martedì 22 marzo 2016

Dai Lager Nazisti alle Industrie Zootecniche: dal Genocidio all’Ecocidio, il Male ben Nascosto della Strage Fuori Controllo di Pesci, Maiali, Polli, Tacchini, Pulcini, Vitelli (Ammalati ed Infelici), è Insostenibile per la Salute della Terra




di LELE JANDON
Il mio appello per una Pasqua senza sangue

Fra poco è Pasqua (sinonimo di agnello sacrificale preso alla lettera da una tradizione stupida) e mentre la deputata ed attivista Michela Vittoria Brambilla raccoglie firme per un ddl che vieti l'abbattimento, la macellazione e persino l'importazione di cuccioli (www.nelcuore.org) e "Le Monde" ha pubblicato varie inchieste sugli orrori dei macelli, vorrei tematizzare una questione rimossa dai media e dalle scuole: le conseguenze del mangiare carne sull’umanità e le nostre corresponsabilità nel trattamento degli animali ridotti a bestie da macello nei cosiddetti “allevamenti” intensivi (industrie zootecniche).

Lo faccio recensendo il libro di Jonathan Safran Foer “Se niente importa” (sottotitolo: “Perché mangiamo gli animali?”, del 2009), integrandolo con citazioni da un altro saggio-shock, “Ecocidio” (di otto anni prima) dell’economista ed attivista (anch’egli americano) Jeremy Rifkin (già autore de “La Civiltà dell’Empatia”, che ho già citato nel mio Blog).

Animato dallo stesso spirito di profonda ricerca come i personaggi dei due suoi commoventi romanzi, per tre anni ha svolto personali ricerche sull’industria zootecnica del suo Paese ed ha scoperto gli orrori e le atrocità di questa potente Lobby che quantomeno non può lasciarci indifferenti.

Ancorché commosso dallo scoprire che esistono (sia pure come eccezione che conferma l’odiosa regola) fattorie ecosostenibili (come il “Niman Ranch”, fondata da un ebreo come lui, Bill Niman) che garantiscono sia una buona vita sia una morte (diciamo così) facile agli animali (benché impossibile senza torture occasionali), ha mostrato che il dolore è ineliminabile ed è “diventato vegetariano convinto” (pag. 259). Questi fattori e fattrici sono “persone straordinarie” che ”dovrebbero essere tra coloro che il presidente consulta quando sceglie il ministro dell’agricoltura, e le loro fattorie sono quello che voglio che i nostri eletti s’impegnino a creare e che la nostra economia sostenga.” (pag. 259).

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Ebreo newyorkese, Foer è già autore dei romanzi (anch’essi editi da Guanda) “Ogni cosa è illuminata” (2002, storia del proprio viaggio alla ricerca  dello shtetl ucraino ove vissero i suoi avi e spazzato via dalle carte geografiche dai nazisti) e “Molto forte, incredibilmente vicino” (2005, storia di un ragazzino speciale che perde in diretta TV il padre l’Undici Settembre ed intraprende una ricerca indagando su una misteriosa chiave trovata nella giacca del papà ucciso), donde sono stati tratti due bei film: uno del regista (ed attore), anch’egli ebreo americano, Liev Schreiber (quello de “The Manchurian Candidate” del Premio Oscar Jonathan Demme) ed il secondo coi Premi Oscar Tom Hanks e Sandra Bullock. Laureato in filosofia, lo scrittore ha composto qui un saggio di ricerca di profondo valore filosofico, appunto, sull’inedita questione del vero trattamento che gli USA riservano agli animali: tacchini, mucche, maiali, pulcini. 
L'attivista Michela Vittoria Brambilla

Non credo sia un caso che tanti fra i grandi filosofi animal friendly siano stati ebrei: dagli attivisti Henry Spira, Rachel Hirschfeld e Richard H. Schwartz all’antropologo Lévi Strauss; dagli scrittori Franz Kafka, Romain Gary (primo scrittore ecologista con “Le radici del cielo”) ed Isaac Singer ai filosofi Peter Singer e Jacques Derrida; dallo psicanalista Erich Fromm sino alle filosofe Roberta Kalechofsky e Martha Nussbaum. O comunque o sono di famiglia ebraica (come Paolo De Benedetti) o hanno avuto amici e maestri ebrei (come il reverendo Matthew Fox che ha inaugurato la mia rassegna “Il Cinema e i Diritti” parlandoci proprio della compassione verso gli animali) o hanno studiato seriamente la Bibbia ebraica (come Mario Canciani).
Un dipinto del  danese Hans Ole Brasen


Mentre il cattolicesimo istituzionale (come denuncia lo stesso Paolo de Benedetti) ha un vuoto e non ha nulla da dire in proposito (mentre ne ha sempre, per fare un esempio, contro i diritti delle persone gay e delle donne intorno a cui Gesù non disse contro nulla) e gli autori cattolici amici degli animali non sono noti al grande pubblico.

Animato dalla grande serietà etica tipica dell’ebraismo liberal (progressista) americano, Foer parte da una frase storica di grande ispirazione dell’amorevole Nonna, cuoca di famiglia: una sopravvissuta alla Shoah che, correndo il rischio di morir d’inedia, rifiutò un pezzo di carne di maiale da un brav’uomo compassionevole

“se niente importa, non c’è niente da salvare”.
"Her Little Lamb", dell'artista americano
contemporaneo Morgan Weistling.

Parte altresì dalla sua ricerca di neopapà che si pone il problema “che cosa do da mangiare al mio figlioletto?”.

Memore anche dei periodi in cui è stato vegetariano (durante gli studi di filosofia, durante il fidanzamento), Foer si è posto in maniera approfondita

“l’imbarazzante problema che gli animali costituiscono per noi”

(come dice citando la psicologa milanese Emanuela Cenami Spada, pag. 55). E per farlo si è persino introdotto di notte in un “allevamento” guidato da un’attivista animalista scoprendo le crudeltà persino sui pulcini. (Ha inviato una cortese lettera alla Tyson Foods, la più grossa produttrice di carne del mondo, ma non è stato degnato di risposta).
"Just Kids", dell'americano contemporaneo Morgan Weistling.

Con questo grandioso libro, Foer risveglia le nostre intuizioni morali, ricordandoci che da sempre l’uomo che allevava gli animali voleva loro bene e che oggi i moderni Lager sono i cosiddetti “allevamenti” intensivi. Arrivando ad immaginare un Thanksgiving Day senza tacchino: perché no?

Il suo importante saggio s’inserisce perfettamente nel mio orientamento di fondo (filosofico e psicologico) intuizionista: più che i ragionamenti morali si rivelano decisive per le nostre scelte etiche le nostre intuizioni morali, ciò che noi sentiamo. Per farvi l’esempio di un autore a me noto, anche Tolstòj parla di una intuizione: “non uccidere” l’innocente fu inscritto nel cuore di ogni uomo ben prima di esser scolpito su delle tavole sul Sinai”, “i sentimenti indicano la direzione”, “Perché sono vegetariano”, pag. 16 e 21, concetto ribadito a pag. 84). Ma lo sentiamo purché abbiamo il coraggio morale di vederlo. Infatti dice Foer:


“Tutti abbiamo forti intuizioni su ciò che significa soffrire” (pag. 86)
Mi viene in mente la frase di quel genio di Jeremy Bentham, il grande filosofo liberale progressista inglese:
“la domanda da porsi non è se sanno ragionare, né se sanno parlare, ma se possono soffrire”

E quando Foer dice che

“Nella formazione delle nostre abitudini più della ragione contano le storie che raccontiamo a noi stessi e che ci raccontiamo a vicenda” (pag. 16),

io vi ricordo che è un altro ebreo americano, lo psicologo Jonathan Gottschall, a definire l’essere umano uno “Storytelling Animal”: un animale che ama raccontare ed ascoltare storie (cfr.: http://lelejandon.blogspot.it/2014/08/le-intuizioni-morali-innate-come-i.html).
Dipinto del pittore norvegese Per Krohg (1889 - 1965)

Come vi ho raccontato al mio Cineforum sul film “Greyfriars Bobby – Il Cucciolo di Edimburgo”, il buon Foer non aveva mai pensato di prendere un cane, ma un sabato s’imbatté in un cucciolotto con la scritta ADOTTAMI:

“io non credo nell’amore a prima vista o nel destino, ma sentii di amare quel maledetto cane”
(Foer, pag. 29)

Il cane

“come me, teme il dolore, cerca il piacere, brama non solo il cibo e il gioco, ma la compagnia.”
(Foer, pag. 32).

Ed è proprio l’esperimento mentale di provare a pensare il cane al posto di un maiale od un tacchino che stimola la nostra immaginazione morale, estendendo il nostro cerchio di simpatia.

Volendo ricollegarci a quello stesso precedente articolo, Foer fa appello al principio innato di protezione, lo stesso che ci rende sensibili ad attivarci quando troviamo un bambino che soffre: uno dei princìpi individuati da un altro grande intellettuale americano, lo psicologo Jonathan Haidt.

LA BIBBIA: FARAI RIPOSARE L’ANIMALE

GLI ANIMALI che CURIAMO sono IL NOSTRO PROSSIMO:

I NOSTRI DOVERI DIRETTI verso gli altri ANIMALI

Anzitutto, quello cosiddetto intensivo non può più chiamarsi “allevamento”: è ormai un’industria zootecnica come una

“catena di (s)montaggio con una serie di “còmpiti alienanti”.

“In un mondo di questo genere, ci sono ben poche occasioni per onorare la creazione, essere in sintonia con le altre creature” (Rifkin, “Ecocidio”, Mondadori, Milano 2001, pag. 322).z

Dice la moglie di Bill Niman, l’allevatore ebreo fondatore del Niman Ranch (fattoria dai metodi umani):

"Nel corso della storia, la maggior parte degli allevatori sentiva l'obbligo pressante di trattare bene gli animali. Oggi il problema è che alle cure tradizionali si sono sostituiti i metodi industriali: la familiarità personale che un allevatore tradizionale ha con ogni singolo animale della sua fattoria è stata abbandonata a favore di grandi sistemi spersonalizzati” (pag. 222).

