso i genitori che lo consideravano uno sciocco e lasciarono in mano ai domestici. Dal momento che “rispettava i genitori, come si conveniva, non gli era mai consentito di lasciar spazio al sentimento della frustrazione” e ne sofferse anche da adulto.

L’Asimmetria: “Naturale e quotidiano strattonare. Ma quando mai lo faremmo con gli adulti?”

Già l’educatore ebreo polacco Janusz Korczak notava il male del picchiare i bambini, notando come i  “grandi” hanno giuoco facile nel ricorrere subito alla forza: “Se non ascolta, io ho la forza dalla mia parte. (…)” Ma “chi di noi e in quali singolari circostanze s’azzarderebbe a strattonare, spingere o colpire un adulto? Quant’è invece quotidiano e naturale uno sculaccione dato al bambino, una strattonata energica per il braccio. (…) Educhiamo a non rispettare il più debole” (“Il diritto del bambino al rispetto”, edizioni dell’Asino 2011, pag. 26).

E se non tutti coloro i quali sono vittime di tali violenze divengono antisociali, è vero che

“alla radice della tendenza antisociale c’è sempre una deprivazione”

(Donald Winnicott, “La famiglia e lo sviluppo dell’individuo”, Biblioteca della Mente, direttore Vittorino Andreoli, Rizzoli-Corriere della Sera, Milano 2011, pag. 130; prima edizione inglese “The Family and Individual Development” 1965): la Miller dice che tutti i dittatori (nonché i serial-killer) sono stati maltrattati da bambini.

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Ferenczi, Miller ed Hirigoyen Concordi nella Critica a un Certo Vecchio Modo di fare Analisi:

“L’Analista dev’essere Empatico, sennò il Paziente rivive il Gelo del Genitore Maltrattante”
Sandor Ferenczi

Alice Miller ha dato poi un altro grandioso contributo, smontando il dogma di Freud secondo cui l’analista dovrebbe restare neutrale: ella stessa, quando ha provato questa “neutralità”, è rimasta addolorata come i colleghi che avevano fatto la loro analisi didattica (pag. 81). Come ho già ricordato, fu lo  psichiatra (ed anch’egli psicanalista ebreo) ungherese Sándor Ferenczi  (1873 – 1933) il primo a osar smontare questo dogma che Freud aveva inventato per rendere più accettabile la psicanalisi, ed evitare ai genitori di venire rimproverati dai figli per i loro maltrattamenti (Ferenczi, "Confusione delle lingue tra adulti e bambini" apud "Fondamenti di psicanalisi", vol. III, Guaraldi, Rimini 1974; ediz. originale tedesca 1932). L’analista, quindi, dev’essere simpatico, empatico col paziente, altrimenti la vittima rivivrà il gelo subìto dal trauma (http://lelejandon.blogspot.it/2015/04/linvidia-maligna-del-perverso.html).

L’analista deve partecipare attivamente con quella compassione che lo psichiatra di origine ebraica Eugène Minkowski (1885 - 1972) chiamava “simpatia”:



"La simpatia è quel dono meraviglioso che portiamo in noi di far nostre le gioie dei nostri simili, di farcene penetrare interamente, di sentirci in perfetta comunione, di essere un tutt'uno con essi (...) è quanto c'è in noi di più naturale, di più "umano"  (...) la base stessa della vita sentimentale" ("Il Tempo vissuto. Fenomenologia e Psicopatologia", Rizzoli, Milano 2011, pagg. 68 – 69).

La Convenzione Internazionale dei Diritti del Bambino, approvata dall’ONU nel 1989, “considera maltrattamenti psicologici contro i minori:

-          La violenza verbale

-          I comportamenti sadici tesi a sottovalutare

-          Il rifiuto affettivo

-          Le pretese eccessive o sproporzionate rispetto all’età del bambino

-          Le consegne e le ingiunzioni educative contraddittorie o impossibili”.

(da Marie-France Hirigoyen, “Molestie Morali”, pag. 34)

Il Caso delle Madri Pentite, che hanno ceduto alle Pressioni degli Stereotipi:

La Freddezza che Provoca un Attaccamento Insicuro

A proposito dei danni che l’anaffettività provoca ai figli, Enrichetta Buchli ha rilasciato un’intervista-shock al settimanale “F” (pagg. 25 - 26) ove pone il caso di quelle donne che sono diventate madri non per una libera scelta, bensì perché si sono sentite obbligate dal peso di uno stereotipo che gravava su di loro, e così scoprono di essere pentite: “Hanno certamente un attaccamento verso i figli, ma rifiutano la funzione materna” sicché “è importante che riconoscano questa loro difficoltà per evitare che i figli crescano pieni di problemi.” Infatti, “tantissimi disturbi degli adolescenti dipendono da madri che hanno rifiutato i figli anche se li hanno nutriti, li hanno portati a scuola. Il punto è che lo hanno fatto meccanicamente, non c’era empatia. Questo crea un attaccamento insicuro. Da adulti i loro bambini saranno persone che penseranno di non aver diritto di esistere.”

“Le madri oggi- prosegue la psicanalista- non lasciano liberi i figli che sono oggetto del loro narcisismo. Pensi alle mamme apparentemente molto orgogliose dei loro bambini, che li espongono quotidianamente su Facebook. In realtà si tratta di una compensazione. Più c’è rifiuto dei figli e più si cerca di farli diventare degli specchi, prolungamenti di sé stessi, qualcosa da esibire. Ma se voglio bene ai miei figli li proteggo dallo sguardo degli altri, non li mostro su un palcoscenico.” Sorge dunque la domanda: “Una mamma pentita può permettersi di dirlo ai suoi figli?” Risponde la sagace filosofa: “Non in modo diretto. Il pentimento può essere trasformato in un chiedere scusa, nel riconoscere i propri limiti.” E per finire, un’illuminazione dalla Bibbia ebraica: “Quando Dio dice ad Abramo: vattene dal Paese di tuo padre, dà un’indicazione per la crescita spirituale, che è poi ripresa in tutti gli scritti dei grandi saggi. Dire vai, lascia la tua famiglia, rende liberi i figli ma anche i genitori”.

