martedì 3 novembre 2015

Alzheimer, Conviverci al Meglio: Comunità Friendly, Collaborazione Civile, Ingegnosità, Ascolto Attivo ed Empatico, Musica, Pittura, Bambole, i Caffé. Le Meraviglie della Memoria del Cuore, le Geniali Intuizioni di Naomi Feil e Britt-Marie Egedius-Jakobsson e Frans Veldman: usare creativamente l'Immaginazione Morale. “Iris” apre la mia Rassegna “I Nostri Angeli” al Cinema Gregorianum


di LELE JANDON
UN MODO NUOVO di TRASCORRERE il GIOVEDI' SERA A MILANO:
il Cineforum tematico "I Nostri Angeli" al Cinema Gregorianum 

Nell'immaginario religioso (dai poeti Greci antichi Esiodo e Menandro all'antica religione zoroastriana alla Bibbia ebraica ai vari cristianesimi all'Islam), gli Angeli sono: Messaggeri (ánghelos, in greco, attributo del dio Hermes, significa "messaggero") e/o Accompagnatori-Compagni ("Custodi") e/o Collaboratori-Assistenti e Mediatori, connectors (come avremo modo di approfondire al Cineforum sul 
film "Séraphine" giovedì 3 dicembre alle ore 20 alla rassegna "I Nostri Angeli" al Cinema Gregorianum). 

Gli Angeli sono presenti nei capolavori del Cinema: da "Angels in America" (del regista ebreo Premio Oscar Mike Nichols, lo stesso di "The Birdcage" che vedremo alla Casa dei Diritti domenica 20 dicembre alle ore 16) a "Il Cielo Sopra Berlino" e "Così Lontano, Così Vicino" del regista cristiano Wim Wenders, e oggi c'è anche un telefilm "Josephine Ange Gardien" che ha per protagonista una donna la quale è un angelo assistente. 
"NON E' DETTO CHE SIANO UOMINI ALATI, GLI ANGELI",
scrisse il poeta tedesco Rudolf Otto Wiemer. 

Ma

"non è detto che siano esseri umani alati,/gli angeli",

scrisse in una poesia il poeta e pedagogo tedesco Rufolf Otto Wiemer ("Der Augenblick ist noch nicht vorüber", Kreuz Verlag, Stuttgart 2001).


Nelle nostre vite ci càpita d'incontrare i nostri amici e Compagni di Vita, che -appunto- ci accompagnano nelle gioie e nei dolori; di stringere collaborazioni con assistenti (familiari e di lavoro) insostituibili che ci fanno allargare il nostro concetto di famiglie (le tate, le colf, i nostri familiari a quattro zampe); e, terzo ma non meno importante, persone speciali che, col loro sguardo e i loro gesti e la loro diplomazia, creano ponti e ci recano un Messaggio ("Non siamo messaggio, siamo i messaggeri/Il messaggio è l'amore" citando Wim Wenders): la loro sintonia, il loro contributo, la loro vicinanza ci fanno vedere la vita con occhi nuovi, come una benedizione, e l'esistenza si colora di gioie quotidiane, gratitudine e senso.
Un angelo visto da un cristiano:
Michelangelo, Basilica di San Domenico



Per il "Doctor Angelicus" Tommaso d'Aquino, "genio italiano" secondo il teologo Matthew Fox nostro Ospite il mese scorso alla Casa dei Diritti, gli Angeli sono esseri spirituali puramente intuitivi i cui ragionamenti morali sono pure intuizioni.
Così, con "intuizione", si può altresì tradurre la parola tedesca Einfühlung usata da Husserl ed Edith Stein per indicare l'empatia (il cui corrispettivo religioso è la parola "compassione"): non a caso, la filosofa uccisa ad Auschwitz  aveva studiato Tommaso (di cui aveva tradotto le "Quaestiones De Veritate", cogliendo e sottolineando le rassomiglianze fra i due filosofi soprattutto sul ruolo dato all'intuizione, che nel teologo cristiano medievale era riferita ai princìpii primi e alla coscienza morale, mentre nel suo maestro ebreo valeva anche per il vissuto soggettivo della persona umana). 

I nostri valori più forti non sono altro che intuizioni morali, tantoché esiste un filone della psicologia sperimentale chiamato intuizionismo che ho illustrato nei miei articoli del Blog (http://lelejandon.blogspot.it/2014/08/le-intuizioni-morali-innate-come-i.html).
INTUIZIONISMO. Lele Jandon è stato l'unico
in Italia ad aver recensito approfonditamente
il grande libro dello psicologo americano. 

Ed esistono persone dotate di straordinaria intelligenza emotiva, od empatia o compassione che dir si voglia, una saggezza del cuore che non c'entra con l'istruzione (come il servo di Ivan Il’ic nel racconto-capolavoro di Tolstòj, l’unico ad avere compassione di lui e a farlo stare meglio) che fa creare nuovi campi, nuovi metodi, nuovi approcci e scienze.
Come la dottoressa Marie de Hennezel, la quale dichiara espressamente di avere abbandonato il dogma "Non-Toccare!" della psicanalisi per seguire il proprio intuito (pag. 186 del suo libro), la sua intuizione morale che le ha fatto sviluppare l'approccio tattile-affettivo con le persone ammalate terminali.
Ebbene, queste figure straordinarie noi sappiamo riconoscerle, essergli riconoscenti e valorizzarle?
EBREI. Gli angeli visti dalla fede ebraica. 

Sappiamo meravigliarci e provare gratitudine che, scriveva quest’estate David Brooks sul “New York Times” (2015/07/28) è la capacità di lasciarci meravigliare piacevolmente dagli atti di gentilezza?

Queste opere (di cui in questo video di un minuto vi do un assaggio: https://www.youtube.com/watch?v=83t4M92qnX8) contribuiranno, emozionandoci, ad accendere la nostra immaginazione morale, quella capacità d'immaginarci nei panni dei nostri vicini, che potremo portare nella società civile e nelle relazioni umane: nelle varie scienze, nelle scuole, nelle aziende, nella vita sociale e politica.

C'è John, il marito ed assistente della scrittrice Iris Murdoch che le trascrive a macchina i testi redatto a mano: l'unico che l'ama sino alla fine, anche quando lei ha l'Alzheimer.
ISLAM. Un angelo visto dall'Islam illuminato.
Un grande studioso di angelologia e dell'Islam Sufi
fu Henry Corbin (Parigi 1903 - 1978). 

C'è Anne, la domestica che viene dalla bellissima Estonia: l'unica che sa sinceramente ascoltare la storia dell'autoreclusa snob Frida (una fascinosa Jeanne Moreau) che si ritrova senz'amici e non sa godersi la bellissima Parigi.

C'è Nonna Nanette (Ellen Burstyn): l'unica a saper ascoltare senza giudicare il nipote James -giudicato da tutti un eccentrico perché non ama stare coi coetanei- e intuire i suoi bisogni. 

C'è il critico d'arte gay Wilhem Uhde, scopritore di Séraphine de Senlis: l'unico a riconoscere il valore del genio della pittrice autodidatta ispirata dagli Angeli e giudicata (solo) una matta.
Il teologo Tommaso d'Aquino fu detto "Doctor Angelicus"

C'è Hachiko (dal nome giapponese dell'8, simbolo d'infinita fedeltà), il bellissimo cane di razza Akiko che un bel giorno sceglie come proprio padrone Richard Gere: l'unico che lo va ad accogliere ogni pomeriggio alla stessa ora alla stazione quando scende dal treno di ritorno dal lavoro.


Alla Serata Cineforum sul film "Séraphine" giovedì 3 dicembre
alle ore 20 puntuali Lele Jandon vi racconterà
l'immaginario religioso sugli angeli. La pittrice francese autodidatta,
che aveva anche un nome in onore degli angeli serafini, si diceva ispirata
da un angelo che le appariva e la incoraggiava a creare. 

C'è Rudy, il bimbo compagno di giuochi di Liesel: l'unico coetaneo ad amare quella bimba innamorata della lettura giudicata strana dai coetanei che vedremo nel film in occasione della Giornata della Memoria.
E c'è il padre magnanimo che le fa leggere i libri proibiti dal nazismo e il giovanotto ebreo (il protagonista del film "Pride") che le fa compagnia mentre è nascosto a casa sua.

E poi ci sono le persone di cui vi racconterò le storie prima e dopo i film: per esempio, al primo cineforum vi parlerò di Marie de Hennezel, la psicanalista junghiana che è come un angelo per le persone malate terminale che lei accompagna come faceva il dio greco Hermes, il cui epiteto, oltreché anghelos, era anche psychopompos, accompagnatore di anime nell'aldilà; Britt-Marie Egedius-Jakobsson, psicologa svedese che ha avuto la geniale idea di creare la terapia delle bambole per il figlioletto malato terminale, terapia che reca gioia anche agli ammalati d'Alzheimer; e Naomi Feil, il cui metodo validation (che ho studiato ad un apposito corso e che consiste appunto nell'intuire anziché nel far pretendere di ragionare le persone con Alzheimer) ci permette di entrare in una relazione corretta con queste persone.
L'Hermes Alato del Museo Pushkin di Mosca. Un epiteto
del dio greco Ermes era "anghelos": messaggero. 