Questo senso di familiarità è espresso anche nel secondo libro di Samuele (12, 1 – 7) ove si parla di un uomo povero che aveva come unico animale di casa un agnellino che aveva acquistato:
“L’aveva allevata ed era cresciuta con lui e con i suoi figli; dal suo boccone mangiava e dal suo bicchiere beveva, dormiva nel suo grembo ed era per lui come una figlia

E vorrei illustrarvi questo senso di essere famiglia con i nostri animali domestici con questo quadro a fianco: come ha ricordato il Premio Oscar Roberto Benigni nella sua conferenza-show, la dicitura completa del comandamento ebraico è “non farai alcun lavoro (…) né il tuo bue né il tuo asino né alcuna delle tue bestie” il giorno di Shabbat cioè Sabato (Decalogo del Deuteronomio 5, 12 – 14): gli animali domestici nostri collaboratori sono il nostro prossimo, i nostri vicini per cui vale il comandamento “amerai il prossimo tuo come te stesso” che l’ebreo Gesù considerava il più importante. E mentre gli umani non possono fare più di duemila passi quel santo giorno, gli animali debbono esser lasciati liberi di andarsene a spasso quanto lontano desiderino! L'ebreo Gesù fa l'esempio di un asino intrappolato in un pozzo per dire che anche nel giorno di Sabato si ha il dovere morale d'intervenire se si tratta di salvare il nostro prossimo, dunque anche gli animali: affermando così che, fra le due, è più importante la legge morale rispetto la legge rituale. Perciò, quell'asino in fondo al pozzo va tirato su, anche se è giorno di riposo.
Altresì la legge del Profeta Mosé vieta (Deuteronomio 22, 10) di arare un campo con un bue ed un asino aggiogati insieme, perché hanno diversa forza e ne soffrirebbero; e si fa lo scrupolo di vietarci di mettere la museruola al bue mentre trebbia perché ha diritto di partecipare al frutto del suo lavoro. E come ricorda il teologo Matthew Fox, secondo un midrash fu proprio in virtù della loro compassione verso gli animali che sia Mosé sia David furono eletti come leader spirituali del loro Popolo. Ci sono, poi, malintesi clamorosi nelle traduzioni dalla Bibbia ebraica: come già diceva nel Seicento il filosofo Locke, radah non vuol dire “dominio”, come è stato tradotto male da chi aveva un pregiudizio anti-animale, bensì “custodia”.

Dio creò per primi gli animali ben prima degli umani, e fu Adamo a nominare i primi animali, e Dio concesse di cibarsene, coi dovuti limiti, solo dopo il Diluvio universale, castigo per la rottura dell’ordine (non possiamo leggerlo come un avvertimento che la natura stessa, se ne rompiamo l’equilibrio, si rivolta, come suggerisce anche il film del regista ebreo americano Darren Aronofsky “Noah”?). L’ebraismo, come già altre religioni, aveva abolito i sacrifici umani, e dopo un primo periodo vegetariano, aveva posto dei limiti agli umani per cibarsi di animali:

“Secondo quanto mi hanno insegnato alla scuola ebraica e a casa, le leggi alimentari ebraiche furono concepite come un compromesso: se noi esseri umani dobbiamo proprio mangiare gli animali, dovremmo farlo in modo umano, rispettando le altre creature, e con umiltà. Non infliggere agli animali che mangiamo sofferenze non necessarie, sia nel corso della vita sia durante la macellazione. E’ una concezione che da bambino mi faceva sentire orgoglioso di essere ebreo, e che continua a rendermi tale” (pag. 78)

Ed ecco una favola ebraica narrata nel Talmud babilonese (Bavà Mezi’a 85 a):

C’era una volta un vitello che, condotto al macello, intuendo la sua fine, andò a nasconder la testolina in grembo a Rabbi Giuda il Santo (II – III sec.), ma il maestro non si scompose: “Và, ché per questo fine sei stato creato”. Allora il Cielo decretò che per questa mancanza di compassione gli capitassero sofferenze per tredici anni sinché un bel giorno una serva stava spazzando, assieme alla sporcizia, i cuccioli di una donnola (che allora teneva il posto del gatto). E allora il rabbino, ravveduto, le disse: “Lasciali stare, ché sta scritto nel Salmo (145, 9):

“buono è il Signore verso tutti,/verso tutte le Sue opere è la Sua tenerezza”.

L’INDIFFERENZA del VATICANO verso i dolori degli animali

I GESUITI NEMICI STORICI DEI DIRITTI ANCHE DEGLI ANIMALI

Viceversa, il cristianesimo fondato da Paolo di Tarso (la religione forse più antropocentrica e specista) non si pone assolutamente il problema: Paolo scrisse ai Greci di Corinto “mangiate pure tutto quello che trovate dal macellaio”, e Agostino (uno a favore della schiavitù, ideatore della dottrina antiebraica del peccato originale che giustificava le ingiustizie sociali, e che ideò la perversa dottrina secondo cui i bimbi senza battesimo erano destinati al fantomatico "Limbo") colpevolizzava l’umanità per il presunto peccato originale ma (paradossalmente) ha sradicato dal cuore cristiano ogni senso di colpa per le sofferenze degli animali, dicendo, in uno dei suoi sproloqui in una lettera privata, che forse quei “corpi senz’anima”, sono macchine: tesi ripresa dal cattolico Cartesio (come giustificazione ideologica alla vivisezione iniziata nel suo secolo), non a caso uno che studiò dai padri Gesuiti, i nemici numeri uno dei diritti degli animali. Sentite cosa scriveva nel 1850 il co-fondatore de “La civiltà cattolica”, la rivista dei Gesuiti, padre Luigi Tapparelli d’Azeglio:

“se fra gli esseri irragionevoli e l’uomo passasse una relazione morale, per cui l’uomo avesse verso di loro dei doveri morali (ciò sarebbe) assurdo. (…) Il padrone non ha dovere verso il servo.”

Ed ancora nel 1999 quella stessa rivista reazionaria scriveva:

“Parlare di diritti degli animali è senza senso

E solo quattr’anni dopo i grandi difensori della fede cattolica non avevano mutato opinione:

“Gli animali non hanno diritti. L’uomo non è un animale

Papa Pio IX disse No a chi chiedeva la creazione di una sede romana della società per la protezione degli animali perché “gli animali non hanno un’anima”.

Spiriti liberi eccezionali che hanno dichiarato ingiusto il cibarsi di animali ci sono stati, fra i cristiani: dall’umanista e grecista Erasmo da Rotterdam (che s’ispirava a Plutarco) a Tolstòj, che negli ultimi ventitré anni della sua vita dopo aver letto il libro “The Ethics of Diet” (1883, dell’amico Howard Williams, che faceva la storia della scelta vegetariana da Pitagora a Schopenhauer, ed argomentava che la nostra stessa costituzione anatomica mostra che non siamo carnivori nati), scelse di diventare vegetariano e l’annunciò nel libro-manifesto “Il primo gradino” nel 1891 e in vari saggi (ispirando molti contemporanei ed anche Gandhi). Erano spiriti che avevano una cultura umanistica e, nel caso dello scrittore russo, profeti spirituali che hanno condotto una vita di autentica ricerca indipendente e sono stati critici verso le istituzioni religiose tradizionali. Ispirandosi ai Greci, Erasmo scrisse che dev’essere stata una qualche necessità contingente a far cacciare il primo animale, poi l’uomo, per sete di gloria come l’eroe mitologico greco antico Eracle, che si vestiva della pelliccia del leone che si vantava d’aver ucciso, lo rese un’attività prestigiosa e addirittura uno sport.

Come ricorda anche l’economista ed attivista Jeremy Rifkin nel suo libro “Ecocidio”, storicamente furono la vanità dell’aristocrazia inglese (che faceva della carne uno status symbol della loro classe sociale) e l’invenzione del vagone frigorifero (nel 1879) ad essere decisiva per unire Ovest ed Est degli Stati Uniti e l’Inghilterra sempre più affamata di carne. (Rifkin cita anche l’orrore del nuovo sport nato all’epoca: comprando un biglietto, si poteva sparare liberamente ai bisonti, come mostra quest’illustrazione.)

L’INTELLIGENZA dei MAIALI

IN MEZZO ALLA MERDA DELLE PORCILAIE INDUSTRIALI,
CASTRATI (SENZ’ANESTESIA): AGLI AMERICANI PIACE LA CARNE di CASTRATI


Gli allevamenti intensivi producono il 95% dei maiali degli USA (Foer pag. 179). L’unica catena di ristorazione che li alleva in maniera non intensiva è la Chipotle. L’industria più perversa è la Smithfield (che “da sola uccide ogni anno 31 milioni di animali”), mentre l’allevatore più umano è Paul Willis  che nella sua fattoria a Thornton, in Iowa, coordina la produzione di carne suina di altri 500 piccoli allevatori per la Niman Ranch Ed ha coniato il termine

free range pigs” (maiali allevati in libertà).

Il suo eroe è Wendell Berry, il poeta e scrittore americano, attivista ambientalista profeta del ritorno ad un’agricoltura umana e sostenibile. E anche se castra i maialini di un giorno senz’anestesia e sottopone a lunghi viaggi verso il mattatoio i suoi maiali, comunque, tutto sommato è una sofferenza breve rispetto alla

“mutua gioia prolungata che Paul e i suoi maialini condividono quando lui li lascia liberi di correre a grufolare al pascolo” (pag. 183) mentre nelle porcilaie industriali sono come i nostri cani rinchiusi in un armadio (pag. 211).

“Le scrofe e scrofette (giovani femmine non ancora montate) sono alloggiate in gruppi e gestite in modo da promuovere una gerarchia sociale stabile” (pag. 184). Ma resta il fatto che “anche gli allevatori più premurosi talvolta non pensano sino in fondo al benessere dei loro animali” (pag. 213) e “sono costretti a mandare i loro animali in mattatoi su cui hanno un controllo solo parziale”. Ed inoltre, quelli del Niman Ranch ritengono necessaria (a causa dei furti di bestiame, che da noi si chiama “abigeato”) la marchiatura mediante “cauterizzazione dell’abbozzo corneale con ferri roventi o paste chimiche e la castrazione” (pag. 240) e il loro bestiame “trascorre gli ultimi mesi in un recinto da ingrasso” (pag. 240)

“La suinicoltura industriale è tuttora in espansione in America, e a livello mondiale la crescita è ancora più aggressiva” (pag. 180).