6 Film per Approfondire il Tema

In occasione di quest’Evento pionieristico nel suo genere, il nostro Antonello Ghezzi ha realizzato un raffinato montaggio da vari film stranieri per introdurci al tema ed alimentare il dibattito in Sala.


La Citazione/1: Cenerentola

L’Immaginario Popolare: la Sapienza delle Fiabe

L’Invidia Maligna è Forte ma infine vincono “Gentilezza e Coraggio”


Cenerentola è una fiaba antichissima, che risale al nono secolo a.C. e di cui abbiamo due versioni: una di Perrault ed una dei fratelli Grimm. E’ la fiaba non solo più famosa ma anche la più amata dai bambini. Nella versione di Cenerentola (U.S.A. 2015) di Kenneth Branagh, con protagonista Lily James, la voce fuori campo riassume che “la matrigna e le sorelle incominciarono a maltrattarla e a considerarla, anziché una sorella, una serva, e così finì per occuparsi di tutte le faccende di casa”: come nel mobbing sul luogo di lavoro, viene dunque demansionata, declassata. Una volta che la vedono sporca di cenere in viso per via dei lavori domestici appunto, una delle sorellastre suggerisce il nomignolo di “Cenerentola” con la benedizione della matrigna (il Premio Oscar Cate Blanchett) la quale tenta di demolirla quando la ragazza si ricrea da sé, di propria iniziativa, un bell’abito da sera (appartenuto alla defunta adorata madre) per il ballo indetto dal principe: “Mi dispiace dovertelo dire, ma i gusti di tua madre erano discutibili”. In realtà, è evidente invidia per l’eleganza innata della ragazza, ereditata dalla madre, di contro alla palese volgarità degli abiti delle due figlie (che lei definisce i propri “cavalli in gara”: non pensa alle figlie, ma a sé, è lei colei che infine vuol “vincere” il potere in palio). Poi, chiamandola “una servetta stracciona”, una “lurida servetta senza famiglia”, le strappa l’abito per impedirle di presentarsi al gala.  Quando scopre che il principe cerca lei, “Cenerentola”, le fa un ricatto: sarà lei, la matrigna, la regina de facto asserendo che lei è inadeguata per la sua età: “E tu chi sei? Come pensi di governare un regno?”. A quel punto la fanciulla chiede: “Ma perché? Perché siete così crudele? Non riesco a crederci” (come molte vittime di mobbing). “Sono stata sempre gentile con voi. Anche se nessuno andrebbe trattato come voi avete trattato me. Perché lo fate? Perché?” E la matrigna rivela l’origine della sua Schadenfreude, l’invidia per ciò che non può avere: “Perché? Perché tu sei giovane e innocente e…buona…e io…”, e se ne va chiudendola a chiave nella sua stanza (la soffitta a cui è stata relegata sin da subito dopo la morte del padre). Ex bellissima, due volte vedova, un secondo matrimonio senz’amore, e ora sfoga tutte le sue frustrazioni contro la figliastra. Chesterton (1874 – 1936), che amava le fiabe grazie alla Nonna, scrisse che “le favole non insegnano ai bambini che i mostri esistono: questo lo sanno già. Le favole insegnano ai bambini che i mostri possono essere sconfitti.”  Grazie all'insegnamento della madre, Cenerentola non si snatura, mantiene il suo carattere.  Nella vita reale dei bambini e delle bambine maltrattate, è grazie a quella figura che Alice Miller chiama il “testimone soccorrevole” che s’impara che esiste anche l’amore autentico (come nel film “Gesti d’amore”).

Ed Enrichetta Buchli in Sala ricorda che

“nella versione originale la figura maligna che mobbizzava Cenerentola era la madre, non la matrigna.”

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La Citazione/2: Ken Park

La Bimba Abbandonata davanti alla TV-Babysitter

Il Disgusto di un Padre vs il Figlio perché ha Diversi Gusti:

il Disgusto Fisico Irrazionale mascherato da Disgusto Morale

Ma non esistono solo le “matrigne”, bensì anche i “patrigni”, per usare la metafora delle fiabe. Nel film-shock iperrealista Ken Park(2002), un ragazzino assiste il padre nell’allenamento nel cortile di casa, lo incita motivarlo come fa un buon compagno d’allenamento, gli dà man forte, gli rimette a posto il bilanciere, gli porge l’asciugamano: insomma, fa di tutto per rendersi amabile. Il rozzo padre a questa gentilezza risponde con le sue esigenze, le sue proiezioni, e il suo disgusto fisico che maschera con un disgusto morale per quelle che considera le sue “scelte” (in realtà preferenze naturali). Insiste che provi il sollevamento pesi, dunque che lo imiti, ma il ragazzo non è interessato e gli risponde, con tutto il rispetto, che preferisce lo skateboard al sollevamento pesi:

“Certe volte ti guardo e mi vergogno da morire. Non sai neanche mettere i pantaloni” (il ragazzino li indossa alla moda degli skaters) “Vedere te mi dà il voltastomaco. La mattina mi alzo, ti vedo e so che sarà una brutta giornata perché mi vergogno.”

Insomma, un padre (comportandosi come un “patrigno” per così dire) vomita in faccia al figlio il proprio disgusto per le sue preferenze sportive, insinuando che sia omosessuale (peraltro il figlio non è gay).

Usa un linguaggio da match televisivo (vincere, perdere: infatti, vedremo, segue proprio un genere di programmi-trash ove vince chi strilla più forte e s’impone per mezzo della violenza verbale): “Ti faccio una domanda. Tu ti consideri un vincente?”. Come dire che il figlio è un “perdente”: nel suo sistema di “valori” chi non ha le sue preferenze e il suo modo di fare sarebbe un fallito, uno “sfigato”.