Ho selezionato per Voi questi primi sei splendidi film a tematica spirituale. La spiritualità, secondo me, significa approfondimento: approfondire la logica delle nostre emozioni, delle nostre visioni e delle nostre relazioni. Significa fermarsi e sof-fermarsi sulle nostre intuizioni morali. Solo la spiritualità crea l'Arte.
Commenteremo insieme, col contributo di tutti voi, con le vostre storie, aneddoti ed esperienze, e con gli spunti che vi fornirò prima e dopo il film, personaggi indimenticabili, interpretati con "recitazione profonda" di attori Premi Oscar (Ellen Burstyn, Kate Winslet, Judi Dench, Jim Broadbent e Geoffrey Rush) e due attrici Premi César (Jeanne Moreau e Yolande Moreau) e dall'enfant prodige Sophie Nélisse in queste sei meravigliose pellicole commentate da compositori da Oscar (di cui tre storie vere, "Hachiko", "Iris" e "Séraphine") e due tratte da bestseller ("Storia di una ladra di libri" e "Un giorno questo dolore ti sarà utile") e tre da storie vere ("Iris", "Séraphine" e "Hachiko"). Partiremo con un commovente film ("Iris - Un Amore Vero") introvabile nelle videoteche: una bellissima storia d'amore. 

Il Mio Cineforum sulla Cultura della Visibilità dell’Alzheimer
Sapere come Relazionarsi con questi Nostri Concittadini: Parte Integrante della Nostra Educazione Civica
Il Cineforum sui Diritti Umani alla Casa dei Diritti del Comune di Milano

Le tragedie sono fatti che possono accadere, scriveva Aristotele, esprimendo così il senso del teatro tragico. Oggi ce le racconta anche il buon Cinema, come nel film "Still Alice", che, ha detto Maria Shriver, è stato per l'Alzheimer ciò che "Philadelphia" è stato per l'AIDS; un film opera di Richard Glatzer e Wash Westmoreland, una coppia gay sposata che sapeva bene cos'è una malattia degenerativa (avendo il primo una SLA che lo ha spento tre mesi dopo le riprese). Glatzer ha lavorato grazie all'ausilio dell'Ipad e credo che la tecnologia abbia sicuramente ispirato le strategie ideate dalla protagonista (interpretata da Julianne Moore, vincitrice del Premio Oscar per questo ruolo). L'Alzheimer può capitare non solo a nostra madre, nostro padre, nostra nonna o nostro nonno od al nostro professore, ma anche a nostra moglie o marito dal momento che pure esistono forme precoci, come nel caso presenile di Rita Hayworth, alla quale fu diagnosticato con dieci anni di ritardo per via del fatto che beveva molto, così come fu diagnosticato dieci anni dopo a Ronald Reagan le cui gaffes sono state studiate dai ricercatori che gliel'hanno retrodatato a parte post.: sono solo due delle storie delle personalità che vi racconterò (da Peter Falk a Charles Bronson a Charlton Heston ad Annie Girardot) perché questi volti famosi aiutano a dare consapevolezza alle persone coinvolte che non sono sole al mondo, e che l'Alzheimer non risparmia i ricchissimi attori di Hollywood e la malattia è davvero livellatrice.
L'Alzheimer, contestualmente all'aumento della durata della vita, cresce anche nella nostra città, ed è incurabile. Il Comune di Milano sta facendo la sua parte, pioniere anche in quest'àmbito, mentre il governo latita non mostrando coscienza della pandemia, e i grandi Leader da Obama a Cameron (il quale sa bene cosa significhi vivere con una malattia cerebrale avendo perso il figlioletto di sei anni per la sindrome di Ohtahara) investono milioni per il benessere di queste persone. E allora, come possiamo attivarci noi come società civile, tantopiù dinanzi ad un governo che non fa il suo dovere e che nel nostro Paese i media non ne parlano, e che spesso queste persone non escono di casa e le famiglie provano vergogna e paura o come nel  caso dei colleghi della protagonista del romanzo “Still Alice” la evitano? Usare la nostra creatività, il nostro ingegno, al servizio della collaborazione attiva con questi nostri concittadini: ciascuno di noi può attivare e sviluppare l'intelligenza delle emozioni, il nostro QE, quoziente di empatia come dice il grande psichiatra ebreo di Cambridge Simon Baron-Cohen, per far emergere e ricordare le emozioni. Sapere come relazionarsi con questi nostri concittadini che possiamo incontrare anche per caso smarriti per strada dovrebbe far parte integrante della nostra educazione civica che ci definisce come buoni cittadini, esattamente come conoscere le tecniche di pronto soccorso.  Non infantilizzare, ma, come dice il gerontologo inglese Tom Kitwood, trattare nella maniera in cui noi stessi vogliamo essere trattati (che è la “regola d’oro” comune a tante religioni) quindi evitando le bugie cosiddette terapeutiche, che ledono la dignità della persona e che sono state ben descritte nel racconto di Tolstòj “La morte di Ivàn Il’ìc”, 45enne ammalato di una malattia misteriosa e che si sente solo pur essendo in casa con i suoi familiari che fanno finta che non stia per morire perché ammetterlo non sarebbe decoroso (come fanno quei familiari che tengono i propri genitori ammalati d’Alzheimer segregati in casa perché se ne vergognano). Non mentire con cosiddette bugie terapeutiche bensì accogliere con autenticità, considerato anche che, come Alice nel romanzo e nel film, chi ha l'Alzheimer affina la sua sensibilità al linguaggio non verbale, ai toni di voce in primis che devono essere caldi e coerenti con le emozioni del nostro interlocutore. Ascoltare con un ascolto attivo ed empatico, dice il grande psicologo umanista Carl Rogers della cui lezione ha fatto tesoro Naomi Feil, cresciuta in una struttura per anziani ove lavoravano i genitori ed ha ideato l'omonimo metodo per convalidare le emozioni di queste persone, metodo Feil o metodo validation che a Milano è insegnato dalla signora Cinzia Siviero.
Persone di straordinaria empatia hanno creato cure non mediche di provata efficacia, come appunto la Feil o Britt-Marie Egedius Jakobsson, psicologa che aguzzò l'ingegno dinanzi al figlioletto ammalato terminale e, vivendo in un fantastico villaggio della Svezia specializzato nel raffinato artigianato delle bambole, ha creato la terapia delle bambole e dei bambolotti; o come la pittrice americana Hilda Gorenstein, diventata apatica e non comunicativa, che alla proposta lanciatale dalla figlia "Vuoi dipingere?", rispose: "Sì, ricordo meglio quando dipingo", da cui son nati sia le creative therapies sia il documentario "I Remember Better When I Paint" di cui vi ho mostrato un estratto in esclusiva italiana al mio Cineforum alla Casa dei Diritti il mese scorso.  Rita Hayworth si dedicò alla pittura con gioia, che le rievocava bei ricordi, le donava pace della mente e senso d'identità, e sua figlia, la principessa Yasmin Aga Khan, che rinunziò alla carriera per assistere la madre ammalata, ha deciso di trasformare un handicap in un'azione positiva diventando un'attivista filantropa per fare informazione, cultura della visibilità e raccogliere fondi per le ricerche scientifiche e non mediche come appunto l'art therapy, che è possibile grazie al fatto che l'Alzheimer attacca tardi le zone del cervello legate alla creatività, sicché queste persone restano dotate d'immaginazione e spirito creativo e volentieri dipingono perché riescono così ad esprimere le proprie emozioni e personalità con bei colori vivaci. Ricorderete James Hillman che alla domanda "Qual è il senso della nostra così lunga vecchiaia?" aveva risposto l'esplorazione del carattere, di ciò che resta di noi (quell’insieme di caratteristiche che ci rendono unici e memorabili): ebbene, l'Alzheimer colpisce proprio in quest'età e pare colpire proprio la "personalità". Ma Alice dice nel suo grande Discorso: "La mia identità è qualcosa che trascende neuroni, proteine e difetti molecolari del DNA".
Allora, dobbiamo far liberare questo carattere proprio grazie a terapie come quella dell'arte, quando essa non si può esprimere a parole. E se, come ricorda la psicanalista Enrichetta Buchli, la quale mi ha dato l’idea geniale di questa rassegna, nelle civiltà passate si è sempre valorizzato i vecchi come fonte della memoria collettiva (tantoché nell’inconscio collettivo studiato da Jung il vecchio è archetipo del Saggio), come facciamo nel caso in cui l’Alzheimer colpisce proprio la memoria? Divengono “inutili”? No: qui viene in ausilio l’ascolto empatico di Naomi Feil: non correggere gli errori di memoria, bensì far parlare queste persone che hanno tante storie da raccontarci ed emozioni da condividere.
Tom Kitwood ci rammenta il ruolo dei credenti nell'alleviare la sofferenza, che, prendendo spunto dall'ebreo Gesù di Nazaret (il quale dedicò gran parte della sua attività proprio a prendersi cura degli ammalati nel corpo e nella mente), cercano di usare la sofferenza creativamente, anche se il dolore resta un grande mistero. Dice altresì che anche quando la mente perde di lucidità, la vitalità spirituale continua.
L'ESCLUSIVA MILANESE: Matthew Fox, Ospite in esclusiva a "Il Cinema
i Diritti - il Cineforum di Lele Jandon
" ha parlato anche degli angeli.