“Molti maiali impazziscono per la reclusione e masticano ossessivamente le sbarre della gabbia, schiacciano di continuo i flaconi dell’acqua o bevono urina” (pag. 201). “Altri danno prova di comportamenti luttuosi che gli etologi descrivono come “impotenza appresa”. Molti maialini nascono deformi” (palato fesso, ermafroditismo, capezzoli invertiti, atresia anale” cioè senza l'ano, “zampe divaricate, tremori ed ernie”) corrette chirurgicamente quando sono castrati (nei primi dieci giorni senz’anestesia perché “i consumatori americano preferiscono la carne di animali castrati” (pag. 202). E sono “così stressati che persino un trattore che passi troppo vicino ai capannoni in cui sono rinchiusi può uccidere gli animali” (pag. 172)

Svezzati a 12-15 giorni, ancora incapaci poverini di digerire il cibo solido (per cui gli somministrano farmaci anti-diarrea), sono infilati in spesse gabbie metalliche impilate una sopra l’altra, e feci ed urina cascano sui maiali sottostanti. Poi, reclusi nei recinti angusti e sovraffollati perché bruciano meno calorie ed ingrassano con meno mangime: conviene. I maiali che non crescono abbastanza in fretta, sono “presi per le zampe posteriori, fatti dondolare e sbattuti per la testa sul pavimento di cemento” (pag. 203). Naturalmente, molti di loro sono malaticci, e “i veterinari non lavorano più per la salute ottimale, ma per la redditività ottimale; i farmaci non servono per curare le malattie, ma per supplire a sistemi immunitari distrutti”.

Foer invita a partire dalle rassomiglianze con i nostri amici a quattro zampe e con noi stessi animali umani:
“Gli altri animali sono fatti di carne, sangue e ossa, proprio come noi. Possiedono i nostri stessi cinque sensi. (…) come gli esseri umani, provano piacere e dolore, felicità e tristezza. Chiamare “istinto” l’intero complesso delle loro emozioni e dei loro comportamenti è stupido” (pag. 228)

I maiali sono “altrettanto intelligenti” dei cani,

“sono capaci di riportare oggetti, correre e giocare, fare i dispetti e ricambiare affetto” (pag. 33)

 e come sapevano gli allevatori di un tempo, “imparano ad aprire i saliscendi delle recinzioni” (pag. 73)

“I maiali accorrono se qualcuno li chiama, giocano con giocattoli” (pag. 74)
Wendell Berry

E se io vedo il mio cane tremante, lo porto subito dal veterinario, dice Foer: perché il maiale che trema forse per la paura della macellazione non ci fa compassione? Il fatto è che noi lo troviamo già in pezzetti al super o in macelleria: come una cosa. Eppure i maiali sono in mezzo alla loro stessa merda:

“così tanta che cola nei fiumi, nei laghi e nei mari, uccidendo la fauna selvatica ed inquinando l’aria, l’acqua e la terra” (pag. 189): “singoli allevamenti possono produrre più rifiuti organici della popolazione di alcune città”, dalla “forza inquinante 160 volte superiore ai liquami urbani non trattati” (come i gas velenosi: ammoniaca e acido solfidrico che evaporano): “quando quei pozzi neri grandi come campi da calcio sono sul punto di traboccare, la Smithfiled, come altre industrie, irrora i liquami sui campi. O si limita a spruzzarli dritti in aria, un geyser di merda che spande un aerosol di feci creando vortici gassosi capaci di provocare gravi danni neurologici. Le comunità che vivono nei pressi lamentano epistassi persistenti, otalgie, diarree croniche” e focolai ai polmoni (pag. 191) e “c’è troppa merda perché le colture possano assorbirla”: la merda “è diventata un problema quando noi americani abbiamo deciso che vogliamo mangiare più carne di qualunque altra società nella storia e pagarla storicamente poco” (pag. 192)

UNA TERRIBILE STORIA VERA
“Nel Michigan un operaio mentre effettuava una riparazione a un lagone, svenne per il tanfo e ci cadde dentro. Suo nipote di 15 anni s’immerse per salvarlo ma svenne; il cugino dell’operaio andò dentro per salvare il ragazzo ma svenne, il fratello più vecchio dell’operaio s’immerse per salvarli ma svenne e infine entrò anche il padre dell’operaio. Morirono tutti nella merda di maiale” (pag. 193)

“Eppure quasi non esistono impianti di trattamento dei rifiuti organici per gli animali d’allevamento”. “Ogni maiale produce dalle 2 alle 4 volte la merda di una persona” (pag. 190)

Ricordo che per l’orribile filosofia stoica tutti gli animali sarebbero (proprio come per il cattolicesimo istituzionale) in funzione dell’uomo, e “quanto al maiale, non fu generato che per essere ucciso”.

Anche nell’allevamento-modello, “Non è raro che i maiali in attesa della macellazione abbiano un attacco cardiaco o che smettano di deambulare. Troppo stress: il trasporto, il cambio d’ambiente, le manipolazioni, le strida oltre la porta, l’odore del sangue, le braccia dell’addetto allo stordimento che si muovono” (pagg. 174 – 175).

Le TACCHINE e le GALLINE

FRANK REESE l’ultimo avicoltore: I SUOI TACCHINI VOLANO

"Chicken Coop", dell'artista americano contemporaneo Morgan Weistling.

“Gli uccelli hanno capacità cognitive equivalenti a quelle dei mammiferi” (pag. 75). Eppure le tacchine e le galline le tengono al buio 24 h su 24 per 2-3 settimane con dieta da fame, poi accendono le luci 16-20 ore al giorno per simulare la primavera, con dieta iper-proteica. Dopo un anno di iper-produttività, le uccidono perché non produrrebbero altrettante uova (pag. 69).

Foer ha incontrato Frank Reese, “l’ultimo avicoltore” dei bei vecchi tempi: fa un elogio dei tacchini,  del loro “portamento solenne”, della loro “maestà” (pag. 121): “ho sempre amato la loro personalità. Sono così curiosi, così giocherelloni, così simpatici e pieni di vita” (anche il filosofo David Hume diceva che i tacchini hanno un orgoglio). Anche la pittrice Séraphine amava il piumaggio dei tacchini e lo metteva come piume dei suoi alberi: l’Albero della Vita, l’Albero del Paradiso, come ho raccontato al mio Cineforum della rassegna “I Nostri Angeli” (cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2015/12/i-magici-mix-misteriosi-della-pittrice.html).

Continua Reese: “Conosco il loro vocabolario”, quando bisticciano, sono terrorizzati od eccitati da qualcosa di nuovo. I suoi tacchini sono liberi di volare anche in cima al tetto o all’albero. “Una volta in America erano milioni i tacchini allevati così (…) ora sono l’unico” (pag. 122).

Quelli delle industrie, non sono liberi di avere rapporti sessuali, non sanno camminare normalmente, sono pieni d’antibiotici ed ormoni della crescita:

“I bambini di oggi sono la prima generazione che cresce con questa roba, e noi li usiamo come cavie. Non è strano quanto s’arrabbi la gente per qualche giocatore di baseball che prende gli ormoni della crescita, quando facciamo queste cose con gli animali che mangiamo?” (pag. 123)

Lui non manipola la luce, non li affama per fargli avere un ciclo innaturale. “Li faccio trasportare di notte, quando sono più calmi” e non in camion stracarichi. Li fa stare in piedi, “mai appesi a testa in giù” (pag. 125)

Il Premio Nobel per la letteratura Albert Camus (1913 – ’60) ricorda nel romanzo autobiografico “Il primo uomo” (Bompiani, Milano 2001, pagg. 193-4) l’esperienza-shock di quando, da bambino, la nonna gli ordinasse di portargli una gallina e gli facesse vedere l’uccisione:

“Jacques guardava inorridito (…) come se quel sangue fosse il suo e se ne sentisse svuotato” e lei “la sgozzava adagio”:

da uomo, diventò attivista contro la ghigliottina, come già lo era stato un altro scrittore francese, Victor Hugo (1802 – ’85).

Dipinto del pittore danese Peder Mørk Mønsted (1859 – 1941)

Per parte mia, aggiungo che da noi in Europa ci sono iscritti sulle uova i codici per riconoscerne il tipo: lo zero indica un uovo generato da una gallina allevata con metodo biologico (cioè senza sostanze chimiche che sono invece abusate negli allevamenti intensivi); il numero 1 che le galline sono state allevate all'aperto; il 2 a terra; ed il 3 in gabbia. Il primo tipo d'uovo, richiedendo naturalmente più personale, è più costoso.

I POLLI INDUSTRIALI:
 “come BIMBI da 150 KG”

“Dagli anni Cinquanta, non ci fu più un solo tipo di pollame, ma due: uno per le uova, l’altro per la carne” (pag. 117): “immagina un bambino che a dieci anni arrivi a pesare 150 KG mangiando solo barrette di cereali ed integratori vitaminici” (pag. 118)

"Olivia's Coop", del pittore americano contemporaneo Morgan Weistling.

“Volatili che non sono in grado di volare, maiali che non sopravviverebbero all’aperto, tacchini incapaci di riprodursi naturalmente- hanno sostituito le figure familiari che un tempo affollavano l’aia” (pag. 119) sono la conseguenza della modificazione genetica dei polli.








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La PESCA è GUERRA: ALLEVAMENTO INTENSIVO sottomarino

I CAVALLUCCI “DANNO COLLATERALE” nella CATTURA dei TONNI

LO STRASCICO è come IL DISBOSCAMENTO

“Per nessun altro animale abbiamo rivisto così in fretta e radicalmente le nostre conoscenze”: “stringono relazioni monogame, cacciano in cooperazione con altre specie, usano supporti, si riconoscono a vicenda come individui, prendono decisioni individuali, tengono in conto il prestigio sociale” (pag. 74).

Eppure, la pesca, anzi la piscicoltura, “è arrivata a rassomigliare a una guerra di sterminio” (pag. 42), una “guerra squilibrata” (pag. 46).

“Alla pesca si applicano ormai sistematicamente e alla lettera le tecnologie militari” (pag. 43 – 44).

“Nessun pesce ottiene una buona morte, neppure uno” con le tre tecniche:

-          coi palangari multi-amo, come linee telefoniche sino a 120 KM, dalle cui linee principali si dipartono appunto ami, sospese alle boe a cui sono attaccati GPS, con stragi di altre specie collaterali (fra cui delfini, tartarughe, albatros);
TONNO. "Cratere del venditore di tonno",
Museo Mandralisca di Cefalù.