Questo padre che non vuole accettare le preferenze di suo figlio un giorno, mentre lo vede che si esercita goffamente ma con perseveranza nella sua passione alla tavola, in un attacco di disgusto irrazionale, pretestuosamente spacca la tavola con una pedata davanti ai suoi occhi perché “fa rumore e disturba i vicini” ed è “un giocattolo da imbecilli, non è uno sport” (peraltro non lo è, se è per questo, nemmeno il bodybuilding, e il giuoco, che appartiene a tutte le età, come ricorda l’antropologo Ashley Montagu, non dev’essere necessariamente uno sport), “sembri un deficiente”. Il figlio reagisce con rabbia dandogli uno spintone: “Mi hai rotto la tavola!”, protesta. “Stai zitto, non fare la lagna!”, dice il padre usando un linguaggio che riproduce quello dei partecipanti agli show-spazzatura televisivi che segue. Lo colpisce con una sberla, poi un pugno, infine l’avvertimento (in realtà una minaccia): “E se ne vedo uno nuovo, ti spezzo pure quello, non fare lo stronzo con me, perderai sempre”.  Per lui essere padre è proiettare il suo modo d’interpretare secondo uno stupido stereotipo machista l’essere maschio (fare muscoli) ma chi vorrà vedere tutto il film poi a casa propria scoprirà che tipo d’invidia che c’è dietro quest’atteggiamento perverso: lasciamo alla visione del film, che è per un pubblico adulto. Addirittura, in un momento di “dialogo” con la moglie (una che fuma in gravidanza) davanti alla TV in cui guardano programmi-risse ove vince chi urla più forte come nell’antica Sparta medita di cacciarlo di casa (“buttiamolo fuori, sono stufo, non lo sopporto più”) ma lei non pare indignarsi abbastanza prendendo provvedimenti dinanzi alla gravità di questi pensieri di abbandono del minore, limitandosi a dire “non te lo permetterò” e a guardarlo profondamente male. Fa il verso alla compagna: “E’-così- sensibile!” “Sì, dagli una scusa per essere ancora più effeminato!”. (Proprio pochi giorni fa, un papà proprio della California ov’è ambientato Ken Park, ha ammazzato suo figlio perché aveva orrore del suo essere gay; il figlio poco prima aveva postato un video ove il padre lo chiama pervertito e dice che merita la castrazione).  Un procuratore ha raccontato che un ragazzo di Reggio Calabria stava per essere ucciso dal padre ma grazie all’opposizione della madre si è salvato e cita anche un precedente di un padre che ha effettivamente ucciso il figlio perché gay e la cui madre è diventata attivista antimafia in sèguito a questo crimine (http://www.huffingtonpost.it/2015/01/02/boss-ndrangheta-figlio-gay_n_6406384.html). E Silvia Manzani, la giornalista che è stata nostra Ospite a raccontarci le storie delle famiglie con due babbi o due mamme, ha raccontato di un caso-shock di una madre-stalker nei confronti del padre di suo figlio, la quale ha detto a quest'ultimo a mò d'insulto sprezzante riferito ad entrambi: "Diventerai gay come tuo padre" (http://www.romagnamamma.it/2016/03/a-undici-anni-la-mamma-lo-mise-alla-porta-vattene-da-tuo-padre/).

Nello stesso film, una bimba è lasciata in soggiorno dalla madre (che nel frattempo è occupata nell’intrattenere una segreta relazione extraconiugale al piano di sopra col fidanzatino della figlia) davanti ad immagini inappropriate dinanzi alla TV babysitter: torna anche qui la presenza inquietante della televisione come “luogo” ove scaricare i bambini indesiderati.

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La Citazione/3: Violenze a Tavola

La Matriarca che ignora una delle Figlie (e Maltratta Tutti)

La Derisione dei Sentimenti Morali della Nipote Vegetariana: Umiliata per la sua Sensibilità


Nel film I Segreti di Osage County (2013, da una pièce teatrale del Premio Pulitzer Tracy LettsAugust: Osage County”), la figlia del Premio Oscar Julia Roberts (Abigail Breslin), un’adolescente che si trova a disagio nell’ipocrisia del pranzo familiare ove la nonna maltratta tutti eppure pretende la preghiera pre-pasto, è interrogata da un perplesso zio intorno al suo essere vegetariana, e spiega volentieri ai convitati: “Quando ingerisci l’animale ingerisci la paura”, dice spiegando la reazione chimica scatenata dal macello. E a quel punto interviene l’odiosa matriarca (il Premio Oscar Meryl Streep) che chiede: “La cosa? La verdura?”. E lei: “La paura!”. A quel punto quasi tutti scoppiano a ridere senza ritegno, sguaiatamente, senza riguardo al ragionamento morale della ragazzina e ai suoi sentimenti morali. Mentre la madre (la Roberts tace, con un’occhiata di odio verso la madre) solo due dei presenti (Delmot Mulroney e Benedict Cumberbatch), che sono esterni alla famiglia (essendo solo il fidanzato di una delle figlie) prova a prendere le difese della ragazza così umiliata proprio per la sua sensibilità. Mentre lo zio fa la battuta: “Quindi ho mangiato paura tre volte al giorno per sessant’anni” e qui di nuovo tutti ridono, e a questo punto la capofamiglia (la Streep) cambia completamente discorso senza prendere in considerazione l’opinione della nipote che potrebbe invece suscitare un dibattito che la coinvolga appassionatamente (lei sinora isolata dagli stupidi discorsi degli “adulti”): “Non era una pubblicità che diceva: “Dov’è la carne?”, e l’ultima delle figlie (quella ignorata e disprezzata, la bella Juliette Lewis) la corregge ridendo per provare disperatamente a risultare finalmente simpatica per una volta alla madre: “Dov’è il manzo?” ma viene subito zittita dalla matriarca che abbaia: “La carne, dov’è? La carne dov’è?” (lei se la ricorda così, quindi è così, punto e stop: guai a contraddirla!).