Lo scorso mese, col nostro Ospite Matthew Fox abbiamo ricordato quanto sia importante condividere il dolore (lui dice la "Via Negativa") e di quanto abbiamo bisogno di nuovi riti che ci aiutino a “fare lutto” (come conferma anche la dott. De Hennezel nel suo libro “La morte amica” ove ci testimonia che a lei per prima nessuno è stato d’aiuto nell’elaborare il suicidio del padre) e ciò vale nel caso delle persone i cui familiari hanno l’Alzheimer perché sovente vicono un “lutto anticipato”. Se lo viviamo sino in fondo, argomenta questo grande profeta contemporaneo, sapremo riconoscerlo nel nostro prossimo diventiamo persone compassionevoli capaci di accogliere il dolore del nostro vicino e trarre ispirazione per mettere la nostra creatività al servizio della trasformazione sociale.
La nostra trattazione dell'Alzheimer terrà conto di tutte e quattro le Viae brillantemente individuate da Fox: Via Negativa, Via Positiva, Via Creativa, Via Transformativa (cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2015/09/le-4-viae-di-matthew-fox-ospite-in.html).
Nel romanzo, Alice prende l'iniziativa di creare un gruppo di sostegno e confronto, per condividere il dolore e l'autoironia (che pure è un abbandono che è Via Negativa) terrà la sua più importante conferenza della sua vita per dire il messaggio che lei è sempre sé stessa ("Still Alice", appunto).
Come dice il filosofo ebreo Max Scheler, l'ammalato resta persona anche quando è malato nella mente, mentre furono proprio queste persone il primo target del progetto eliminazionista del nazismo che partì dalle case di riposo. Nella stessa ottica della Comunità come cerchio, a Milano, l'associazione "Al Confine" ha creato gli Alzheimer Café, ideati dallo psichiatra olandese Bére Miesen nel '97 e ormai diffusi in tutta Europa e negli Stati Uniti. Altri esempi di creatività ci vengono dal romanzo ove i figli le donano un film con le interviste di chi la ricorda, e il bel gesto di un ex allievo di Alice che nell'esprimerle la sua gratitudine per avergli trasmesso la passione per la materia da lei insegnata, le porge una lettera ove le scrive questi sentimenti, che lei potrà sempre rileggere quando nel frattempo se ne sarà scordata ed anche il marito ha un'idea brillante quando le regala dei dvd con le versioni cinematografiche di quei romanzi che lei non riesce più a seguire sulle pagine. A proposito di film, faremo un raffronto con gli altri grandi film che sono due grandi storie d'amore: e “Lontano da lei” col Premio Oscar Julie Christie ed “Iris” col Premio Oscar Judi Dench.

Perché anche l'Alzheimer Precoce ci Riguarda:
La Prima Malata era 52enne

Vediamo i numeri (che traggo dagli articoli del giornale online "Linkiesta" http://www.linkiesta.it/it/article/2014/12/18/alzheimer-se-non-ti-ricordi-piu-quando-e-natale/23933/ e http://www.linkiesta.it/it/article/2013/09/21/ogni-10-minuti-un-italiano-si-ammala-di-alzheimer/16500/ http://www.linkiesta.it/it/article/2014/12/03/di-cosa-si-muore-in-italia-cresce-lalzheimer/23739/) dietro ai quali c'è una storia a sé e sono coinvolte molte più persone nell'assistenza: 35 milioni di persone ammalate di demenze nel mondo cinque anni fa che oggi sono diventate 44 milioni –di cui 650 mila in Italia- che secondo l’Alzheimer’s Disease International diventeranno 76 milioni nel 2030 e fra i 115 ed i 135 milioni entro il 2050-. Fra gli over 80enni, uno su cinque è ammalato di Alzheimer. 
Alla madre del regista del film "Iris - Un Amore Vero",
Richard Eyre (qui in foto a lui da bambino in braccio al padre)
fu diagnosticato l'Alzheimer all'età di 52 anni.
E' per questa sua esperienza, durata 20 anni, che il produttore
ha chiesto a lui di creare la trasposizione cinematografica
dei due libri di memorie del vedovo di Iris Murdoch.
Ogni minuto, un italiano s'ammala d'Alzheimer e può essere nostro padre o nostro nonno, nostra madre o nostra nonna, o addirittura nostra moglie o marito. E l'Alzheimer è diventata qui la sesta causa di morte (dopo: ischemie del cuore, malattie cerebrovascolari, altre malattie cardiache, tumori ai polmoni e pressione). Secondo alcune stime, un bambino su tre dei nati quest’anno da vecchio sarà sofferente di una qualche forma di demenza.
Oggi noi vogliamo incentivare la diagnosi precoce perché l’Alzheimer può colpire anche i cinquantenni.
Era 52enne la signora Auguste Deter (1850 - 1906) a cui il dottor Alois Alzheimer (1864 - 1915), uno psichiatra tedesco, diagnosticò durante un'autopsia la malattia nel 1906 che descrisse nel 1907. La protagonista del film "Still Alice", ne ha 50: una forma precoce.
Così come era 52enne la madre del regista del film che inaugura la nostra rassegna "I Nostri Angeli", Richard Eyre (come racconta egli stesso in questo intervento: http://www.dailymail.co.uk/femail/article-1381292/Richard-Eyre-watched-mother-slowly-stolen-away-Alzheimers.html).
Era 55enne il professore di storia Cary Smith Henderson che iniziò il suo Diario dell'Alzheimer, un documento unico nel suo genere. Così com'era 52/55enne Rita Hayworth, l'attrice (che sarà assistita amorevolmente dalla figlia diventata filantropa) quando manifestò i primi segni dell'Alzheimer che le fu diagnosticato solo dieci anni dopo.
E' 59enne l'amico di Michele Farina che ci ha raccontato la sua testimonianza di figlio qui ad un convegno alla Casa dei Diritti lo scorso settembre.
Il Premio Oscar Robin Williams (1951 - 2014), che vedremo nel film
capolavoro "The Birdcage" del Premio Oscar Mike Nichols
(lo stesso di "Angels in America")
al Cineforum del 20 dicembre alla Casa dei Diritti alle ore 16,
è morto per le conseguenze di una rara malattia neurodegenerativa,
la demenza dei corpi di Lewy che provoca allucinazioni.  

L'Alzheimer è fra le demenze irreversibili primarie, come la malattia dei corpi di Lewy per le cui conseguenze (allucinazioni visive ed auditive) è stato trovato morto il Premio Oscar Robin Williams (1951 - 2014, di cui vedremo la straordinaria interpretazione in "The Birdcage" domenica 20  dicembre 2015 alle ore 16 puntualissimi a "Il Cinema e i Diritti" alla Casa dei Diritti del Comune di Milano in via De Amicis 10).
E' incurabile e non si può far regredire né bloccare e l'obiettivo dunque è massimizzare il benessere delle persone che ci convivono. E' la nuova pandemia ma è assai lontana dal toccare il cuore dei Palazzi romani.
Ma noi possiamo fare molto come società civile, legislatori e come informatori sociali.
Dal punto di vista neurologico, è sempre accompagnato da placche di proteine β-amiloide, che sono sospettate quindi come cause. Si sa come si manifesta ma non perché, dice Margaret Lock in "Alzheimer Conundrum: Entanglements of Dementia and Aging".
Oggi ne parliamo dal punto di vista umano: le nostre intuizioni morali, la nostra attiva collaborazione e la nostra creatività.
Illustreremo la filosofia della medicina (ispirata alla sua visione di credente cristiano) del grande gerontologo britannico Tom Kitwood che, contro il riduzionismo di un certo modo di fare scienza senza immaginazione morale, propone, grazie alle sue lauree in sociologia e psicologia, un approccio interdisciplinare che tiene conto delle relazioni, della storia e della salute della Persona e il cui motto è

"Trattare gli altri nella maniera in cui tu stesso vorresti essere trattato",

che è la regola d’oro comune a tante religioni.

Le Creative Therapies sono Possibili 
perché l'Alzheimer colpisce tardi 
le Aree Cerebrali della Creatività
Il Documentario dalla Battuta 
di Hilda Gorenstein: "Ricordo Meglio se Dipingo"
IL DOCUMENTARIO SULL'ARTETERAPIA
che ho mostrato in Esclusiva alla Casa dei Diritti

Oltre alla dimensione del dolore, ci sono anche le meraviglie della natura di quelle che sono chiamate "creative therapies". Shibley Raman spiega il benessere donato dalla musica mostrato nel documentario "Alive Inside" (“Vivi dentro”) e nella prestigiosa rivista "Brain". Ricercatori della Boston University hanno scoperto che chi ha l'Alzheimer tende a memorizzare meglio nuove informazioni se queste gli sono fornite con un sottofondo musicale: ai soggetti sperimentali è stata sottoposta una canzone, dapprima solo letta, poi scritta su un computer, infine in forma cantata. 
La dottoressa Marie de Hennezel, che accompagna i malati terminali, cita il caso di una malata terminale che le chiede di cantare per lei, per esempio (“La morte amica”, BUR, Milano 2015, pagg. 126 - 127): “Allora mi sono messa a cantare l’Ave Maria che le piaceva, quella della sua infanzia. Lei mi accompagnava con una leggera vibrazione delle labbra, mi incoraggiava a continuare ripetendo un flebile “sì”, muovendo la testa da destra a sinistra. Penso di aver proseguito così per un’ora, finché non si è addormentata”.
 Il documentario "I Remember Better When I Paint" mostra i risultati dati sia dalla visita ai musei d'arte (in Nord America e in Europa) sia dalle arti manuali come la pittura che, dice la figlia di Rita Hayworth, dona "la pace della mente" e "crea senso d'identità" perché l'opera ci appartiene e sentiamo che esprime il nostro carattere e le nostre emozioni.
Il documentario è stato così intitolato a partire da una battuta fulminante pronunziata dalla pittrice americana Hilda Gorenstein (1905 - 1998), specializzata in marine e colpita da Alzheimer, in risposta ad una proposta creativa della figlia: quando era diventata apatica e non comunicativa, sua figlia Berna Huebner (molto amica della principessa Yasmin) le ha lanciato l'idea "mamma, perché non dipingi?", e da allora è stato risvegliato il suo senso di identità, dignità e personalità.  La figlia ha scritto un libro, fondato la fondazione Hildos Foundation di Chicago e appunto co-girato questo documentario col francese Eric Elléna. 
Il dottor Robert Green in questo documentario dice che per fortuna il lobo parietale che è coinvolto nel processo creativo viene danneggiato (relativamente) tardi dall'Alzheimer, e ciò consente a questi pazienti di dipingere. "Sono ancora dotati d'immaginazione", conferma nello stesso breve film la dottoressa Judi Holstein. Nel documentario, vediamo che vecchi sono stimolati in una discussione intorno a quali colori preferire per riprodurre un quadro di Renoir. La creatività può contribuire a riconnettere delle parti di sé obliate. Come scrisse il filosofo Pascal (1623 - 1662) nei suoi "Pensieri",
La canzone che il cantante americano Chris Mann ha dedicato alle persone
con Alzheimer e le cui vendite vanno alle ricerche scientifiche s'intitola
"Remember Me" (Ricordami) ed è stata scritta insieme ad un neuroscienziato.
La potete ascoltare e vedere il videoclip su YouTube.