-           l’odiosa pesca a strascico, che draga sott’acqua sino all’estremità di una rete ad imbuto non solo gli ambìti gamberetti bensì anch’essa una serie di specie collaterali (che, compresse fra di loro, squarciate sui coralli, sbattute sulle rocce e poi issare fuor d’acqua con decompressione dolorosa che può provocare l’esplosione degli occhi o far uscire gli organi interni dalla bocca, muoiono e sono ributtate in mare morte): è il corrispondente marino del disboscamento della foresta pluviale.

-          Con rete a circuizione per il tonno, srotolando un muro di rete attorno al banco di pesci chiudendo il fondo della rete, come tirando la stringa di un sacco: i pesci intrappolati, se non sono lentamente fatti a pezzi, soffocano sul peschereccio o gli si taglia le branchie quando sono coscienti oppure sono gettati nel ghiaccio semiliquido (come quelli degli “allevamenti” intensivi)

“Molti dei pesci che mangiamo provengono dall’acquacoltura” che è “sostanzialmente agricoltura industriale sottomarina”, “allevamento intensivo in ambiente ristretto” (pag. 205) che fa soffrire i pesci:

“acqua così sporca” di pidocchi  (che “provocano lesioni che arrivano a scarnificare la testa sino all’osso”) “da rendere difficoltosa la respirazione; affollamento così intenso che gli animali incominciano a cannibalizzarsi a vicenda; incapacità di formare una gerarchia stabile, da cui s’innescano ulteriori cannibalismi” (pag. 205)

I sopravvissuti in questo Lager “rimarranno a digiuno per 7-10 giorni per diminuire le deiezioni durante il trasporto, e saranno uccisi col taglio delle branchie, per poi essere gettati in una vasca d’acqua ove morranno dissanguati”, “spesso coscienti” e mentre “si contorcono dal dolore” (pag. 206)

Foer prende in esame il senso di vergogna di un altro scrittore come lui ebreo, il praghese Kafka (1883 – 1924), disagio raccontato nei “Diari” e nell’aneddoto riferito da Max Brod (1884 – 1968), suo intimo amico e concittadino, anch’egli ebreo, il quale testimonia della semplicità dell’intuizione di Kafka di non nutrirsi più dei pesci dopo una sua visita all’acquario di Berlino:

“Riconobbe quei pesci come membri della sua famiglia invisibile; non come suoi pari, certo, ma come esseri viventi di cui gl’importava” (pag. 214).

Anche Foer vi si è recato, ed è rimasto affascinato in maniera particolare dai cavallucci marini:

“Il cavalluccio maschio cresce i piccoli in una tasca incubatrice sino a sei settimane. I maschi rimangono propriamente “incinti”, non si limitano a portare le uova nel marsupio, ma le fecondano e le nutrono durante la gestazione con secrezioni fluide. L’immagine di questi maschi che partoriscono è davvero stupefacente: un liquido torbido erompe dalla tasca incubatrice e, come per magia, da quella nube emergono cavallucci marini minuscoli ma completamente formati” (pag. 48)

Ebbene, “i cavallucci marini sono una delle oltre cento specie di animali marini uccisi come “prede accessorie” nella moderna industria del tonno” e “la pesca a strascico dei gamberetti devasta la popolazione dei cavallucci marini” (pag. 49).

E per pescare i tonni, sono uccise come c.d. “prede accessorie” 145 specie ittiche (pag. 58)!

E in Italia? Ho letto di recente che Animal Equality denuncia di aver visto pesche con tonni che si dimenano sofferenti mentre sono appesi in aria e muoiono lentamente soffocati o accoltellati.

OCCHIO NON VEDE, CUORE NON DUOLE: I CRIMINI INVISIBILI

Contro gli ANIMALI ma anche contro i BAMBINI AFFAMATI

L’ANIMALE CI GUARDA E RICHIAMA LE NOSTRE INTUIZIONI MORALI

Ma “Occhio non vede, cuore non duole”, recita un saggio proverbio popolare: vero.

Lo disse anche il filosofo ebreo Lévinas (1906 – ’95), sopravvissuto ad un Lager nazista, e lo scrive anche Frans De Waal nel suo libro “L’Età dell’Empatia. Lezioni dalla natura per una società più solidale”:

“L’empatia ha bisogno di una faccia”

“Mangiare gli animali ha un che d’invisibile. Pensare ai cani, rispetto agli animali che mangiamo, è un modo per guardare di sbieco e rendere visibile l’invisibile” (Foer, pag. 37)

Foer cita il filosofo ebreo francese Derrida (“uno dei pochissimi filosofi contemporanei ad affrontare questa domanda scomoda” sulle “proporzioni senza precedenti dell’assoggettamento dell’animale”):

“Gli uomini fanno tutto ciò che possono per nascondere o per nascondersi questa crudeltà per organizzare su scala mondiale l’oblio o il disconoscimento di tale violenza” (pag. 119)

Così come, dice Rifkin, la TV non ci mostra i volti ed i corpi dei bambini che soffrono i morsi della fame provocata da questo sistema: bimbi deprivati dello sviluppo del loro cervello, che quindi cresce più piccolo, e dunque delle proprie potenziali capacità mentali (alimentando, dico io, anche il razzismo), con malattie come la xeroftalmia (disseccamento del bulbo oculare che reca cecità dovuta ad assenza di vitamina A), vulnerabili a malattie opportunistiche e parassitiche,

“così cronicamente deboli da rimanere letargici e apatici per tutta la vita” (“Ecocidio”, pag. 206).

Ancora Foer:

“L’industria zootecnica” che esiste da sessant’anni “esercita la propria influenza politica sapendo che il proprio modello di business dipende dal fatto che i consumatori non hanno la possibilità di vedere” (pag. 98)

Possiamo riconoscere parti di noi nei pesci – la spina dorsale, i nocicettori (recettori del dolore), le endorfine (che rilevano il dolore), tutte le reazioni familiari al dolore-, ma non diamo alcuna importanza a queste rassomiglianze animali, e quindi neghiamo parti importanti della nostra umanità. Quello che dimentichiamo degli animali cominciamo a dimenticarlo di noi stessi.” (pag. 46)

“In silenzio l’animale incrocia il nostro sguardo. L’animale ci guarda e, che distogliamo gli occhi o meno, siamo esposti. Che cambiamo la nostra vita o che non facciamo nulla, abbiamo risposto. Non fare niente è fare qualcosa.” (pag. 47)

Ribadisce questo concetto d’integrità:

“Non reagire è una reazione: siamo altrettanto responsabili di ciò che non facciamo” (pag. 242)

E lo stesso dice Rifkin: “Ciascuno di noi è, in qualche misura, responsabile della perdita della foresta pluviale primordiale” (pag. 226)

“La segretezza che ha reso possibile l’allevamento industriale si sta sgretolando” e “noi non possiamo addurre come scusa l’ignoranza, ma solo l’indifferenza” (Foer, pag. 270).

Come scrive Wendell Berry nel libro “L’idea di un’economia locale”:

 “Ciò che non è abbastanza chiaro, forse  a nessuno, è la portata della nostra complicità, come individui e soprattutto come singoli consumatori” (pag. 187, Foer)

Come gli dice un testimone, “l’allevamento intensivo è un argomento da moderati, qualcosa su cui quasi tutte le persone ragionevoli si troverebbero d’accordo, se avessero accesso alla verità” (pag. 101)

Per Rifkin è “una delle più inique modalità di produzione e distribuzione del cibo che la storia abbia mai conosciuto” (pag. 319) e chiama questo un “male istituzionale”, un “male occulto”, “che non può essere avvertito, data la sua natura impersonale” (pagg. 320 – 321). “L’animale diventa un numero” (pag. 216) ed

“alleviamo creature incapaci di sopravvivere in qualunque luogo che non sia l’ambiente più artificiale” (pag. 174)

I PULCINI: TESTE STRAPPATE A MANI NUDE

Integriamo queste informazioni che ci fornisce Foer con le ultime notizie dall’Europa: recentemente, Animal Equality ha scoperto in Spagna “allevamenti” con pulcini ammalati gettati ancora vivi e coscienti nei sacchi del pattume, o decapitati staccando loro la testolina a mani nude, o soffocati dentro sacchi di plastica da un operaio che pare occuparsi di spazzatura.

“Gran parte dei pulcini maschi di ovaiola vengono risucchiati da una serie di condutture per finire su una piastra elettrificata”, altri ”vengono gettati in grossi contenitori di plastica”, “i più deboli vengono calpestati e spinti sul fondo, dove soffocano lentamente”, altri ancora “finiscono triturati vivi” (Foer, pagg. 56 – 57).

LE MUCCHE

“Se i primi rancher americani li tenevano al pascolo per quattro o cinque anni, oggi li macellano a dodici o quattordici mesi” (pag. 243),

“Li raccolgono sui camion o sui treni. Il viaggio può durare quarantott’ore, durante le quali sono tenuti senz’acqua né cibo (…) spesso devono subire caldo o freddo estremi” (pag. 244)

come le persone ebree nei Lager nazisti.

Pensiamoci bene: dopo ché a causa di gente come Agostino, ci siamo dimenticati di essere noi stessi animali (peraltro creati lo stesso giorno, il sesto, dice la Genesi), e ci siamo messi a maltrattare e sfruttare gli animali, ed abbiamo altresì dimenticato la nostra fratellanza con gli ebrei e l’ebraicità di Gesù, abbiamo animalizzato gli ebrei stessi: li abbiamo trattati come neanche gli animali meritano di essere trattati.

Gl’italiani, poi, come documenta S. Levis Sullam nel libro “I Carnefici italiani”, hanno consegnato moltissimi concittadini ebrei con particolare odio ed invidia e delazioni attive, al contrario per esempio dei Danesi, che ne hanno salvati in massa. Come per l’antisemitismo cattolico, anche la mancanza di compassione per certi animali ridotti da macello deriva dalla mancanza di umanità (umanesimo) della religione cattolica che nei suoi documenti ufficiali non solo considera un peccatuccio veniale la “gola” ma non dice nulla sulla maggioranza degli esseri viventi: gli animali.