Nel corso dello stesso pranzo, c’è un altro episodio di violenza morale: l’indifferenza verso una delle figlie, evidentemente odiata. La Bibbia ebraica ci dice che l’odio è anche la mancanza di compassione, oggi diremmo, nel linguaggio della scienza, di empatia (http://lelejandon.blogspot.it/2014/09/la-via-della-compassione-creativa.html).  La solita protagonista madre di famiglia lancia il tema del mobilio di cui si vuole disfare e lo offre solo a due delle figlie, ignorando l’interessamento da parte della terza (Juliette Lewis) che interviene ogni tanto sommessamente (“è così carino”, “è davvero grazioso”), come al solito bistrattata: il suo commento di apprezzamento della credenza, timido modo per dire che le piacerebbe averlo lei, viene completamente ignorato, come se non esistesse.
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La Citazione/4: The Help

“Sei Tu la mia Vera Mamma!”: è la Tata di Colore a dare Autostima alla Piccola

Nel film “The Help”, che ha inaugurato la mia prima edizione della rassegna “Il Cinema e i Diritti” (http://lelejandon.blogspot.it/2014/11/the-help-lezione-sulla-compassione_14.html, scene-clou su https://www.youtube.com/watch?v=7TBG3_Xls28), e che ho presentato anche nel mio Evento “Parole che Nutrono” ad Expo Milano 2015 (http://lelejandon.blogspot.it/2015/05/speciale-cineforum-in-expo-milano-2015.html, http://lelejandon.blogspot.it/2015/05/my-special-cineforum-in-expo-milan-2015.html, scene-chiave su https://www.youtube.com/watch?v=HW9WvZndkJw) è la tata di colore Aibileen (il Premio Golden Globe Viola Davis), a fare le veci della madre, che è diventata mamma troppo giovane ed è impegnata fra party, parrucchiere e bridge con le amiche.
il Premio Golden Globe Viola Davis

E’ lei che le insegna il toilet training, e le due volte che la bimba informa felice la mamma che ce l’ha fatta a fare la pipì, la madre o la ignora o la sgrida (per averla fatta all’aperto). Inoltre, la madre è anaffettiva, e solo una volta al giorno la prende in braccio (anche quando prende, nella scena finale, in braccio l’altra bambina, è gelida): è proprio questa freddezza, di cui parlava la professoressa Buchli, che rischia di creare un attaccamento insicuro.

Sei tu la mia vera mamma”, le dice la piccola Mae Bo, in uno slancio affettuoso. E’ lei, la domestica nera, che le dà i fondamentali insegnamenti di vita, ripetendole (specie quando viene punita, sculacciata senza riguardo dalla madre) il mantra che le dona autostima e protezione: “Tu sei carina, tu sei brava, tu sei importante”. Eppure, anche per lei vige la segregazione razziale che la considera meno umana dei bianchi.

La stessa tata, alla fine, una volta licenziata pretestuosamente con una falsa accusa architettata dalla migliore amica della madre della piccola, ragiona: “Dio dice che bisogna amare il nostro nemico, ma è difficile”, e dice invece di essere confortata da un’altra frase attribuita all’ebreo Gesù dice che “La verità vi farà liberi” (una frase che l’ebreo Sigmund Freud sottolinea alla base della nuova scienza umana da lui fondata). Anche la psicanalista Alice Miller fa questo tipo di critica alla dottrina cristiana del perdono perché ciò genera una sofferenza psicofisica tale da fare ammalare in maniera inguaribile.

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La Citazione/5: I 400 Colpi

L’Amicizia Fraterna fra Truffaut e Lachenay, Bambini Maltrattati

“Mia Madre non Tollerava Rumori: allora io mi rifugiavo nella Lettura”


Nel premiato film “I Quattrocento Colpi” (“Les Quatre Cents Coups”, Francia 1959), primo lungometraggio del Premio Oscar François Truffaut (1932 – ‘84) che fu fra i fondatori della Nouvelle Vague, il protagonista è un 12enne (Jean-Pierre Léaud, all’epoca già 14enne) la cui madre (il Premio César Claire Maurier) non gli vuole bene e lo maltratta sino a mandarlo (per liberarsi di lui) col pretesto di qualche marachella che in realtà è fatta per attirare inconsciamente l’attenzione degli educatori (furtarello, bugie, assenze da scuola), in un riformatorio ove, nel corso dell’intervista fattagli da uno psichiatra, emergono le vessazioni, ad esempio quando la madre “come punizione” per un suo furtarello vendette il libro che gli era tanto caro perché regalatogli dalla Nonna. “Mi sgridava sempre per niente, per delle sciocchezze” dice il bambino, e “se sono nato lo devo alla Nonna”. (Quando, per giustificare un’assenza da scuola, che aveva marinato con il compagno ed amico, dice al maestro che la madre è morta, questa si presenta a sorpresa in classe e lo umilia picchiandolo davanti a tutti). La scena finale è un fermo-immagine del suo dolore morale quando fugge verso il mare.

La storia è ispirata proprio all’infanzia del regista: la madre si era ritrovata incinta senza volerlo ed essendo cattolica praticante e non potendo abortire, lo fece allevare dalla nonna (che gli trasmetterà anche l’amore per le buone letture), sinché questa morì (ed andò a vivere col nuovo compagno della madre che però fu tale solo legalmente). Come egli stesso ricorderà:

Mia madre non sopportava i rumori e m’impediva di muovermi e di parlare per ore ed ore. Allora io leggevo: era la sola occupazione a cui io potessi dedicarmi senza disturbarla.

Conobbe Robert Lachenay (1930 – 2005), futuro assistente di regia nonché critico cinematografico, che lo comprendeva perché aveva una situazione familiare simile, come testimonia egli stesso nei Cahiérs du Cinéma del 1984 dedicati all’opera dell’amico fraterno:

L’incomprensione che i suoi genitori manifestavano per lui era simile a quella dei miei. Ciascuno di noi non aveva che l’altro a far le veci della famiglia. Se non ci fossimo incontrati e sostenuti a vicenda, certamente ci saremmo avviati entrambi su una brutta strada”

Insomma, Lachenay fu per lui il suo “testimone soccorrevole”, per dirla con Alice Miller. E viceversa, Truffaut lo fu per lui.

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La Citazione/6: L'Ospite d'Inverno 

Il Discorso del Bambino Filosofo: Ricatti Emotivi e Abbandoni

“Perché mai ci mettono al mondo se non ci dedicano un Minimo di Tempo né sono Felici?”


Ne  L’Ospite d’Inverno(“The Winter Guest”, U.S.A – G.B. 1997), il poetico film intreccio di storie di tre generazioni, in una memorabile scena, anche il regista (il Premio Golden Globe Alan Rickman), come Truffaut, ci presenta il punto di vista puro dei bambini (che hanno circa la stessa età del protagonista de “I quattrocento colpi”) in un momento di dialogo fra due amichetti che, anche loro come ne “I Quattrocento Colpi”, marinano la scuola. Due bambini che, nonostante il duro clima familiare, sono capaci di tenerezza, di entusiasmarsi perché la gattina neonata gli lecca la faccia, e capaci d’indignarsi a morte per quei due gattini abbandonati a una morte sicura sulla spiaggia (crimine che fanno solo gli adulti), e che essi tengono con sé per diventarne amorevoli curatori.