"Niente è più insopportabile per l'uomo che trovarsi in assoluto riposo"

Come ricorderete, lo psicanalista junghiano e filosofo James Hillman (1926 – 2011) nel suo libro "La Forza del Carattere" si era posto la domanda "Qual è il senso della nostra lunga vecchiaia?" e, seguendo la via della sapienza greca (il motto "Conosci te stesso" scritto sul Tempio di Apollo a Delfi e la caratterologia) aveva risposto che è l'esplorazione del nostro carattere che è quella serie di caratteristiche che ci rendono unici e memorabili. Ebbene, l'Alzheimer colpisce proprio in quella fase della vita: dobbiamo, allora, fare in modo di far emergere questa forza di carattere proprio grazie a strategie creative che la liberano quando non può esprimersi a parole, come l'arteterapia.
Quello che vogliamo mostrare oggi è che anche se il cervello è danneggiato, rimane un cuore, un nucleo dell'anima, la persona è sempre sé stessa, anche se non riesce molto ad esprimersi a parole.
Nel romanzo e nel film, benché non riesca a seguire la figlia aspirante attrice nella sua lettura, Alice intuisce dal tono della sua voce, dalla sua musicalità, appunto, che il brano che le sta leggendo, parla d'amore.
Nel chiedersi se vorrà sempre bene a sua figlia, anche se magari un giorno non la riconoscerà, Alice pensa:

"Il mio amore per lei risiede nella testa o nel cuore?" La scienziata che era in lei credeva che le emozioni si originassero nelle strutture cerebrali del sistema limbico, strutture che nel suo caso, in quel momento, erano in trincea a combattere una battaglia che non avrebbe lasciato sopravvissuti. La madre che era in lei era convinta che l'amore per sua figlia fosse al sicuro dal caos della sua testa, perché era nel cuore che dimorava." ("Still Alice", pag. 231)

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La Premiata Giornalista d'Inchiesta Maria Shriver
L'Attivista Figlia di Eunice Kennedy:
"Still Alice è per l'Alzheimer 
ciò che Philadelphia fu per l'AIDS"

PRODUTTRICE ed ATTIVISTA SOCIALE

Maria Shriver (più nota in Italia per essere stata la first lady della California quand’era moglie di Arnold Schwarzenegger) è una giornalista, attivista e produttrice americana figlia di Eunice Marty Kennedy Shriver (1921 - 2009), già fondatrice delle Special Olympics (per atleti con sindrome di Down), sorella di John Fitzgerald Kennedy (1917 - 1963).
Fra i vari temi che ha saputo trattare bene, è stata produttore esecutivo del documentario "The Alzheimer's Project", una serie di cortometraggi in quattro puntate (che ebbe molto successo sulla rete HBO nel 2009 vincitrice di due Premi Emmy) che esplorava i migliori laboratori degli Stati Uniti sull'Alzheimer. Uno dei film che hanno vinto il premio Emmy, "Nonno, sai chi sono?" si basa su un libro per ragazzi scritto dalla Shriver sull'Alzheimer. La reporter ha scritto anche un libro intitolato "Alzheimer's in America: the Shriver's Report". Nel 2009, Shriver è stata premiata con il premio "Cercatori di Pace 2009" da parte della Shinnyo-en Foundation, che viene annualmente conferito a coloro che sono esempi di compassione, armonia e pace. Alla cerimonia di conferimento del premio, l'amministratore delegato della fondazione ha detto: "Maria Shriver percepisce il meglio che sta dentro la gente - la loro innata bontà - e dà loro la spinta a diventare gli "Architetti del cambiamento" di sé stessi. In un mondo che glorifica le ambizioni a tutti i costi, Maria insegna invece a formare il carattere. È una donna dalla forza gentile che rimodella gentilezza e carità, che ha usato la sua celebrità per costruire la pace nel mondo". Ora si sta occupando del nuovo progetto "Wipe Out Alzheimer's Challenge" (http://blogs.webmd.com/breaking-news/2015/03/women-and-alzheimers-maria-shriver-qa.html?ecd=soc_pin_031115_mariashriveralzqa).



Il Racconto- Capolavoro di Tolstòj
L’Orribile Tormento della “Decorosa Menzogna” Sorpresa, è quel Servo senz’istruzione
l’unica persona dotata di Compassione
per prendersi Cura di Ivàn, “Solo in Casa”
E sarà la Misteriosa Malattia a fargli vedere la Vita
(tutta fondata sul “Decoro”) con occhi nuovi
Scena tratta da una versione teatrale del racconto di Tolstòj

Nel suo saggio “Non è un Paese per vecchi” (nella bella “Rivista per le Medical Humanities” edita in Svizzera, numero 25, anno 7, maggio-agosto 2015), la psicanalista di formazione junghiana Enrichetta Buchli parlando della rimozione della morte nelle nostre società cita il racconto “La morte di Ivan Il’ic” (1884 – 6) con cui lo scrittore, filosofo ed attivista sociale russo Tolstòj (1828 – 1910) scrisse ruppe il Tabù della descrizione letteraria della morte. 
ANGELO UMANO. Così l'illustratore britannico Lilias Buchanan
immagina Gerasim, il badante di Ivam Il'ic nel racconto di Tolstòj
mentre tiene sollevate le gambe dolenti del padrone malato terminale. 

Di questo capolavoro vi sono varie edizioni, e in inglese esiste anche l’audiolibro (in foto). Io ve lo riassumo citando dalla mia edizione Garzanti del 1999 (prima edizione 1975, traduzione di Giovanni Buttafava).
Il protagonista, Ivàn Il’ic, è un magistrato 45enne che ha improntato la sua vita al “decoro” (parola che ricorre spessissimo) e che si è sposato per conformismo anziché per passione (“perché poi non dovrei sposarmi?”, pag. 21) e quando la moglie diviene insultante ed invidiosa perché lui non s’annoia come lei (pag. 22) pensa al divorzio e arriva ad odiarla. 
AUDIOLIBRO: UN GRANDE CLASSICO.
Raccomando di leggere questo racconto
perché lo citeremo anche al Cineforum
sul film "A Lady in Paris" giovedì 17 dicembre
alle ore 20 puntuali alla rassegna "I Nostri Angeli"
al Cinema Gregorianum.
Né ha veri amici e veri rapporti umani, e quando il clima in casa si fa opprimente per i continui rimproveri della moglie che coltiva quest’ostilità contro di lui, il suo unico spazio vitale diviene il mondo del lavoro, di cui si compiace per il potere che (in teoria) la sua posizione può esercitare a suo piacimento sugli altri (il “potere su”, opposto al sano “potere con”, il potere di collaborazione e condivisione che ci dona il senso di Comunità ed appartenenza). Domina la falsa cortesia (“quella parvenza di rapporto umano amichevole, che è la cortesia”, pag. 33) e il narcisismo del vedersi ogni giorno servito e riverito (“gioie d’amor proprio”, “gioie di vanità”, pag. 35).
Quando finiscono i lavori di restyling in salotto (che credono originale e da ricchi, quando invece è un’imitazione indistinguibile, pag. 31) in casa cala la noia. Ed è proprio per una banale caduta mentre saliva la scala per mostrare al tappezziere come fissare le tende che si fa male al fianco. Un banale incidente domestico avrà conseguenze mortali: ne sorge una misteriosa malattia, per cui consultano medici vari che non san bene né cosa diagnosticare né ammettere la verità e cioè che ne morirà, prima o poi. Domina l’ipocrisia (Tolstòj dice la “menzogna”, la “menzogna decorosa”, pag. 72, altra parola-chiave che ricorre assai spesso) dei familiari che non ammettono (forse neanche a sé stessi) che quell’uomo sta morendo:

“Questa menzogna lo tormentava, lo tormentava il fatto che non volessero riconoscere che tutti sapevano e che anche lui sapeva, e che volessero invece mentire sul suo terribile stato, e che per di più costringessero lui stesso a prender parte a quella menzogna. Quella menzogna, una menzogna perpetrata su di lui alla vigilia della sua morte, una menzogna che si sentiva in dovere di umiliare questo terribile atto solenne al livello delle loro visite di cortesia, delle tende in salotto, del pesce in tavola…era un orribile tormento per Ivàn Il’ic. E stranamente, molte volte, mentre gli altri eseguivano i loro numeri su di lui, era stato a un filo dal gridare in faccia a tutti: smettetela di dire bugie, lo sapete benissimo, e lo so benissimo anch’io che sto morendo, almeno finitela di mentire. Ma non aveva mai avuto cuore di farlo. L’orribile, tremendo atto della sua agonia era degradato da tutti quelli che lo circondavano alla stregua di qualcosa di casuale e sgradevole, persino di indecoroso (come se trattassero con un uomo che puzza entrato in un salotto), qualcosa che trasgrediva quello stesso “decoro”, che Ivàn Il’ic aveva perseguito tutta la vita; egli vedeva che nessuno aveva pietà di lui, perché nessuno voleva capire la sua situazione.” (pagg. 61 – 62)

Questo tipo di negazione c’interessa perché sono molte le famiglie che tengono chiusi in casa in propri “cari” con Alzheimer perché se ne vergognano né vogliono conoscere (e far loro conoscere) persone con la stessa malattia.
Si  trova in casa eppure si sente solo:

“Nessuno aveva pietà di lui, come egli avrebbe voluto che avessero: in certi momenti, dopo lunghe ore di sofferenza, anche se si sarebbe vergognato a confessarlo, aveva soprattutto voglia che qualcuno avesse pietà di lui, come di un bambino malato. Avrebbe voluto che lo carezzassero, che lo baciassero, che lo compiangessero, così come si accarezzano e si consolano i bambini (vedremo più avanti che cos’è l’aptonomia cioè la scienza dell’entrare in contatto con i malati terminale, ndr). E nel suo rapporto con Gerasim c’era qualcosa che s’avvicinava a questo, perciò stare con Gerasim lo consolava. Ivàn Il’ic aveva voglia di piangere, aveva voglia che lo carezzassero e lo compiangessero, ed ecco che compariva un suo collega, e, invece di lacrime e tenerezze, Ivàn Il’ic faceva una faccia seria, severa, pensosa” e si mette a parlare di lavoro.

Qui la parola “pietà” va intesa come compassione: la capacità d’immaginare le gioie e i dolori del nostro prossimo e collaborare attivamente con lui o lei per recargli conforto, nello spirito delle opere di misericordia ebraiche (cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/09/la-via-della-compassione-creativa.html).
C’interessa, qui, altresì il rapporto fra l’ammalato e il suo (diremmo oggi) “badante”: il muzik (paesano) d’origine contadina Gerasim, addetto alla cucina che non disdegna di fargli da collaboratore personale: a differenza dell’odiosa moglie, che si vanta di dover sopportare il suo “orribile carattere”, il servo si presta volentieri senza lamentazioni a far fare i bisogni corporali al suo padrone.

“Anche quando doveva defecare, usava degli aggeggi speciali, e ogni volta era una tortura. Una tortura per la sporcizia, e per la vergogna, per la puzza, per il necessario intervento di un’altra persona.
Ma proprio in questa spiacevole circostanza Ivàn Il’ic trovò motivo di consolazione. A svolgere quell’umile funzione veniva sempre Gerasim” (pag. 58)

Gerasim è un baldo giovane dalle braccia forti e “sempre allegro, chiaro” ed ha la sensibilità necessaria per prendersi cura del malato: compie il suo lavoro (in pratica, di badante) sempre con passo felpato (“con passo leggero”, ripete Tolstòj, pag. 59) e

“Senza guardare Ivàn Il’ic, e cercando di trattenere, per non offendere il malato, la gioia di vivere che gl’illuminava il volto

Ivàn gli mostra sincero apprezzamento:

“Penso che questo non sia un lavoro molto gradevole per te. Scusami. Non posso farlo io.”
“Prego, prego, signore. (…) perché non dovrei farlo? Siete malato” (pag. 59)

“Soltanto Gerasim capiva la sua situazione e aveva pietà di lui. Perciò Ivàn Il’ic stava bene soltanto con Gerasim. Stava bene, quando Gerasim, a volte per delle notti intere, rimaneva con lui, tenendogli le gambe sollevate, e non voleva saperne di andare a dormire: “Lei non si preoccupi, Ivàn Il’ic” diceva, “hop ancora tempo per fare una bella dormita” o quando aggiungeva, passando al “tu”, “tu sei malato, e hai bisogno di me, no?”. Soltanto Gerasim non mentiva, era sicuramente l’unico che capiva di che cosa si trattava e che non riteneva necessario nasconderlo, e si limitava ad avere pietà di lui, del suo padrone debole e sfinito. Una volta venne fuori a dire a Ivàn Il’ìc che cercava di mandarlo via:
“Tutti dobbiamo morire. Perché non dovrei farlo?” e, dicendo questo, voleva significare che quella fatica non gli pesava, proprio perché lo faceva per un uomo che stava morendo, nella speranza che anche per lui, a suo tempo, qualcuno avrebbe fatto lo stesso” (pagg. 62 – 63; c’è qui l’etica della reciprocità, la regola d’oro che il Parlamento delle religioni Mondiali nel 1999 ha dichiarato principio comune).

La disponibilità di Gerasim, che pur analfabeta e non istruito è l’unico che reca conforto ad Ivàn Il’ic, mostra come non servano le lauree per saper prendersi cura delle persone perché serve una saggezza del cuore e non un’istruzione per avere certe intuizioni morali che ci rendono capaci di compassione.

COME RICONOSCERE L’ALZHEIMER

a) Disturbi Cognitivi:

Le persone con Alzheimer
- scordano intieri fatti di vita vissuta sia più recenti (la passeggiata appena fatta: la memoria a breve termine) sia passati;
- scordano come si fa una cosa (nel caso di Alice, una ricetta; oppure amministrare le finanze e i conti): è la memoria esecutiva ("Non riesco a capire come si infila questo cazzo di reggiseno" "Alice, questo non è un reggiseno. Sono un paio di mutande", "Still Alice", pagg. 201 - 202).
- pèrdono l'orientamento nello spazio e nel tempo (una signora racconta: "mio marito si fa la barba di notte");
- anomia: "un'incapacità patologica di associare un oggetto al suo nome" ("Still Alice", Piemme, 2010, pag. 81): può essere l'oblio di una parola che hanno in mente o di un oggetto dinanzi a sé: "faceva un uso abnorme del termine "cosa" (pag. 207);
- insalata di parole, come si dice in gergo: accozzaglia di parole casuali, ma che grazie al body language e all’intuizione possono infine essere comprensibili da chi sa prestare attenzione e cura;
- pèrdono la capacità di concentrazione (seguire indicazioni scritte o a voce);
- sindrome del tramonto: la loro mente si affolla di persone e prova nostalgia;
- nei casi più avanzati, non sono più in grado di prendersi cura di sé.
Se la malattia non viene diagnosticata, si ha come la sensazione di impazzire, come racconta nella sua lettera uno di quelli che andrà all'Alzheimer Café di Alice:

"Mi hanno diagnosticato l'Alzheimer presenile un anno fa, come a te. E' stato quasi un sollievo. Pensavo di star diventando pazza" ("Still Alice", pag. 221)

b) Disturbi del Comportamento:

- colpevolizzazione del prossimo con accuse sbagliate e destabilizzanti: non trovano gli oggetti e trovano il "colpevole" ma è una loro lacuna; delirio di latrocinio ("sono stato derubato!") è un meccanismo di autodifesa quando non si comprende un vuoto (ma non tutti i comportamenti sono forme di difesa), cui si accenna anche nel romanzo "Still Alice" (Piemme, 2010, pag. 119, nella visita di Alice alla casa di riposo: "Ridammi i miei soldi!").
- disinibizione emotiva cioè un'esplosione di emozioni, come l'aggressività verbale come reazione di legittima difesa persino da parte di chi non ha mai pronunziato una parolaccia in vita sua;
- richiedono spesso la stessa domanda (che ora è?) e può diventare ansiogeno;
- mutacismo: il paziente diviene mutacico perché demotivato;
- aprassia: incapacità di fare;
- agnosia e prosopagnosia cioè incapacità di riconoscere i volti delle persone (ne soffre e ne ha fatto coming out anche lo scrittore Luciano De Crescenzo);
- ansia: una donna il cui marito era morto anni prima d'infarto, diceva: "Presto, torniamo a casa perché mio marito è così ansioso che mi muore d'ansia!". Poi si scioglie in lacrime quando la informano della morte del marito.
- apatia;
- depressione;
Un rimedio contro il wandering (vagabondaggio) delle persone
con Alzheimer: un braccialetto identificativo da indossare sempre.

- wandering: vagabondaggio sia di giorno sia di notte (come nel romanzo "Still Alice", Piemme, 2010, pag. 119 e 138), per noia o disorientamento (questo andare in giro o avanti e indietro senza scopo apparente si può evitare che divenga un problema assicurandosi che il paziente abbia sempre con sé un documento d'identità (nella borsetta per le donne e nella tasca della giacca per gli uomini) od un braccialetto identificativo, e che i vicini di casa siano informàti: per questo è bene sviluppare un senso del buon vicinato anche attraverso le occasioni delle feste dei vicini sul modello francese). Nel romanzo si suggerisce di "appendere una campanella alla porta d'ingresso" (pag. 138).
- affaccendamento: è curioso che i movimenti ripetitivi riproducano i precedenti lavori (càpita che i maschi dinanzi ad una carrozzina la smontino in pezzi, che le femmine puliscano i vetri, e così via).
- atteggiamenti di autogratificazione: da questo punto di vista, l'Alzheimer è un processo all'indietro rispetto a quando siamo bambini, come se tornassimo alla nostra infanzia (ci succhiamo il pollice o facciamo versi).
- paure infantili che riemergono: Michele Farina, giornalista del "Corriere", ci racconta che la madre aveva paura del rumore dei tacchi a spillo giacché le rievocavano il ricordo di quando, bambina, ritornava a casa la madre e la rimproverava puntualmente perché non aveva finito i còmpiti.