Nemmeno quelli d’affezione! Non c’è traccia degli animali nell’ultima enciclica di Francesco e il Papa emerito Ratzinger ha sentito il dovere (proprio lui che aveva un gatto, cosa che poteva farci immaginare un po’ di umanità in lui), d’intervenire per dire che non c’è risurrezione per cani e gatti (come invece sostiene il suo connazionale, lui sì un grande teologo creativo, Eugen Drewermann). Ed è un clamoroso errore dire, come fa Paolo de Bedenetti, che, per via degl’interessi economici, “i tempi non sono ancora maturi” (“In paradiso ad attenderci”, pag. 89): come diceva il reverendo Martin Luther King Jr (il pastore-attivista protestante la cui moglie Coretta Scott King (1927 – 2006) fu anche un’attivista per i diritti degli animali e vegetariana,

i tempi sono sempre maturi per fare ciò che è giusto



E benché ci siano stati teologi vegetariani come Mario Canciani, biblista scomparso nel 2007 (ed un’associazione di cattolici vegetariani) non sono stati capaci di convincere a modificare la dottrina ufficiale, anche a causa del narcisismo teologico di chi non vuole ammettere l’errore.

In un quarto degl’impianti di macellazione, le pistole che sparano il chiodo d’acciaio nel cranio non funzionano a dovere e le povere mucche restano semicoscienti e doloranti col cranio forato (pag. 247).

Foer cita l’attivista Temple Grandin, psicologa e zoologa americana la quale ha rivoluzionato gli allevamenti anche grazie alla propria storia: autistica, la sua condizione la fa pensare in termini d’immagini visive (come in un videoclip) e poiché sin da bambina le sue migliori amiche erano le mucche, fu ispirata per creare la “macchina dell’abbraccio” (dall’effetto calmante sugli autistici) anche per i bovini, gli animali cui si sente più vicina e con cui ha trascorso la sua infanzia (il Premio Golden Globe Clare Danes l’ha interpretata in un film-Tv). Ha disegnato allevamenti ove le fonti di disturbo per le mucche (ipersensibili a suoni ed ombre di umani) sono ridotti al minimo. Ebbene la Grandin dice che persone normali possono diventare sadiche a forza di fare un lavoro disumanizzante come macellare in continuazione (pag. 248).

Anche Mario, che pensa di allevare e macellare in modo umano, racconta che

“mentre si preparava ad ucciderla, la mucca” che era stata la mascotte della sua fattoria “gli leccò la faccia. Ripetutamente. Forse era abituata a essere un animale da compagnia. Forse lo stava implorando” (pag. 176)

L’unico allevatore incontrato da Foer che non fa alcunché di crudele è Frank Reese: non castra né marchia.
Foer invita all’integrità e coerenza:
"Prova a condurre questo esperimento mentale: tu castreresti gli animali senz'anestesia? Li marchieresti? Li sgozzeresti? Prova a guardare queste operazioni" nel video di 10 minuti del PETA (con la voce di Alec Baldwin dal titolo “Meet the Meat”), "Si appalta la crudeltà verso gli animali e si appalta la loro uccisione, e per che cosa? Un prodotto di cui nessuno ha bisogno: la carne" (pag. 229)

Lo scrittore ebreo americano Premio Nobel Isaac Singer (1902 – 1991)

“paragonò i pregiudizii di specie alle “teorie razziste” e “sosteneva che i diritti degli animali fossero la forma più pura di difesa della giustizia sociale perché gli animali sono i più vulnerabili di tutti gli oppressi” (pag. 229):

in pratica, anticipò quello che il suo omonimo filosofo avrebbe riassunto nel suo neologismo “specismo” (speciesism).



FARE FESTA del RINGRAZIAMENTO

MANTENENDONE LO SPIRITO MA SENZA SACRIFICI ANIMALI

Foer sfida la Tradizione americana di avere come must sulla tavola alla Festa del Ringraziamento il tacchino: si può mantenere perfettamente lo spirito del fare festa insieme senza questo sacrificio animale.

“Quasi tutti i 45 milioni di tacchini non sono stati sani, non sono stati felici e non sono stati cari a nessuno. (…) Di natura insettivori, oggi sono alimentati con una dieta perlopiù innaturale, che può includere “carne, segatura, scarti di processo della conciatura (…) e ricevono più antibiotici di qualunque altro animale d’allevamento. Il che favorisce l’antibiotico-resistenza. Il che rende questi farmaci meno efficaci sugli uomini. Per via assolutamente diretta, i tacchini sulla nostra tavola rendono più difficile curare le malattie dell’uomo” (pagg. 284 – 285)

Peraltro, i primi Padri Pellegrini di certo non mangiarono tacchino:

“Non avevano mais, mele, patate e mirtilli rossi, e le uniche due testimonianze del leggendario Ringraziamento di Plymouth parlano di cervo e uccelli selvatici (pag. 268).

Analogamente, visto che fra pochi giorni i cristiani festeggiano la Pasqua, e una stupida tradizione che ancora taluni seguono dice che non può mancare l’agnello sulle tavole, vorrei lanciare un appello a prendere coscienza della provenienza dei cibi che si comprano.

Gli allevatori programmano i parti ovini sulla base del calendario della chiesa cristiana, che sugli animali non ha nulla da dire. La Nuova Zelanda li ha appena riconosciuti animali senzienti, capaci di sentire. In questa foto, pubblicata da David Cameron, il Premier conservatore britannico, di fede cristiana anglicana (che fra l’altro, riconoscendo l’estensione del matrimonio anche in chiesa ai gay e alle lesbiche ha già mostrato come si possa benissimo rinnovare ed integrare la tradizione con le nuove conoscenze e umanità), pare lanciare proprio questo messaggio: si può mantenere il senso delle festa senza sacrificare e far soffrire alcun animale.

GLI UCCELLI e i VIRUS

LA ZUPPA di FECI “FA PESO” nella LOGICA INDUSTRIALE SENZA SCRUPOLI

Foer ci ricorda anche che tutte le pandemie della storia sono state originate dagli animali, come la spagnola del 1918 (così detta perché fu la stampa di quel Paese, che non era in guerra, a riferire di questa epidemia che uccise 24 milioni di persone in 24 settimane), che fu una specie d’influenza aviaria oppure suina (i maiali sono particolarmente vulnerabili) o quella di Hong Kong del 1968. Il virologo Robert Webster ha dimostrato che tutte le influenze umane hanno origini aviarie (da uccelli migratori come oche, anatre, sterne e gabbiani che non necessariamente se ne ammalano ma ne sono portatori). Si teme per il futuro uno scambio di geni quando un maiale è infettato da due virus diversi al contempo con una capacità di contagio del raffreddore. In media, abbiamo una pandemia ogni 27 anni e mezzo, e dall’ultima son già passati 46 anni...

“Gli esseri umani stanno creando le condizioni perché si produca un agente iperpatogeno” in quanto “ibrido” (pag. 151)

Gli uccelli sono tenuti strettissimi in stanze luride ed incrostate di escrementi. E il National Chicken Council dà come linea guida 7,5 dm quadrati per pollo. I polli presentano una serie di disturbi e deformità (hanno più muscolo che ossa, che si spezzano in mano agli operai che li manipolano). Lasciano le luci accese 24 ore al giorno nella prima settimana di vita dei pulcini per indurli a mangiare di più, poi il minimo di sonno perché sopravvivano: 4 ore. I boiler sono macellati dopo 39/42 giorni di vita, “così non hanno il tempo di stabilire gerarchie sociali per cui lottare” (pag. 143). Il 95% dei polli ha l’Escherichia Coli (per contaminazione dalle feci) e fra il 39 ed il 75% di quelli che arrivano sui banchi ne sono ancora infetti. L’83% della carne di pollo (anche biologico ed allevato senz’antibiotici) è contaminata da Campylobacter o Salmonella al momento dell’acquisto. Per cui sono lavati con varechina, ma li farciranno di brodi e sali “per dare loro quello che ormai pensiamo sia il gusto” (pag. 144). Secondo il N.C.C. citato sopra, ogni anno sono 180 milioni i polli macellati in maniera impropria: se non funziona il taglio automatizzato della gola (dopo essere passati per una vasca d’acqua elettrificata che li paralizza senza renderli insensibili, tantoché gli occhi si muovono ancora e a volte aprono il becco “come se cercassero di gridare”), sicché serve il “macellaio di scorta” che faccia da tagliagole prima di finire (a volte ancora vivi e coscienti) nella vasca di scottatura.

“Mentre moltissimi impianti di lavorazione europei e canadesi impiegano sistemi di raffreddamento ad aria, il 99% dei produttori americani continua ad usare il raffreddamento ad acqua” perché fa assorbire la c.d. “zuppa di feci”. Basterebbe eliminare questa contaminazione tendendoli in sacchetti di plastica sigillati, ma l’avida industria della carne americana perderebbe l’affare di “fare peso”: “trasformare acqua sporca in diecine di milioni di dollari di valore aggiunto sul peso dei polli” (pag. 148).

“Nessuno gode dell’aria aperta o della luce e del calore del sole; nessuno è in grado di esprimere tutti i comportamenti specie-specifici come nidificare, stare appollaiato, esplorare l’ambiente e formare gruppi sociali stabili” (pag. 149): “un singolo maiale non deve mai essere introdotto in un gruppo sociale già costituito” perché “i maiali hanno bisogno della compagnia di altri maiali che conoscono per comportarsi normalmente”, “proprio come la maggior parte dei genitori cerca di evitare di togliere da scuola il figlio a metà dell’anno e inserirlo in un’altra scuola sconosciuta” (pag. 185)
“Paul non mozza la coda e non tronca i denti ai maiali, come si fa abitualmente negli allevamenti industriali per evitare l’eccesso di morsi”: “se la gerarchia sociale è stabile, i maiali risolvono i loro conflitti da soli” (pag. 185)

“L’80% delle scrofe gravide in America sono confinate in gabbie individuali d’acciaio e cemento così piccole che non possono neppure girarsi” (pag. 185)

Inoltre, è ecosostenibile: “poiché si alleva un numero di animali proporzionato alla quantità di terra, il letame può tornare al suolo come concime per fertilizzare le coltivazioni che diventeranno cibo per maiali” (pag. 186)
“La KFC è l’azienda che ha aumentato il totale di sofferenza nel mondo più di qualunque altra della storia. Acquista quasi un miliardo di polli l’anno: se li mettessimo fitti fitti uno accanto all’altro, coprirebbero Manhattan da fiume e fiume” (pag. 76) “I polli della KFC li uccidono a 39 giorni. Sono bébé” (pag. 125)


“Ogni anno si allevano grossomodo in queste condizioni sei miliardi di polli nell’Unione Europea, oltre 9 miliardi in America e più di 7 in Cina” (pag. 149)

E l’Italia, vi chiederete? Ho letto di recente che secondo la FAO l’80% dei 500 milioni di polli “allevati” ogni anno in Italia sono in allevamenti intensivi.