Il primo spiega perché gli conviene arrivare a casa ad un orario credibile, anche quando salta la scuola, che per i suoi genitori è un parcheggio ove scaricarlo:

“Non ho mai saltato un giorno di scuola, anche con la polmonite mi ci hanno mandato con gli antibiotici in mano.” Se arriva tardi, ecco subito la madre pronta a rivolgergli dei ricatti emotivi:

“Sei-tutta-la-mia-vita-e-mi-hai-infilato-un-coltello-nel-cuore” (fa il verso della madre) “Ma io non ho mica chiesto di nascere! Ecco a che punto ti fa arrivare: non te l’ho mai chiesto! E allora incomincia a raccontare gli orribili dolori del parto che ha dovuto sopportare per te e quanti punti le hanno messo per richiuderli. Non-l’hai-chiesto?!-Hai-ragione-tu-non-hai-chiesto-di-nascere-Non-l’hai-chiesto: l’hai-preteso!” (di nuovo, scimmiotta la madre ricattatrice).

E dunque, ond’evitare queste sceneggiate con simili ricatti emotivi, lui arriva a casa puntuale.

L’altro bambino ha anche lui di che lamentarsi dei propri genitori: coglie la contraddizione fra il mettere al mondo i figli salvo ben presto abbandonarli in giro e non coltivare del tempo per loro: giocare con loro, dialogare con loro, persino crescere con loro. Non gli riesce di comprendere la ragione di mettere al mondo figli, dato che non si dedica loro tempo adeguato. Ecco il suo lucido ragionamento:

“E’ un mistero del cazzo questo cazzo di vita: non sei ancora nato che già ti buttano fuori di casa: asilo nido, scuola materna…per quale cazzo di motivo? Loro lavorano e tu studi. E non sono mai felici. Non li ho mai visti felici. Poi il college, l’università e il lavoro, il lavoro…: ma perché ci mettono al mondo? Tanto non stanno mai con noi. Su-avanti-ubbidisci!-Non-posso-stare-con-te-devo-lavorare. Io sono disperato: cazzo, lasciatemi vivere!”

Poi (proprio lui, così sensibile ed intraprendente) non riesce ad immaginarsi un futuro creativo per evidente effetto delle frasi-killer tutt’altro che incoraggianti degli “educatori”:

“Io finirò per fare il garzone da Safeway” (la catena di supermarket inglese, ndr) “Me l’ha detto il professor Crockett e l’ha detto a mamma: Mi-hai-molto-deluso” (fa il verso alla madre) “Era così incazzata ed ora prendo ripetizioni da uno che ha le chiavi di casa: ha le chiavi di casa mia!!!”

Insomma, non solo si ritrova a dover subire la violenza di trovarsi un estraneo in casa, ma non ha nemmeno alcuno spazio nell’arco della sua giornata “lavorativa” per il giuoco, lo svago, il rapporto d’intimità con i genitori. Facendo i conti, definisce una “tortura” questo regime  familiare:

“Scuola dalle 9 alle 4, ripetizioni fino alle 6, còmpiti fino alle 9, e poi a letto. 9 e 4, 4 e 6, e poi a dormire…Ma che cazzo vogliono? Mia madre mi tortura e io devo dirle grazie, sennò si mette a piangere. Io non lo so, non lo so…”

Anche oggigiorno ci sono genitori che riempiono le “agende” (!) dei figli con sport, corsi di varie attività integrative che la scuola conservatrice non insegna, per colmare il vuoto non già e non solo d’istruzione delle scuole ma anche d’affetto e di tempo per i propri figli, sicché i bambini non hanno di fatto del tempo spensierato: sono bambini deprivati del tempo libero. A proposito del tempo libero, mi viene in mente un’osservazione di Korczak che cita come negativo anche quando il genitore “impone” al bambino di giocare senza chiedergli se ne ha voglia:

“I genitori intelligenti provano una spiacevole sensazione quando ordinano: “Gioca” e con dolore ascoltano la risposta: “Sempre e soltanto giocare e giocare”, “Come amare il bambino”, pag. 103).

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Lo Scrittore Svedese della Prima Metà del Novecento

“Non rinunziare alla propria Creatività: non sfogare la propria Frustrazione sui Figli”


Eppoi vorrei annoverare altresì un errore opposto: il genitore stesso che rinunzia al proprio tempo per sé, per la propria creatività. All’origine dello sfogo di frustrazioni contro i figli c’è stata una rinunzia al proprio spirito creativo. Lo scrittore svedese Stig Dagerman (1923 – 54) anche lui come Korczak della prima metà del Novecento e come lui poco noto in Italia, parla poi della violenza morale di rinfacciare ai bambini delle proprie rinunzie, attraverso una “parabola” che parla di un padre che suonava il contrabbasso ed aveva la stoffa per diventare un eccellente suonatore sinché un giorno gli nasce un bambino. E poiché al bambino pareva non piacere lo strumento (dato che piangeva sempre), il padre smise di suonare (anche se il bambino seguitò a piangere) e stava sempre col suo figlioletto: “Il piccolo viene prima di tutto”. “Si vergognava di fronte a suo figlio, gli sembrava che il contrabbasso si frapponesse tra loro come un rivale.” Sinché dopo un incubo una notte “ammazza” a colpi d’ascia il contrabbasso.