Le Meraviglie della Natura Umana: la Nostra Memoria Emotiva
La Folgorante Battuta di Sissi Spacek in "The Help": 
"Non ricorderò come mi chiamo ma non scorderò mai la Torta di Minny!"
 
Il Premio Oscar Sissi Spacek nel film "The Help", che ha aperto la prima
edizione della mia rassegna "Il Cinema e i Diritti" alla Casa dei Diritti
del Comune di Milano lo scorso anno. 
Cinzia Saverio al corso sul metodo validation di Naomi Feil testimonia a noi studenti:

"Ho visto ricordare cose incredibili da persone dalla memoria fortemente compromessa. E' una memoria diversa, un canale diverso, è la memoria emotiva."

Mi viene in mente una citazione cinematografica: nel finale del film "The Help", che ha aperto lo scorso anno la mia rassegna "Il Cinema e i Diritti", alla charity finale Hilly sente pronunziare il suo nome: ha vinto la torta al cioccolato di Minny. Sorpresa, è la madre che ha l'Alzheimer (il Premio Oscar Sissy Spacek nel film, che rivedremo nel film "North Country" al cineforum di domenica 22 novembre 2015 alle ore 16 qui alla Casa dei Diritti nei panni della madre del Premio Oscar Charlize Theron) ad essersi vendicata:

"Magari non mi ricordo come mi chiamo o in quale paese vivo, ma di due cose non mi scorderò mai: che mia figlia mi ha rinchiuso in un ospizio, e della torta di Minny"

(Nel romanzo, a pag. 389, diceva: “Magari non ricordo come mi chiamo o in quale paese vivo, ma te e quella torta non vi dimentico di sicuro”, cfr.: http://lelejandon.blogspot.it/2014/11/the-help-lezione-sulla-compassione_14.html).

Il nostro Antonello Ghezzi ci racconta un caso interessante di memoria emotiva:

"Conoscevo bene la signora Dina, che è stata mia affezionata cliente ed è madre del mio amico Chicco il quale nel frattempo aveva sviluppato una sua sensibilità a decifrare il suo linguaggio oculare per capire i suoi bisogni ed emozioni. All'età di 76 anni, lei viene colpita dall'Alzheimer che le toglierà anche la parola. Chicco mi ha riferito che una sera lei siede davanti alla Tv, dove i familiari guardano la puntata del quiz "L'eredità" ove io sono partecipante. Ormai inespressiva, quando io appaio sullo schermo, le si illuminano gli occhi e lei indica col dito come a voler esclamare: "Io quel ragazzo lì lo conosco!".


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Il Confronto con i Paesi Avanzati 
(Scandinavi Pionieri come Sempre)
e uno Stato arretrato che non si assume le sue responsabilità:
Zero finanziamenti per il c.d. Piano nazionale in Italia
Mentre Obama e Cameron investono fior di Milioni
 
LEADERSHIP ETICA. Il Premier britannico David Cameron
col figlioletto Ivan, che gli è morto fra le braccia all'età di
sei anni per una  rara malattia neurodegenerativa.
Il Leader del Partito  Conservatore inglese è assai sensibile alla questione
dell'Alzheimer ed ha stanziato
molti milioni per il benessere di queste persone. 
Mentre i grandi Leader hanno preso molto sul serio la grande "questione neurologica" ed investito milioni di soldi pubblici sia per la ricerca sia per l'assistenza, in Italia c'è ancora disorganizzazione e vengono disattese persino le promesse dei governi.
Barack Obama ha voluto attirare neuroscienziati europei col suo Brain Project, mentre David Cameron, anch'egli rieletto ed anch'egli fautore di politiche di massicci investimenti pubblici, sa bene che cosa significhi convivere con un familiare con malattia al cervello: il figlio Ivan Reginald Ian gli è morto fra le braccia per la sindrome di Ohtahara, una rara forma di encefalopatia epilettica infantile (una rara combinazione di paralisi cerebrale e di una grave forma di epilessia che provoca anche ritardo mentale).
L'Italia, assieme a Germania e Giappone, è il Paese al mondo col più alto numero di over 65enni. I Paesi civili avanzati hanno stilato Piani nazionali (nel 2013 al G8 hanno definito l'Alzheimer priorità nell'agenda globale): nel 2007 la Norvegia, nel 2007/8 il Piano della Francia (ove l'allora Presidente Nicolas Sarkozy ha dichiarato la malattia "una causa nazionale", con un piano di ricerca, informazione, miglioramento della qualità della vita e degli alberghi), nel 2009/2010 la Gran Bretagna (pioniera essendo stata la patria di Tom Kitwood) il cui motto è "living well with dementia" (vivere bene con la demenza), nel 2011 gli USA, nel 2013 il Piano dell'Australia (http://www.alzheimer.it/notiz50.pdf).  Invece l'attuale governo ha avuto la beffa di chiamare così ("Piano Nazionale") un'elencazione di linee-guida appunto prive di un piano e senza un euro alla cui presentazione non si è fatta vedere il ministro della salute (la quale, addirittura priva di laurea, si è resa autrice di numerose altre irresponsabilità, ad esempio avendo definito in televisione l'omosessualità una psicopatologia, ignorando o contestando la linea dell'OMS che risale al 1993, e altresì contestando l’Organizzazione Mondiale della Sanità riguardo la cancerogenicità delle carni rosse).
Nel 2000, l'allora ministro della salute Rosy Bindi aveva attivato 500 Unità di valutazione Alzheimer, con prescrizioni di farmaci (anticolinesterasici) rimborsabili per un solo anno: grazie alla petizione della società civile (le famiglie) si ottenne la piena rimborsabilità nel 2005. Il ministro aveva promesso un'équipe (psichiatra + geriatra + neurologo) ma in genere si trova un solo fra questi medici (solo il 6% secondo una ricerca li ha tutti e tre), e com'è noto l'iperspecializzazione non basta, e le varie discipline si devono integrare, come insegna bene l'esempio del dr. Tom Kitwood, plurilaureato ma soprattutto ispirato dalla sua formazione spirituale e dalla sua filosofia della persona umana.
Con l’Alzheimer avanzato lo Stato riconosce un assegno d’invalidità civile del 100% (indipendentemente dal reddito) e può richiedere l’ausilio di un assistente familiare (il cui stipendio minimo è di 1.350 euro lordi al mese e il cui contratto prevede anche vitto ed alloggio e nel caso sia presente 24 ore su 24 s’arriva anche ai 2800 euro mensili). Nei casi più gravi, occorre un badante di giorno ed uno di notte, e così part time la spesa diviene di duemila euro al mese.
E gli aiuti regionali variano di regione in regione. Il Friuli, regione a statuto speciale, ha introdotto dei bonus e dei rimborsi extra per sostenere le famiglie che vogliono tenere a casa gli anziani con Alzheimer non autosufficienti.
Oggi non tutti sanno che le strutture RSA (Residenze sanitarie assistite per anziani con demenze, che sono 866 in Italia) sono completamente a carico del servizi sanitario nazionale (50% rimborsata dalle Regioni e 50% dal Comune): attenzione alle truffe. Il guaio è che vi sono norme regionali o comunali ove si osa chiedere una compartecipazione di spesa dell’assistito sicché, coi nuovi parametri ISEE (gl’indicatori della situazione economica) molte famiglie non ce la fanno, e vendono la casa. La città ove questo servizio sanitario funziona meglio è Brescia, in Lombardia grazie al fatto che a dirigere il dipartimento Assi (attività socio sanitaria integrata) dell’ASL è una psicologa, Fausta Podavitte, la quale sa cosa significhi convivere con l’Alzheimer, avendo lei per dodici anni curato la madre con questa demenza. La sua ASL manda anche nella case i suoi “angeli”: operatori che assistono gli ammalati nell’igiene personale.
Anche in quest’àmbito emerge l’eterna questione meridionale: si pensi che le Rsa sono 488 nel Nord e solo 144 al Sud. Le ASL forniscono l’elenco delle strutture sul territorio  e i tempi d’attesa vanno dai tre mesi ai sei mesi!
Il Comune di Milano, com'è anche stato attestato al convegno svoltosi lo scorso 22 settembre qui alla Casa dei Diritti in Sala Bomprezzi, è all'avanguardia, e da quattr'anni dedica una voce di bilancio al welfare per l'Alzheimer ed ha attivato nel suo sito (anche se non è facile da trovare) una Rete per l'Alzheimer.
La maggioranza dei caregivers sono donne, a dimostrazione della prepotenza degli stereotipi di genere che delegano sempre gl'incarichi di cura al genere femminile, come se fosse un'esclusiva naturale delle donne (come nel racconto di Alice Munro ove si legge: “Le donne asciugavano la bava dal vecchio mento tremante dei loro cari, e gli uomini distoglievano lo sguardo”, pag. 290). Tale carico di lavoro così sbilanciato comporta un malessere: più di metà non dorme a sufficienza, e più del 40% è depresso.