AMBIENTE MALSANO PROVOCA ORGANISMI PATOGENI:

LE INDUSTRIE IMBOTTISCONO di FARMACI ANIMALI NON ANCORA MALATI

Poiché “sovraffollamento, stress, contaminazione da feci ed illuminazione artificiale” favoriscono “la proliferazione e mutazione di microrganismi patogeni” (pag. 155),

“Negli allevamenti intensivi gli animali ricevono mangime addizionato con farmaci a ogni pasto”: “antibiotici prima che si ammalino” (pag. 153): “l’industria zootecnica contribuisce” così “all’aumento degli agenti patogeni resistenti agli antimicrobici” (pag. 152), come ha detto la National Academy of Sciences.

“L’industria zootecnica ha più potere rispetto ai professionisti della salute pubblica”: “siamo noi a darglielo”: “mangiando” (pag. 154)

Le industrie indirizzano il marketing direttamente sui bambini che fanno pressioni sui genitori per comprare le carni (si pensi alle pubblicità delle crocchette in Italia). La professoressa Marion Nestle nota che ci sono più casi di osteoporosi proprio nei paesi che consumano più latte e formaggi. E ne consumiamo anche perché ci dicono che fanno bene. Gli USA ottengono le informazioni nutrizionali dallo stesso ministero che deve sostenere l’industria degli allevamenti intensivi, e dunque c’è un conflitto d’interessi. Non avvertono apertamente che bisogna mangiare meno carne. “Non sarebbe più etico se fosse il National Institute of Health -agenzia governativa senz’alcun interesse- ad avere questa responsabilità?” (quella di fornire i dati nutrizionali).

Foer ha visitato anche il Paradise Locker Meats nel Missouri, rinomato per la sensibilità per il benessere degli animali: qui, “a differenza dei giganteschi mattatoi industriali, ove la “linea di smontaggio” lavora a ciclo continuo, i maiali vengono macellati uno per volta. “I maiali vengono convogliati dai recinti sul retro verso un camminamento con le pareti di gomma che termina nella sala di macellazione. Non appena entra, una paratia gli si chiude alle spalle, così quelli in attesa non vedono che cosa succede”, e tenendolo fermo è sottoposto ad elettronarcosi. Ma solo nell’80% dei casi li stendono al primo colpo! Se non funziona, hanno la pistola a proiettile captivo di riserva da puntare sul cranio.
Ma è interessante notare che la scena è nascosta alla vista di tutti (compreso l’ispettore) fuorché dell’addetto alla operazione di stordimento: per non costringerli a ricordare che cosa fanno: “quando lui o lei è visibile, è già una cosa”: qui in foto vi metto i pezzi che c’illudono che questi animali siano cose.
Dice la co-proprietaria del Niman Ranch:

Le persone sono scollegate da questa realtà, acquistano carne, pesce e formaggi già cotti o confezionati in pezzi, e in questo modo è facile non pensare affatto agli animali da cui quei cibi si ricavano. Questo è un problema” (pag. 233).

(Faccio notare che anche ai Sonderkommando, come si vede nel film-shock Premio Oscar Il Figlio di Saul(Ungheria 2015), non vedevano la scena dentro le camere a gas: anche questa tecnica del non vedere ha reso possibile la Shoah). Arrivato scannato e dissanguato, il maiale ne esce “con un aspetto molto meno maialesco, quasi di plastica”, e Foer trova “repellente” che chi è addetto ad estrargli gli organi lo faccia senza guanti, a mani ignude. Il proprietario, Mario Fantasma, ammette “di avere qualche difficoltà con gli aspetti più cruenti della macellazione”, come tutti i lavoratori dei mattatoi con cui ha parlato Foer. Mangia carne, “ma c’è una parte di me che vuole sentire di un maiale che ce l’ha fatta e magari si è stabilito nella foresta e ha dato vita a una colonia di maiali rinselvatichiti” (pag. 166).
            LE TORTURE CONTRO I VITELLINI: ASSETATI, SENZ’ACQUA 

Lele Jandon
COSTRETTI A BERE UN BEVERONE INNATURALE


Foer non parla dei vitelli perché gli americani non ne mangiano tanti. Per quanto riguarda l’Europa, Animal Equality denuncia come i vitellini siano strappati alle madri poche ore dopo la nascita, cresciuti in un capanno a parte e inviati al macello dopo qualche mese. E il teologo Eugen Drewermann, che ha abbandonato il cattolicesimo nel 2005 dopo il mobbing subìto dall’inquisitore Ratzinger, descrive così il trattamento dei cosiddetti “vitelli da ingrasso” in quelle che definisce “fabbriche di morte”:

A otto giorni dalla nascita, quando pesa quaranta chili, il vitello viene separato dalla madre per essere trasportato in un’azienda di allevamento in cui per profilassi viene imbottito di medicinali. Poi viene avvezzato all’assunzione di una bevanda a base di latte scremato, che provoca diarrea e disidratazione e rende necessario il ricorso alla fleboclisi per tenerlo in vita.

Costretto in piccoli box di legno in una stalla buia, cresce con un incessante bisogno di nutrimento; anziché tuttavia aumentare la quantità di foraggio se ne aumenta la concentrazione di sostanze nutritive, sinché il tutto si riduce a una specie di budino che accresce a dismisura la sete. L’acqua però manca, poiché lo scopo è che gli animali siano sempre più ingordi di questo budino: il vitello deve infatti ingrassare ogni giorno di più di un chilo. Per evitare nuove diarree il budino viene scaldato a 38 gradi: il che comporta che l’animale mangiando sudi, avverta prurito, si gratti e si strappi con la lingua i peli che finiscono nel rumine ove marciscono sviluppando sostanze tossiche. Per fare in modo poi che la carne abbia un bel colore si cura che il budino contenga pochissimo ferro. In tal modo diventano anemici e hanno gravi difficoltà respiratorie e disturbi della circolazione.” (“Sull’immortalità degli animali”, Castelvecchi, Roma 2013, pagg. 24 – 25)
Per quanto riguarda gli agnelli, "Le Monde" ha pubblicato questa video-inchiesta di recente:
http://www.lemonde.fr/planete/video/2016/03/29/la-video-des-actes-de-cruaute-dans-un-abattoir-des-pyrenees-atlantiques_4891707_3244.html?utm_medium=Social&utm_source=Twitter&utm_campaign=Echobox&utm_term=Autofeed#link_time=1459243983

LA COMPASSIONE è UN MUSCOLO che VA ALLENATO



Foer ci ricorda autorevolmente lo spirito della compassione autenticamente ebraica (che, come ho illustrato in questo saggio, è parola che si trova sempre nella forma di verbo di movimento e collegata alla parola giustizia: http://lelejandon.blogspot.it/2014/09/la-via-della-compassione-creativa.html) ricorrendo ad una metafora che (ricorderanno i miei lettori) già il grande psicologo divulgatore ebreo americano Daniel Goleman aveva usato per definire “l’attenzione, muscolo della mente” (http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/allenare-lattenzione-muscolo-della.html):

“La compassione è un muscolo che si rafforza con l’esercizio” (Foer, pag.276)
un dipinto del pittore americano Daniel Gerhartz

Mi viene in mente Tolstòj, che dice che “è possibile perdere a poco a poco l’abitudine alla compassione, anche nei confronti degli umani” (“Perché sono vegetariano”, Piano B Edizioni, Prato 2016, pag. 9): anche il filosofo russo dice come Erich Fromm che esiste una naturale inibizione ad uccidere, quando  chiede al macellaio se provasse compassione e quegli rispose: “ma cosa posso fare? Devo pur guadagnarmi il pane; all’inizio avevo paura di uccidere”, cioè pietà (pag. 83). Foer c’invita ad attivare la nostra “immaginazione morale” (che, ricordo, è un’espressione che fu usata dalla poetessa ebrea americana Adrienne Rich):
"La Primavera", olio su tela del 1868
di Filippo Palizzi (1818 - 1899), Galleria d'Italia, Milano.

“Che mondo creeremmo se tre volte al giorno la nostra compassione e la nostra razionalità intervenissero mentre ci sediamo a tavola, se avessimo l’immaginazione morale e la volontà pratica di cambiare il nostro atto di consumo più essenziale?”

Foer cita il grande e coraggioso attivista americano Martin Luther King Jr (cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/11/the-help-lezione-sulla-compassione_14.html) la cui moglie Coretta Scott King peraltro fu attivista per i diritti degli animali nonché vegana, interpretando in maniera radicale lo spirito dell’insegnamento del marito):

“Prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né popolare perché la coscienza dice che è giusta” (pag. 277)

Anche Foer è profeta del futuro:

“I prodotti alimentari crudeli e distruttivi dovrebbero essere illegali”,

 e intanto ci sono primi segni di presa di coscienza:

Florida, Arizona e California hanno approvato la progressiva eliminazione delle gabbie di gestazione con referendum d’iniziativa popolare”

e  in Colorado, dietro minaccia di una campagna di sensibilizzazione, “l’industria stessa ha acconsentito alla legge che bandisse le gabbie di gestazione” (pag. 200) e le gabbie da parto per i suini.

giorni fa il Parlamento Europeo ha vietato il trattamento antibiotico preventivo.