Perché è stato ucciso il contrabbasso? Per amore, viene facilmente da dire se si guarda a tutta la faccenda dal punto di vista dell’idillio, del quadretto natalizio”: “il giovane padre che cerca di nascondersi il volto nel travestimento di Babbo Natale”. “E’ realmente necessario assassinarlo? Non è che è sia sempre necessario scegliere, checché ne dicano gli esistenzialisti. Anzi, ci sono casi in cui scegliere è pericoloso, perché le cose tra cui dovremmo scegliere, ben lungi dall’essere opposte tra loro, col tempo in realtà si completano. Chi crede che si debba scegliere tra il bambino e il contrabbasso un giorno se ne pentirà. Quanti poveri bambini, mezzo ammazzati dall’amore, sono stati coccolati con tanta di quell’amarezza da rimanerne emotivamente danneggiati per il resto della vita? Quanti assassini di contrabbassi hanno amorevolmente sussurrato all’orecchio dei loro figli: “Pensa cosa sarei diventato se non fossi nato tu. Non hai idea di quanto ero bravo a suonare il contrabbasso prima che tu nascessi. Ma poi sei nato. E naturalmente tu eri più importante, bambino mio”. E allora bisogna cercare “l’arte di trovare un equilibrio”: “quello che deve fare il contrabbassista non è, naturalmente, assassinare il suo strumento, ma farlo conoscere ai suoi figli, introdurre a poco a poco i bambini nel suo mondo” (Perché uccidere il contrabbasso?, in “Perché i bambini devono ubbidire?”, Iperborea, Milano 2013, pagg. 43 - 48).
"Il bambino cattivo" di Pupi Avati

Ci sono poi padri come quello (interpretato dal Premio David di Donatello Luigi Lo Cascio) del film-TV “Il bambino cattivo” (Italia 2013 del Premio David di Donatello Pupi Avati), che, separatosi dalla moglie, ammalata di “psicosi alcolica”, ora è realmente interessato solo a (com) piacere (al)la nuova compagnuccia, che gli suggerisce di abbandonare il minore: così il giudice dichiara lo “stato di abbandono” (!) e il bambino finisce in una casa-famiglia, in attesa che una coppia lo adotti. Quell’orribile uomo non si rende conto delle violenze che fa al figlio quando, ad esempio, con la madre del bambino che si trova sofferente psichica in ospedale, lo obbliga con un ricatto ad una cenetta romantica con la nuova fiamma per fare bella figura con lei, senza curarsi dei suoi sentimenti morali. Così come altrettanto violento è il padre del protagonista del film “Né Giulietta né Romeo” di Veronica Pivetti (che ho presentato in Sala Alessi a Palazzo Marino con Ospite la regista) che vuole psicanalizzare egli stesso suo figlio per il suo orientamento sessuale e sottoporlo ad una sorta di terapia riparativa dell’omosessualità.

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La Fiducia nella Natura Buona Originaria

Alice Miller: “i Tedeschi seguirono Hitler perché Maltrattati dall’Educazione Nazista”


Ad ispirarmi il titolo che ho voluto dare all’Evento di oggi è stato un libro del pediatra ebreo polacco Janusz Korczak, “Il diritto del bambino al rispetto” del 1929 (che, come scrive Giuliana Limiti nella sua introduzione a “Come amare il bambino”, opera del 1918, “è il manifesto di una rivoluzione che si compirà, il riscatto dei diritti del bambino contro la moltitudine degli obblighi che, per pregiudizio o ignoranza o comodità personale, gl’infliggiamo, derubandolo di tempo di vita realizzato nel possesso della sua vitalità, in nome di un domani che non capisce”, pag. 10). La sua  figura e la sua storia mi hanno molto commosso. Figlio di una famiglia ebrea progressista, pediatra, educatore, scrittore e drammaturgo, era stato anche alla guerra durante il conflitto contro il Giappone nel 1905. Egli amava così tanto i bambini che fece due scelte:

-          la prima fu di non ammogliarsi, ond’evitare qualunque rischio che la follia del padre (morto suicida) potesse trasmettersi per una componente genetica ai suoi eventuali figli, ed al fine di potersi dedicare completamente ai suoi bambini della Casa dell’Orfano da lui fondata (Lettera a M. Zybertal, 30.3.1937) senza ricevere compenso ma anzi dando piccole remunerazioni ai bambini per i lavori svolti a rotazione;

-          la seconda fu quella di rimanere in Polonia durante la guerra e la Shoah per condividere il destino dei suoi, proprio come fece il pastore luterano Dietrich Bonhoeffer (che restò in Germania ove fu impiccato nel Lager di Flossenburg) e come l’olandese Etty Hillesum (che morì con la famiglia ad Auschwitz) o come l’ebreo veneziano Giuseppe Jona che restò al Ghetto per essere d’aiuto al suo popolo oppresso (e che, quando gli chiesero i documenti coi nomi dei suoi correligionari, preferì uccidersi): nel 1940 seguì i 170 bambini dell’orfanotrofio trasferiti (e radunati assieme a tutti gli ebrei prima di essere spediti nei Lager) al Ghetto ebraico, che, come si sa, è l’ultima tappa prima del campo di concentramento. Fu arrestato varie volte dai nazisti (per aver voluto esigere la restituzione di un carico di patate destinato ai bambini e per essersi rifiutato di recare il bracciale che era il contrassegno degli ebrei). Il 22 luglio 1942 parte assieme ad altri tre colleghi educatori con i suoi duecento bambini verso il Lager di Treblinka, a 60 KM da Varsavia, ove trova la morte. Sulla sua vita il regista polacco Premio Oscar Andrzej Wajda ha girato il film del 1990 “Dottor Korczak”(tit. orig. “Korczak”).



Era così attento ai sentimenti dei bambini che ideò delle strategie per impararne prima possibile i nomi (mettendo vicini quelli rassomiglianti per studiarne i particolari e memorizzarli), li chiamava con i nomi familiari con cui erano chiamati dalle loro madri, si preparava per una settimana prima di pronunziare davanti a loro un discorso, e rivedeva i suoi sbagli (ad esempio si accorse del nonsenso di forzare i bambini troppo diversi fra loro a stare vicini). Era empirista, e nonostante i tanti libri di psicologia infantile letti, ha riveduto i suoi metodi sulla base dell’esperienza di vita con loro: “regna la morale” (cioè il moralismo, ndr) “e non l’esperienza”, denunciava (“Come amare il bambino”, Luni editrice, Milano 2015, pag. 235). Scoprì per esempio che le domande banali su come stiano i genitori di casa non sono amate dal bambino perché “non vede né un vero interesse né la possibilità di rivolgerci una domanda”: “ti serba rancore per la falsità dell’apparente interessamento per la sua persona; egli non vuole essere liquidato in due battute” (pagg. 228 -9). E soprattutto, invita a rinunziare alle proiezioni: “Non trasformerò nessuno dei bambini in qualcosa di diverso da ciò che egli è” (pag. 223). Scrisse:



“Il bambino pensa con il sentimento, non con l’intelletto. Per questo è difficile comunicare con i bambini, per questo non c’è un’arte più difficile che parlare ai bambini.” (“Come amare il bambino”, pag. 306)

Anne Frank


D’idee liberali progressiste, era contrario ai bambini “trattati con il guinzaglio”. Aveva studiato nella città natale del pedagogista da lui ammirato Pestalozzi (1746 – 1827), Zurigo, e come Rousseau, ispiratore di Pestalozzi, e come Alice Miller, credeva nella compassione e nella bontà originale del bambino (“nessun ragazzo è difficile o cattivo, ma lo diventa perché è infelice. Dovere dell’educatore è scoprire che cosa lo tormenta”), proprio come Anne Frank (1929 – 45), la quale scrisse, pur avendo lei fatto esperienza del male assoluto, nel suo “Diario”:

“Nonostante tutto, credo ancora nell’intima bontà dell’uomo”

(cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/amsterdam-la-storia-gli-eroi-i.html)

Anche Alice Miller (la cui tesi è stata appoggiata anche dal grande antropologo Ashley Montagu, 1905 - 1999) crede nella bontà originaria:

Ogni essere umano viene al mondo senza cattive intenzioni, con il forte, chiaro e non ambivalente bisogno primario di mantenersi in vita, di poter amare ed essere amato” (“Riprendersi la vita”, op. cit., pag. 60) “Il bambino viene al mondo già con la storia che ha vissuto nel grembo materno. Nasce comunque innocente ed è pronto ad amare. Il bambino può amare molto di più di quanto non riescano a farlo gli adulti” (pag. 157).

E conclude che il male nasce dall’erosione dell’empatia provocata sui bambini dai loro caregivers:

Tutti i fiancheggiatori di Hitler erano stati bambini puniti con brutalità e umiliati che hanno in sèguito scaricato su degl’innocenti i loro sentimenti repressi, la loro rabbia impotente, perché con la benedizione di Hitler potevano finalmente farlo senza rischiare di essere puniti” (“Riprendersi la vita”, pag. 43).

Come documentato dalle testimonianze dei suoi fratelli, Hitler riceveva da bambino “castighi quotidiani” e “al minimo pretesto erano botte”: “Non sapeva che cosa doveva fare, né come comportarsi per mantenere il diritto di esistere in quella famiglia. A 11 anni, disperato, volle scappare, ma fu riacciuffato dal padre, che lo derise” (pag. 50). Si rifugiò nelle sue fantasie, immaginando un giorno di diventare un potente distruttore. Un delirio di grandezza che lo portò a vendicarsi su innocenti, complice anche il latente antisemitismo covato dalla Germania: “Fu proprio la storia delle umiliazioni sistematiche patite nell’infanzia a metterlo in condizione di trascinare con sé tutti coloro che nell’infanzia avevano vissuto una storia analoga” è la sua tesi-shock (“Riprendersi la vita”, pagg. 51 – 52).  Certo,

“per fortuna non tutti i bambini picchiati diverranno dei dittatori; ma tra i dittatori” (Stalin, Mao, Hitler) “non ne ho trovato neppure uno che non fosse stato pesantemente maltrattato nell’infanzia” (“Riprendersi la vita”, pag. 163)

Come già notava Korczak:

“Dimmi chi ti ha generato, ti dirò chi sei. Ma non è sempre così. Dimmi chi ti ha cresciuto, ti dirò chi sei: anche questo non va bene” (“Come amare il bambino”, pag. 76)

Infatti, secondo la Miller, basta un “Testimone soccorrevole”: così lei chiama quell’angelo umano che può essere

“un insegnante, una vicina, un collaboratore domestico o anche la nonna” che “offre un po’ di simpatia o d’amore al bambino” maltrattato e “grazie a questo testimone il bambino apprende che al mondo esiste qualcosa come l’amore” (“Riprendersi la vita”, pag. 43):

nel gran finale del film “Gesti d’amore” c’è, appunto, quest’happy ending con la stretta di mano sotto il tavolo da pranzo, della sorella col fratello, segno di solidarietà ed amore: del ruolo possibile di un fratello come testimone soccorrevole c’è testimonianza anche in un lettore che scrive ad Alice Miller (“Riprendersi la vita”, pag. 134).

Poiché ad avallare come copertura ideologica i maltrattamenti contro i bambini ci sono sempre state cattive ideologie pessimistiche sugli esseri umani (persino di teologi/riformatori religiosi) o mode ideologiche (come quella dei pedagogisti anni Cinquanta in America che vietavano gesti di calore verso i bambini negli orfanotrofi!), per fondare il rispetto del bambino, secondo me, ci dev’essere il sentimento di fiducia nei confronti della natura umana: dimostrò questa fiducia Korczak, che aveva scritto fra le varie altre opere anche un libro dal titolo “Gli uomini sono buoni” (nel 1938). Nel nostro Blog e nel nostro Cinetalk abbiamo già trattato delle conclusioni dello psicologo americano Paul Bloom, che  con i suoi esperimenti coi bambini piccoli, ha mostrato che nasciamo già portati alla compassione, già orientati alla collaborazione spontanea (http://lelejandon.blogspot.it/2014/08/le-intuizioni-morali-innate-come-i.html): altro che peccato originale e limbo, come predicava Agostino, o i figli del diavolo, come si predicava nel Medioevo, o le teorie degli ortodossi freudiani come Edward Glover (che descrisse così il bambino normale: “egocentrico, possessivo, sporco, violento e collerico, distruttivo…tirannico e sadico”, citato in Alice Miller, “Riprendersi la vita”, pag. 158).