I Titoli in Lingua Inglese: 
dalla Spiritualità Biblica 
al Diritto per le Famiglie
Mentre in Italia domina la vergogna, la paura e l'ignoranza. e non solo si legge sempre meno in generale, ma nello specifico non si pubblicano testi sull'argomento Alzheimer e sull'argomento morte, nei Paesi di lingua inglese ci sono titoli come "Worshipping With Dementia; Meditations, Scriptures and Prayers for Sufferers and Carers" o  "Could it Be Dementia? Losing your Mind doesn't man losing your soul", il libro per avvocati "Alzheimer's and the Law: Counseling Clients with Dementia and  Their Families" di Kerry Peck e Rick L. Law,

La Storia dell'Alzheimer:
 dimenticato per 70 anni
Decisive le Star di Hollywood 
per la Cultura della Visibilità

L'Alzheimer fu così chiamato (Alzheimer Krankheit, malattia d'Alzheimer) dallo psichiatra Emil Kraepelin (1856 - 1926) in onore di Alois Alzheimer che per primo l'identificò interrogando una paziente ricoverata in una clinica di Francoforte che aveva perso la cognizione dello spazio e del tempo. Nella sua autopsia, il medico vi trovò placche di amiloide. Nel 1997 alcuni scienziati australiani hanno riesaminato i vetrini del dottor Alzheimer e confermato le osservazioni del grande medico tedesco.


 Il Documento: il Colloquio del dr. Alzheimer con la Prima Paziente
Scorda il nome del Marito e non sa cosa sta mangiando
 
Auguste, la prima persona a cui fu diagnostico
quello che sarebbe stato chiamato "Alzheimer"
Ecco l'estratto del colloquio con la signora:

"Qual è il suo nome?"
"Auguste"
"Cognome?"
"Auguste"
"Il nome di suo marito?"
(Esita): "Credo...Auguste"
"Suo marito?!"
"Oh sì"
"Quanti anni ha?"
" 51"
"Dove vive?"
"Oh, Lei è stato a casa nostra" (forse un tentativo disperato, come fanno sia Iris nel film con Judi Dench, e Fiona nel film con Julie Christie, di celare il proprio oblio, ndr)
"E' maritata?"
"Oh, sono così confusa."
"Dove si trova ora?"
"Qui e dovunque, qui ed ora, non deve pensar male di me"
"Dove si trova in questo momento?"
"Vivremo lì"
"Dov'è il suo letto?"
"Dove dovrebbe essere?"

(Altro colloquio, mentre lei pranza):

"Cosa sta mangiando?"
"Spinaci" (in realtà carne)
"che cosa sta mangiando ora?"
"Prima mangio le patate e poi rafano"
"Scriva "5".
(Lei scrive "una donna")
"Scriva un "8""
(scrivendo "Auguste" va ripetendo "Mi sono persa, per così dire").
(brano tradotto da Lele Jandon)


Lo Studiò Bene Robert Butler:
grato di essere stato cresciuto dai Nonni, studiò anche i Vecchi in Buona Salute e coniò la Parola “Ageism”: Discriminazioni sull’Età
 
Robert Butler studiò sia gli anziani malati
sia gli anziani sani. S'appassionò allo studio
della terza età dopo essere stato cresciuto
dai Nonni. Le figure dei Nonni saranno uno
dei temi che affronteremo al Cineforum
"I Nostri Angeli" di giovedì 19 novembre 
A studiare l'Alzheimer fu, a partire dagli anni Settanta, lo psichiatra americano Robert Butler (1927 - 2010), fondatore del National Institute on Aging e Premio Pulitzer per i suoi studi sulle persone agées. Essendo grato del fatto di essere stato cresciuto dai Nonni, Butler (purtroppo non pubblicato in Italia) ha studiato bene sia i soggetti sani, sia le discriminazioni contro le persone anziane, da lui chiamate "ageism" e di cui parleremo giovedì 19 novembre alla mia rassegna "I Nostri Angeli" alla Sala Gregorianum in occasione del film "Un giorno questo dolore ti sarà utile". L'Alzheimer è una riduzione delle cellule cerebrali, che causa rimpicciolimento (atrofia) di alcune aree del cervello e alla riduzione di alcuni neurotrasmettitori come l'acetilcolina.
Mentre prima si parlava semplicemente di "senilità" come un processo fisiologico, questo processo venne poi riconosciuto come una malattia di cui si va cercando la cura.
Una malattia che è stata come dimenticata per settant'anni e che fu riconosciuta come un problema pubblico grazie all'impegno di persone come la figlia di Rita Hayworth.



                                               ***

La Filosofia della Medicina Interdisciplinare 
(fra Psicologia e Sociologia)
del Gerontologo Inglese Tom Kitwood: 
"La Cura non si riduce al Cervello"
"Il Malato resta Persona". Per i Nazisti  i Vecchi 
erano "Problema da Spending Review"
L'opera del grande psicogerontologo britannico

Tom Kitwood (1937 - 1998) è stato uno psicologo sociale e psicogerontologo che fu pioniere di un approccio moderno alle demenze, quando ancora (sino a 25 anni fa) si soleva dire "senilità" anziché Alzheimer.
Intuì che non bisogna consegnare in mano agli esperti iperspecialisti la persona con Alzheimer, perché ci vedranno solo il lato patologico. Esperienzialmente, Kitwood concluse un'importante verità umana, e cioè che esiste un nucleo per cui si può dire che il malato resta Persona, se gode di un'alta qualità di assistenza. Questa fu anche la posizione espressa nel libro "Formalismus" dal filosofo cattolico di origine ebraica Max Scheler (Monaco 1874 - Francoforte 1928), anche lui con una formazione medica come Kitwood:

"Si può solo affermare che la malattia rende completamente invisibile la personalità e che non è pertanto possibile alcun giudizio su di essa"

Per il nazionalsocialismo, per esempio, il malato è un problema matematico e di spending review come mostra il Premio Oscar Roberto Benigni nel film Premio Oscar "La Vita è bella" c'è una scena ove viene elogiata la bravura dei bambini tedeschi nel risolvere problemi di matematica come questo:

“Un pazzo costa allo Stato 4 marchi al giorno. Uno storpio 4,50, un epilettico 3,50. Visto che la quota media è di 4 marchi al giorno e i ricoverati sono 300 mila, quanto si risparmierebbe complessivamente se questi individui venissero eliminati?”

Si noti il vocabolo “individui” usato in luogo di “persone”.
Del resto nel nazionalsocialismo non esisteva il concetto di persona umana.
Il positivismo, dominante nelle scienze ottocentesche, sposava il meccanicismo che risaliva a Cartesio (il corpo è una macchina da riparare, come un orologio dall’orafo).
Anche un certo modo di esercitare la medicina estetica risente di una simile visione riduzionistica: rifaccio una parte che non ha più un valore di mercato, una funzione di mercato. (Di contro a questa visione, ci sono grandi attori come Meryl Streep, che hanno dimostrato invecchiando serenamente quante emozioni può donarci un volto autentico che reca i segni del tempo nell’arte della recitazione profonda).
La REGOLA D'ORO. 

L'opera premiata "Dementia Reconsidered: the Person Comes First" (1997) raccoglie tutti i suoi studi e scoperte degli ultimi dodici anni ed è alla base di tutte le terapie non mediche. Nato a Boston (omonima della città del Massachusetts) nel Lincolnshire, laureato in scienze naturali nel 1960 alla prestigiosa Cambridge University, studiò da prete e fu ordinato nel 1962. Insegnò fisica per sette anni, poi si trasferì in Uganda sia per insegnare fisica sia per fare il cappellano della scuola agli africani poveri. Qui scrisse il suo primo libro di filosofia, "What is Human?" (1970, "Che cos'è umano?"), e nel 1969 s’ammoglia con Jenny Cooper. Poi i due tornarono in Inghilterra. Ebbero un figlio ed una figlia. Kitwood proseguì gli studi universitari: in Psicologia e Sociologia dell'Educazione, poi un dottorato in Psicologia sociale lavorando part time come docente all'università. I suoi campi d'interesse sono il counselling, la psicoterapia e la psicologia del profondo. Quando gli fu commissionato di supervisionare un progetto di ricerca sulle demenze dall'autorità della salute della sua città, venne a contatto quotidiano con queste persone in residenza assistenziale. Scoprì così nuovi interessi: i dettagli della pratica di cura, e i risultati a lungo termine con cura di alta qualità. Di suo, sviluppò il corso sulla psicologia del profondo della cura della demenza ("Depth Psychology of Dementia Care"), ove applicava la propria precedente formazione in psicologia del profondo al nuovo àmbito. Nel 1992 fondò a Bradford il "Bradford Dementia Group" col suo approccio di "cura centrata sulla persona" ("person-centred care") che considera gli esseri umani in quanto tali indipendentemente dalla loro malattia o disabilità bensì in quanto persone con la loro storia e che si riassume in estrema sintesi così:

"Trattare gli altri nella maniera in cui tu stesso vorresti essere trattato"
("Treat others in a way you yourself would like to be treated")


che è la regola d'oro comune a tante religioni (formulata in varie maniere, ma sostanzialmente la stessa sapienza antica, lo stesso principio).
Esistono tante demenze quante persone che ci convivono: contro il riduzionismo biologico, che riduce il problema al cervello, la "formula arricchita della demenza" teorizzata da Kitwood indica che la demenza del soggetto è data dai seguenti fattori, tutti egualmente importanti:

- il danno neurologico (il cervello);
- la salute fisica (complessiva: come va il resto? la pressione, la respirazione, etc);
- la personalità ("personhood", o meglio "il carattere", "character", come insegna lo psicanalista junghiano James Hillman);
- la biografia (la storia personale);
- la dimensione sociale (che è studiata dalla psicologia sociale: ambiente e interazioni): Kitwood era appunto laureato in psicologia e sociologia.
IL CORPO COME OGGETTO

La psicanalista e filosofa Enrichetta Buchli, nel suo bel saggio “Non è un Paese per vecchi” nella “Rivista per le Medical Humanities” (numero 25, anno 7, maggio-agosto 2015, pagg. 57 – 61), ha ricordato (pag. 58) come le scienze debbano tenere conto di avere a che fare con anima e corpo, e ricorda come il filosofo ebreo Husserl (1859 – 1938) distingua il corpo oggetto (oggetto di studio, oggetto come mezzo, Körper) ed un corpo soggetto (corpo proprio o corpo vissuto, Leib, da leben, vivere). Quelle scienze mediche che trattano il paziente come un corpo-oggetto (prendendo in considerazione solo la parte malata) sono prive d’immaginazione morale, impersonali e provocano alienazione nei pazienti. Tom Kitwood, dunque, ha saputo restituirci il corpo soggetto come parte integrante della Persona umana grazie alla sua filosofia della medicina. Scrive la professoressa Buchli:
PSICANALISTA E FILOSOFA. La dottoressa Enrichetta Buchli
è Ospite ascoltatissima del Cineforum
"Il Cinema e i Diritti" alla Casa dei Diritti del Comune di Milano. 