Senza citarlo, Foer arriva allo stesso link che fa il filosofo australiano Peter Singer fra sessismo, razzismo e specismo (sexism, racism, speciesism):

“Abbiamo permesso all’industria di soppiantare la fattoria per le stesse ragioni per cui la nostra cultura ha relegato le minoranze a membri di serie B della società e ha tenuto le donne soggiogate agli uomini” (pag. 261).
A tal proposito, Marjorie Garber nel libro del Premio Nobel J. M. Coetzee “La vita degli animali” (Adelphi Milano 2000, pag. 99), fa notare che, non a caso,
"Le società per la protezione degli animali sorte nell'Ottocento furono create in effetti ad opera degli stessi attivisti sociali che fondarono le società antischiavistiche e quelle per il suffragio femminile."
I SACRIFICI ANTICHI: COSI’ SI AGGIRAVA il SENSO di COLPA INNATO
Già il presocratico Anassimandro aveva intuito che noi deriviamo da altri animali, come ho raccontato nella mia conferenza sui diritti degli animali alla Casa dei Diritti. E filosofi come Pitagora, Porfirio e Plutarco erano contro sia i sacrifici di animali sia l’alimentazione carnea perché intuivano che siamo imparentati. E comunque c’era disagio nell’uccidere animali nelle tradizioni greche, come sappiamo dal fatto che quand’anche si facevano dei sacrifici agli dèi, c’era uno scaricabarile: un complesso rituale per ovviare a quel senso di colpa che, scrive lo psicanalista ebreo Erich Fromm (1900-1980) nell’”Anatomia della Distruttività Umana”, già i primi umani provavano quando (evidentemente per necessità e loro malgrado) uccidevano l’orso. Come scrive lo storico delle religioni Walter Burkert (1931 – 2015) nel classico “Homo Necans”, nell’antica Grecia l’animale sacrificale era lavato e spazzolato, adornato, condotto all’altare in processione. Irrorato con acqua benedetta, in modo da fargli scrollare la testa: gesto che veniva interpretato come un Sì al sacrificio. Ad Atene, i sacerdoti fuggivano, fingendo il panico. Il coltello era processato e condannato alla distruzione.
Come ricorda anche il filosofo inglese John Locke (1632 – 1704), in Inghilterra i macellai (che già nei dizionari dell’epoca erano sinonimo di “sanguinari”) non potevano essere giurati nei casi ove l’imputato rischiava la pena di morte.
IL DISGUSTO VERSO I CADAVERI SUGGERISCE: MANGIARE CARNE NON è NATURALE
Noi diciamo: De gustibus non disputandum est. Ma qui si tratta di uccisioni e maltrattamenti. E di per sé la carne non ha un gusto naturalmente buono come la frutta. Nota Foer:
“Perché il gusto è dispensato dalle regole etiche che governano gli altri sensi? Perché un arrapato non ha il diritto di stuprare un animale mentre un affamato ha il diritto di ucciderlo e mangiarlo?” (pag. 103)
Per parte mia, vorrei citare uno scrittore a me caro, il greco Plutarco (45 - 120), anche lui di formazione filosofica come Foer che nel “Del mangiare Carne” (“De esu carnium”) scrive che la caccia è sorta dalla ingordigia e dal lusso:
“Tu chiedi per quale ragione Pitagora si astenesse dal mangiar carne; io, invece, mi chiedo stupito con quale sentimento, con quale stato d’animo o in base a quale ragionamento il primo uomo abbia toccato con la bocca ciò che era frutto di un assassinio. (…) che mangiare carne non sia per l’uomo secondo natura, è dimostrato dalla struttura dei corpi. Il corpo umano non rassomiglia a nessuno di quelli generati per mangiare carne, non ha becco adunco, non ha artigli appuntiti, non ha dentatura ineguale, non ha stomaco robusto, non ha umori caldi capaci di digerire la pesante alimentazione carnea…”
“attenuano l’odore di sangue con innumerevoli condimenti, perché il gusto, ingannato, accetti ciò che per natura gli è estraneo”, “abbiamo bisogno di condimenti come se veramente preparassimo un cadavere per la sepoltura. Ciò nonostante è difficile da digerire”
(Gli stessi ottimi argomenti li riprenderanno non a caso due grandi umanisti nonché lettori, studiosi ed ammiratori del buon Plutarco: Erasmo e Montaigne). Ed infatti Foer testimonia questo senso di disgusto innato:
“Ho perso l’appetito alla vista e all’odore del mattatoio” (pag. 178)
(Anche Tolstòj visitò due mattatoi e ne rimase inorridito: vedasi le pagg. 32 e 85-93 della già citata raccolta di scritti “Perché sono vegetariano” ove descrive anche di un bue scorticato ancora vivo!). Per chi volesse ulteriormente approfondire, leggere Rifkin: è lui che, da storico dell’economia, spiega in dettaglio tutta la storia di come gli USA siano arrivati a ciò. E a ben poco serve lo Humane Methods of Slaughter Act del Presidente Eisenhower del 1958 se le Lobby impediscono degli autentici controlli su questi campi di concentramento e sterminio.
L’INSOSTENIBILITA’: 800 MILIONI d’AFFAMATI

TROPPE MUCCHE, TROPPI PASCOLI TRAMUTATI IN CAMPI di CEREALI

PER INGRASSARE LE BESTIE DA MACELLO:

LO SAPEVATE CHE CAUSA SURRISCALDAMENTO GLOBALE?

QUEST’INDUSTRIA NON CREA BUON LAVORO: SCOMPARSI GLI ALLEVATORI
Un altro quadro shock della pittrice americana Sue Coe

Questo sfruttamento rassomiglia al lavoro minorile:

“si tratta in entrambi i casi di creature vulnerabili e sfruttabili quasi all’infinito se altri non intervengono” (pag. 237).

“L’allevamento intensivo è solo una questione di soldi” ed è “la ragione per cui sta fallendo”, dice Nicolette, la moglie del fondatore del Niman Ranch (pag. 225). Come ho ricordato al mio Speciale Cineforum all’Expo Milano 2015 (http://lelejandon.blogspot.it/2015/05/speciale-cineforum-in-expo-milano-2015.html), al mondo ci sono 800 milioni di persone affamate. Ma un terzo dei cereali va agli animali destinati alla morte!

Da una parte,

mai, nella storia dell’uomo, una parte così consistente di popolazione – circa il 20%- ha sofferto per malnutrizione” (Rifkin, pag. 204)

e dall’altra

mai, nella storia, gli uomini sono stati così sovrappeso” (Rifkin pag. 192),

con tutte le malattie correlate, e l’ossessione nevrotica delle diete e l’aumento di anoressia nervosa e bulimia. Aggiungo che già Tolstòj scriveva che “in molti muoiono perché mangiano troppo” (“Perché sono vegetariano”, cit., pag. 14).

Trasformare tutte queste tonnellate di cereali e mais, prodotti che potrebbero sfamare tutti gli affamati del mondo, in etanolo o cibo per animali condannate a precoce morte, è un “crimine contro l’umanità” (pag. 227). Questa sì che è una “sconfitta dell’umanità” per usare le parole che un cardinale ha usato per definire l’estensione della libertà matrimoniale alle coppie gay innamorate.

“¼ delle terre emerse sono usate per nutrire bovini e altro bestiame” (Rifkin, pag. 177):

perché il Papa non lo dice, quando denuncia l’odiosa, imperdonabile contraddizione dei Paesi che mangiano troppo e dei Paesi che non mangiano a sufficienza?

Gli americani macellano ogni giorno 100 mila mucche, fra i 13 ed i 30 anni mangiamo 5 hamburger a settimana, e sono carnivori soprattutto gli Stati culturalmente arretrati del Sud (Rifkin, pag. 178): fondamentalisti repubblicani, pro-armi, anti-Welfare, omofobi. Mi viene in mente la citazione dall’ultimo film che ho presentato al Cineforum, “Women – If These Walk Could Talk 2”, quando nel primo dei tre episodi la bambina manifesta il proprio naturale impulso compassionevole nei confronti di un animale in giardino, e corre dal padre che subito lo reprime: “Papà, c’è un uccellino che è caduto, che cosa devo fare?”, e quello, senza fare una piega, le risponde: “Lascialo stare, significa che non deve farcela”.

L’economista indiano Premio Nobel per la Pace Rajenda Kumar Pachauri, sostiene che tutto il mondo dovrebbe optare per la dieta vegetariana (che, ricordo, è quella mediterranea, e non carnea, come pretende il nostro attuale ignorantissimo ministro della salute)  solo per ragioni ambientali.

Ma resistono i miti, diffusi anche dal nostro ministro: “molti americani sono convinti che una riduzione di proteine animali potrebbe, in qualche modo, compromettere la loro salute, rendendoli più deboli e meno virili” (Rifkin, pagg. 201 – 202), col risultato che “agli americani e gli europei si stanno letteralmente uccidendo di cibo”.

Nel 1917, a causa del blocco navale intorno ai territori occupati dall’imperialismo tedesco, i danesi dovettero stare senza carne, cibandosi solo di patate ed orzo: ebbene, quell’anno il tasso di mortalità scese del 34% (Rifkin, pag. 197). La carne provoca infarto cardiaco, ictus e cancro (al seno, al colon e alla prostata). Colin Campbell, della Cornell University, autore di un grandioso studio che mostra questa correlazione, dice che

siamo una specie vegetariana” (Rifkin, pag. 200)

E che non esistono nutrienti nella carne che non si trovino nei cibi vegetali. Se non mutiamo stile di vita,

“si sta preparando una crisi alimentare di proporzioni planetarie” (Rifkin, pag. 189)

E’ un sistema innaturale che, complici questi maledetti pesticidi e fertilizzanti petrolchimici, ha creato una

“artificiosa catena alimentare che affama i poveri” ed è “una nuova forma di crudeltà” (Rifkin, pag. 184)

Come spiega Rifkin (pagg. 254 – 262 del suo libro “Ecocidio”), quando le piante muoiono o sono bruciate, rilasciano nell’atmosfera tonnellate di carbonio accumulato dall’anidride carbonica C02 (nel processo di fotosintesi clorofilliana). Nel 1987 le cattive leggi del corrotto Brasile favorirono un boom d’inquinamento: “Secondo la legge brasiliana, per accampare diritti su terre demaniali nella regione delle Amazzoni la prima cosa da fare è abbattere la foresta per dimostrare di volersi seriamente impegnare a svilupparla” (Rifkin, pag. 222). E siccome l’industria ha alimentato la fame di carni rosse, l’industria ha bruciato tante terre che prima erano di pascoli per tramutarle in campi per la coltivazione di cereali che servono ad ingrassare perlopiù quelle povere bestie da macello! Negli anni Sessanta, fu anche a causa degli “aiuti finanziari” della Banca Mondiale che quasi tutto il Sud e Centroamerica ha incominciato il trend inarrestabile di tramutare milioni di ettari di foresta pluviale e di terreni agricoli in pascoli per alimentare un’industria che non produce lavoro, anzi: la media dell’allevamento bovino tropicale è di un addetto ogni 2000 capi di bestiame, cioè un uomo ogni 30 KM quadrati (Rifkin pag. 172).