L’etologo americano Frans De Waal dice nel suo libro “L’Età dell’Empatia” che “l’empatia ha bisogno di una faccia” e infatti Korczak invita proprio tutti i vari educatori a fare attenzione alle espressioni del volto del bambino (e qui torna in mente il grande filosofo ebreo Emmanuel Lévinas e la sua etica del volto umano).
Emmanuel Lévinas


Egli stesso medico-pediatra, usa una similitudine col medico: così come il dottore fonda la sua osservazione sui sintomi del corpo, così il buon educatore in generale fonderà la sua osservazione sul volto dei suoi bambini e ragazzini il sorriso, il riso, il rossore, il pianto, lo sbadiglio, il grido, il sospiro. Ad esempio, a proposito di rimproveri brutali:  

“Vi esorto vivamente a osservare l’espressione del viso di un bambino che sopraggiunge di corsa tutto allegro e nella sua intemperanza dice o fa qualcosa di sconveniente e all’improvviso viene investiti brutalmente da un adulto” (“Come amare il bambino”, pag. 112)

Per Korczak è violenza anche aver imposto l’educazione intellettualistica, mortificando il lato destro del cervello: la creatività. Oggi sarebbe d’accordo con l’attivista sociale Matthew Fox, che ha inaugurato la nostra rassegna “Il Cinema e i Diritti” esortando a costruire tutti insieme una società che metta al centro le varie forme di spirito creativo (http://lelejandon.blogspot.it/2015/03/il-coraggio-creativo-e-la-risposta.html).

Come con gli animali (il paragone è mio), anche con i bambini si è fatto storicamente l’errore di considerarli in funzione di un modello (l’uomo adulto e formato, cioè ciò che eventualmente saranno in sèguito) che fonda le basi per non averne adeguato rispetto:

“Gli studiosi hanno sentenziato che l’uomo maturo segue le motivazioni, il bambino gl’impulsi, l’adulto è logico, il bambino irruento; secondo un immaginario illusorio, l’adulto ha carattere, una moralità ben definita, il bambino s’intrica nel caos degl’istinti e desidèri. Analizzano il bambino non come una diversa entità psichica, ma come inferiore, debole, povera.” (“Il diritto del bambino al rispetto”, pag. 64). “E’ un ambiguo uomo primitivo. Sembra docile, innocente, in realtà è furbo, infido” (“Il diritto del bambino al rispetto”, pag. 34). “E’ sempre la stessa mancanza di rispetto indulgente, grossolana, brutale. E’ soltanto un moccioso, un bambino, in futuro sarà una persona, non ora. Allora sarà veramente.” (“Il diritto del bambino al rispetto”, pag. 32). “L’irrequieta attesa di quello che verrà fa in modo che non rispettiamo veramente quello che abbiamo ora.” (“Il diritto del bambino al rispetto”, pag. 29) E invece dobbiamo valorizzarli in sé: “Non consegnare alla schiavitù del domani, non mettere fretta. Dobbiamo rispetto a ogni singolo momento, poiché scomparirà e non si ripeterà mai più” (“Il diritto del bambino al rispetto”, pag. 53).

Fa degli esempi concreti di maltrattamenti, di clamorose disparità di trattamento quando si sbaglia senza volerlo:

Quando papà rovescia il tè, la mamma gli dice – non importa. A me invece sgrida sempre

(“Il diritto del bambino al rispetto”, pag. 51)

“I bambini non ci possono criticare. Vogliamo sembrare perfetti” mentre “tutti possono invece denudare impunemente un bambino e metterlo alla gogna” (“Il diritto del bambino al rispetto”, pag. 44).

E poi le proiezioni, ad esempio: “Non è permesso che il figlio di genitori ricchi faccia l’artigiano” (“Come amare il bambino”, pag. 9) “Se l’educatore cerca quegli aspetti del carattere e quelle qualità che ai suoi occhi sembrano i più positivi e preziosi, se tenta di formare i bambini secondo un unico modello, a spingerli tutti nella stessa direzione, verrà presto ingannato: molti faranno solo finta di rispondere ai suoi auspici” (pag. 42) per compiacere i caregivers, creeranno un falso sé, come avrebbe detto Winnicott (emblematica la storia del figlio di Philomena, cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2015_01_01_archive.html). “Richiedo una Magna Charta Libertatis dei Diritti del Bambino”, scrive, fra cui “il diritto del bambino ad essere quel che è” (“Come amare il bambino”, pag. 37). Come dice Alice Miller, alla domanda su quale sia l’amore autentico:

“Amo i miei figli se riesco a rispettarne i bisogni e i sentimenti autentici e se cerco di soddisfare al meglio quei bisogni. Non li amo invece se non li considero come esseri umani aventi i miei stessi diritti, ma come oggetti da correggere” (“Riprendersi la vita”, pag. 174)

L’avvocato Paolo Pio cita la Convenzione ONU per i diritti del fanciullo del 1989 ratificata anche da noi e che parla del diritto a vivere in un clima familiare di felicità.

Continua Korczak:

“Dobbiamo rispetto alla sua ignoranza. Abbaiamo, combattiamo con i bambini, li rimproveriamo, sgridiamo, puniamo invece d’informare cordialmente” (pag. 50).

Korkzac poi, con acume psicologico, parla dei bambini usati come pupazzi: “Ti stringo, perché sono triste. Dammi un bacio e ti darò.” Egoismo, non tenerezza”, commenta (pag. 46).

Per  concludere il nostro discorso sui bambini (“Come amare il bambino”, pag.131):

Dobbiamo insegnare al bambino non solo ad apprezzare la verità, ma anche a riconoscere la menzogna, non solo ad amare, ma anche a odiare, non solo a stimare, ma anche a disprezzare, non solo ad acconsentire, ma anche a indignarsi, non solo a sottomettersi, ma anche a ribellarsi
Simone Weil

La morale che possiamo trarre oggi dagli spunti che ci vengono da questi film e da questi libri è che abbiamo il dovere morale di educatori di prendere molto sul serio le emozioni morali del nostro prossimo, in particolare dei minori, di fare attenzione ai loro sentimenti morali perché, come scriveva la filosofa ebrea  Simone Weil (1909 - 1943) in un'epistola al poeta Joe Bousquet

"L'attenzione è la forma più rara e più pura di generosità"

("L'amicizia pura", 1940-1942, a cura di Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito, Castelvecchi, Roma 2013) 

Una traduttrice della Weil, Cristina Campo (1923 – 1977) aggiunse:

"L'attenzione è la forma più pura di responsabilità poiché ogni errore umano è, in essenza, disattenzione".

LELE JANDON