“Contrariamente a quanto si crede, ogni anno i poveri diventano più poveri” (Rifkin, pag. 203).

Nel Centro e nel Sud America, “costretti a decidere se nutrire gli uomini o gli animali, i latifondisti locali e le élite urbane di potere hanno scelto gli animali” (Rifkin, pag. 172), provocando miseria, emigrazione, bidonvilles e fame.

“Se la terra è seminata a soia, c’è meno mais a disposizione per l’alimentazione umana, e questo ne determina un aumento del prezzo” che ricade “sulle spalle dei poveri”; altro esempio: “i fagioli neri, tradizionalmente alimento cardine della dieta contadina brasiliana”: “gli agricoltori hanno smesso di coltivarli, preferendo dedicarsi alla più redditizia soia per alimentazione animale” (Rifkin, pag. 171).

LA DISTRUZIONE DELLA FORESTA PLUVIALE TROPICALE,

LA DESERTIFICAZIONE E LE GHOST TOWN ECOLOGICHE,

l’ESTINZIONE DEGLI ANIMALI

“Gli astronauti hanno riferito di aver visto centinaia di fuochi nella regione amazzonica” (Rifkin, pag. 223), antichissima e fragile che è studiabile solo da una dozzina di super-scienziati al mondo e che ospita 1/5 di tutte le forme viventi terrestri.

“Senza la ricca diversità biologica che si riscontra nella foresta pluviale di Centro e Sudamerica le generazioni future non saranno in grado di disporre di nuovi alimenti, farmaci, prodotti, fibre e fonti energetiche” (pag. 225)

“1/4 di tutti i farmaci sono derivati da piante tropicali”, “il 70% delle piante che hanno proprietà anticancro proviene dalla foresta pluviale tropicale”, “molte procedure chirurgiche dipendono dalla corteccia di una liana che cresce nella foresta pluviale del Sudamerica: il curaro”, “La D-turbo turbo curarina e altri alcaloidi, utilizzati per rilassare i muscoli scheletrici durante delicati interventi chirurgici, derivano da diverse specie vegetali” che fioriscono lì (pag. 225)

Ma la cosa pazzesca è che lavorare questo suolo così sottile è antieconomico: entro 8 anni sospendono gli allevamenti a causa dell’impoverimento della terra.

In generale, i troppi bovini (brucando di tutto, persino cactus e cortecce degli alberi e calpestando continuamente coi loro pesanti zoccoli) provocano desertificazione ed erosione in tutto il mondo, ma queste “sono considerate “esternalità”, un costo secondario di produzione” (pag. 231). La pressione degli zoccoli da una parte riduce la quantità d’aria fra le particelle del suolo, diminuendo la quantità d’acqua che può essere assorbita e dunque il terreno diviene più esposto alle piena dei fiumi; e dall’altra distrugge i miliardi di microrganismi fondamentali nel mantenere la fertilità e lasciando senza cibo le altre specie animali. “Non più trattenuti dalle radici o riparati dall’azione diretta dei raggi del sole, gli strati superficiali vengono erosi dal vento o trascinati via dalle acque” (pag. 233).

Stanno estinguendosi dal West animali selvatici: antilocapre, alci, cavalli selvaggi, asini, coyote, lupi, uccelli e pesci e ”i grandi ungulati sono spinti a migrare verso terre marginali ove li attende una lenta morte per denutrizione” (pagg. 236-7). E, venendo a mancare i predatori, proliferano le loro prede: “conigli selvatici, citelli, topi canguro, ghiri”. E il governo, anziché ripristinare l’equilibrio, sparge cereali avvelenati con mezzi aerei! E il costo di tale sterminio è superiore alle perdite subite dagli agricoltori a causa degli animali selvatici di cui si fa quest’assurda caccia! Il West è stato “trasformato in una landa desolata” (pag. 242).

E “le aree alluvionali, vere e proprie oasi del West, si sono trasformate nell’equivalente ecologico delle città fantasma” (pag. 232).

Stesso problema in Australia ed in Africa ove “come i predecessori colonialisti, i governi erano ansiosi di esercitare il controllo” sui popoli: per provare a scoraggiare il nomadismo, introdussero la “perversa prassi dei pozzi profondi”, sperando che avrebbe indotto i pastori ad interrompere il ciclo della transumanza legata alla stagionalità delle piogge. Ma la conseguenza fu un guaio: immaginando come fonte inesauribile l’acqua, le tribù hanno aumentato il numero di bovini che hanno spogliato in pochi anni la vegetazione attorno ai pozzi maledetti. Risultato? “Mandriani e agricoltori sono in competizione per la poca terra rimasta”. In Botswana, ove metà delle persone possiede bovini, il governo incentiva l’allevamento intensivo, e gli allevatori hanno minato l’equilibrio della fauna cingendo la savana di migliaia di KM di filo spinato, facendoli morire di fame e sete o morire impigliati nel filo (Rifkin, pag. 246). E la desertificazione provoca esodi di profughi dalle campagne isterilite verso le città.

GLI EROICI ATTIVISTI UCCISI
Berta Cáceres, l'attivista uccisa in Honduras pochi giorni fa

Proprio di pochi giorni fa è la notizia che è stata uccisa (dopo tre membri delle comunità che rappresentava) con quattro colpi in testa Berta Cáceres, attivista ambientale (Goldman Environmental Prize) per la difesa dei popoli amerindi dell’Honduras (il Paese più pericoloso per gli ecologisti secondo l’ONG “Global Witness”) dal land grabbing (espropriazione per pochi spiccioli di terre a fini di deforestazione per farne pascoli per ingrassare animali da macello): per esempio, era merito suo se si era impedita la costruzione di una diga per un complesso idroelettrico che avrebbe violato la Convenzione sull’autodeterminazione dei popoli indigeni (1989).  

Un’eroina giacché diceva:

“So che mi uccideranno, perché è facile uccidere chi si batte per la difesa dell’ambiente”

E il governo, trovandola scomoda, l’ha lasciata senza protezione e accusata di essere una terrorista, arrestata e perseguitata. Una donna dalla  coscienza ecologica che le derivava anche dalla sua spiritualità panenteistica: “Quando ho incominciato a combattere per il Rio Bianco, potevo sentire quello che il fiume aveva da dirmi”. Poco dopo, è stato ucciso anche un suo compagno attivista, Nelson Garcia.
NEW YORK e BOSTON diventeranno TROPICALI...

Inoltre, le mucche e le termiti sono troppe ed emettono metano, un gas serra e quindi global warming (febbraio 2016 è stato lo scostamento rispetto alla temperatura media mensile mai registrato: di 1, 35 gradi). Le piante producono sostanze che controllano la crescita delle termiti, ma quando gli alberi sono abbattuti, le termiti crescono, e si sospetta che questa sovrappopolazione pure contribuisca a causare emissioni di metano nell’atmosfera. Entro il 2030, NY e Boston potrebbero essere tropicali come Miami, il Midwest desertificato, i grandi fiumi tramutati in fango secco, e uragani 50 volte più distruttivi radere al suolo città come Baltimora. Il livello del mare potrebbe alzarsi sino a sciogliere le calotte polari e l’acqua salata del mare invadere le pianure rendendo salmastra quella di laghi e fiumi e rendendo ancora più scarsa la disponibilità di acqua dolce. Le Isole Maldive e i Caraibi sarebbero sommersi come la mitica Atlantide. E profughi verrebbero anche dall’Egitto che perderebbe il 15% dei terreni agricoli del Delta del Nilo lasciando senza casa 1/7 degli egiziani. Non potremmo più costruire palazzi, dighe, ponti, fogne e strade.
L’eccesso di coltivazione sta già minacciando le riserve d’acqua dolce (un tempo considerata risorsa inesauribile): aumenta la popolazione, aumentano i fabbisogni di cereali per le vacche, aumenta il fabbisogno d’acqua (quasi metà dell’acqua consumata negli USA è destinata a loro, alle mucche).
Come accennava Foer, le mucche producono tonnellate di sterco che si riversa nelle falde, inquinando (per ben metà) le acque ed uccidendo i pesci.

Mentre dilagano tumori del colon e del seno, e il Professor Umberto Veronesi, ex ministro della salute (che stima che sia del 30% l’incidenza del cibo sul cancro) ci propone nei suoi libri le ricette per la dieta vegetariana (la dieta mediterranea è, in origine, vegetariana!), il nostro ministro della salute, senza laurea eppure saccente e loquace, ancora una volta va contro l’OMS: dopo aver detto che l’omosessualità è una malattia (contro il parere OMS del ’93), ora dice che mangiare bistecche fa bene alla salute dei bambini.
“In  natura”, che (ricordo) deriva dal latino nascitura (che deve nascere), “la capacità generativa, non la produttività, è misura della sostenibilità”, dice Rifkin. “Abbiamo annullato la nostra dipendenza dalla natura” e “scegliendo di non mangiare carni bovine, manifestiamo la volontà di fondare una nuova alleanza con queste creature”.
Per completare il quadro, l’industria zootecnica produce disoccupazione:
Nel 1930 più del 20% della popolazione americana lavorava nell’agricoltura. Oggi è meno del 2%” (Foer, pag. 177) nonostante la produzione agricola sia sempre esponenzialmente aumentata. “Gli agricoltori hanno una probabilità di suicidarsi quattro volte superiore a quella della popolazione generale”. “Gli unici posti di lavoro creati dal sistema industrializzato sono o di tipo burocratico (pochi) o non qualificati, pericolosi e pagati una miseria (molti). Non ci sono allevatori negli allevamenti intensivi”! (pag. 177)
Martin Luther King Jr aveva fiducia che:

“Un giorno l’assurdità della credenza quasi universale della schiavitù degli altri animali sarà palpabile. Allora noi avremo scoperto le nostre anime e saremo divenuti più degni di condividere questo pianeta con loro”

LELE JANDON
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