“Nell’epoca post-moderna impera l’ideologia di un corpo meccanico, soggetto e oggetto di consumo” (pag. 59).

La dottoressa Buchli ricorda altresì che per Jung (1875 – 1961) il vecchio è una figura simbolo di saggezza anche nell’inconscio collettivo che affiora nei nostri sogni (cfr. il mio saggio “La Natura dei Sogni: dall’Immaginario Religioso dei Greci alle Neuroimmagini http://lelejandon.blogspot.it/2013/05/la-natura-dei-sogni-dallimmaginario-dei.html ). Un altro analista junghiano, James Hillman (1926 – 2011), nel suo libro “La Forza del Carattere” dice che dobbiamo recuperare la parola “vecchio” nel senso positivo in cui usiamo l’espressione “vecchio film” o “vecchio amico”.
La professoressa cita Oliver Sacks (Londra 1933 – New York 2015), il neurologo ebreo britannico scomparso poche settimane fa che mostra bene le potenzialità di adattamento non prevedibili dei nostri vecchi.
Secondo Buchli, nella tirannia del presente scordiamo il memento mori (“l’unico farmaco in grado di far vivere fino in fondo il presente”, pag. 60). E ciò spiega come mai neghiamo, oltreché le vecchiaia la morte.
L’allora presidente francese (1981 – 1988) François Mitterrand  (1916 – 1996) nella sua prefazione al libro della psicanalista Marie de Hennezel “La morte amica (BUR 2015, prima ediz. 1996, traduzione di Laura Revelli, titolo originale “La mort intime”, Éditions Robert Laffont, S.A., Paris 1995) dice che

“Viviamo in un mondo che ha paura di questa domanda e quindi la evita. Altre civiltà, prima di noi, guardavano la morte in faccia” (espressione usata dalla dottoressa de Hennezel riguardo ai suoi pazienti) “Tracciavano per la comunità e per il singolo la via del passaggio. Mai forse il rapporto con la morte è stato povero come in questi tempi di aridità spirituale in cui gli uomini, nella fretta di esistere, sembrano eludere il mistero, ignari di prosciugare così una fonte essenziale del gusto di vivere” (pag. 7).

Io penso, per esempio, a quei bambini e ragazzini i cui disgraziati genitori non fan vedere le nonne o i nonni ammalati terminali pensando di proteggerli e negandogli così un insegnamento di vita. Invece ci sono modi di spiegare la morte ai bambini, come fa questa nonna:
ANGELO UMANO. La psicanalista francese Marie de Hennezel
(qui in foto col figlio, attivista sociale per i diritti delle persone anziane)
è un angelo: si è scelta il còmpito di accompagnare gli ammalati
terminali in un centro di cure palliative di Parigi. 

“La morte è come una nave che s’allontana verso l’orizzonte. C’è un momento in cui sparisce. Ma non crediate che non esista più, solo perché non la vediamo” (pag. 96)
Del resto, “come lei spiega ad un amico malato terminale, “il salpare su una nave è uno dei simboli ricorrenti nei sogni delle persone prossime alla morte” (pag. 91).
 
L’analista autrice del libro (“frutto di sette anni di esperienza” di accompagnatrice sino alla morte dei malati terminali, pag. 18) scrive:

La morte, la nascondiamo come se fosse vergognosa e sporca. Nella morte, vediamo soltanto orrore, assurdità, sofferenza inutile e penosa, scandalo insopportabile” (proprio come nel racconto di TolstòjLa morte di Ivàn Il’ic”) “è invece il momento culminante della nostra vita, ne è il coronamento, quello che le dà senso e valore” (pag. 13)



Marie de Hennezel: "Ho abbandonato il Dogma "Non Toccare!" ed ho ascoltato  le mie Intuizioni del Cuore": così ho scoperto la scienza del Contatto con le Persone Malate 


A proposito della corporeità, la de Hennezel è un’esperta di aptonomia (dal greco antico haptós, “tangibile”) “la scienza del contatto affettivo” (“disciplina ancora non praticata in Italia”, pag. 39) fondata da Franz Veldman. Prim'ancora di conoscere questa scienza, la ha intuita:

"Tutti gli ammonimenti, le regole rigide della psicoanalisi - non toccare, non parlare- sono crollati di colpo. Ho dovuto avvicinarmi, ascoltare il mio intuito, parlare con il cuore, posare le mani sulla zona dolorante, come avrei forse fatto per chiunque in una situazione del genere" ("La morte amica", op. cit., pag. 186).


ANGELO UMANO. Frans Veldman è fondatore dell'aptonomia, la scienza del contatto con i malati praticata da Marie
de Hennezel. 

«Forse può sembrare ridicolo seguire un corso di formazione per sviluppare una facoltà del genere. Purtroppo, il mondo nel quale siamo tutti cresciuti e continuiamo a muoverci non favorisce il contatto affettivo spontaneo tra esseri umani. Certo, tocchiamo gli altri, ma con un’intenzione erotica. Oppure in un contesto oggettivo, come nell’universo medico, dove si maneggiano “corpi-oggetto” (che, appunto, Husserl chiama Körper, ndr, corsivi miei). Ci si dimentica di quello che può sentire la “persona”. E’ quindi importante sensibilizzare i professionisti della salute a una dimensione dell’approccio umano che comprenda l’incontro tattile... Si cura un piede, una gamba, un polmone, un seno, come un qualcosa di distinto, o si cura forse la persona che soffre in questo o quel punto del corpo ed esprime tale sofferenza con il suo modo personale di essere? Sappiamo in quale misura la qualità di una presenza e il grado di attenzione possano cambiare il modo in cui qualsiasi intervento medico, anche il più aggressivo, viene recepito dai malati... In un reparto di cure palliative, il senso del contatto è uno dei valori positivi della terapia... L’approccio tattile permette ai malati di sentirsi integri e pienamente vivi. Come se si avvolgesse la pelle dolorante di un corpo moribondo con una seconda pelle, più delicata... Una pelle psichica, una pelle dell’anima». (pag. 77 - 78)

"Ho sviluppato a poco a poco a contatto con i miei malati così sofferenti un approccio tattile, un "tocco" che permette loro di sentirsi integri e pienamente vivi. Come se si avvolgesse la pelle dolorante di un corpo moribondo con una seconda pelle, più delicata, più aerea. Una pelle psichica, una pelle dell'anima" ("La morte amica", op. cit., pag. 222)

Dobbiamo dunque educare i medici alla fisicità: “In un reparto di cure palliative, il senso del contatto è uno dei valori positivi della terapia” (pag. 79).

Il Presidente François Mitterand (1916 - 1996) le ha detto: "S'intuisce che non è con le parole che lei aiuta i malati a trovare la pace, ma con la sua presenza. Con lei, almeno, ci si può lasciar andare" ("La morte amica", op. cit., pag. 227).
La dottoressa de Hennezel è come un angelo: come il dio Hermes, il quale accompagnava i defunti nell’aldilà (e perciò detto Psicopompo, accompagnatore di anime), fa da accompagnatrice alle persone cosiddette “moribonde” (in realtà piene di vitalità spirituale) nel senso che sono malati terminali (cancro e aids). “Questa veglia paziente, fatta di affetto” è “chiamata accompagnamento” (pag. 19). Anghelos (messaggero) era fra l’altro uno degli epiteti del dio Ermes. Infatti, il suo amico Bernard, bel ragazzo 40enne malato di aids, la chiama “Angelo mio” (pag. 19).
"Perché avete paura? In fondo, sono io che muoio!"
E' così che una giovane infermiera, che stava morendo per un tumore, si rivolse alle sue colleghe."Mi rendo conto che siete in imbarazzo, che non sapete cosa dire, né che fare. Ma credetemi, non ci si può sbagliare se uno dimostra calore. Lasciatevi toccare. E' questo ciò di cui abbiamo bisogno. Possiamo porci domande sul dopo o sul perché, ma non ci aspettiamo veramente una risposta. 


Non scampatela così, aspettate! Voglio semplicemente sapere se ci sarà qualcuno a tenermi la mano quando ne avrò bisogno. Se noi potessimo solo essere sinceri, ammettere le nostre paure, toccarci l'un l'altro. Dopo tutto, la vostra professionalità ne verrebbe davvero minacciata? Allora non sarebbe forse tanto duro morire all'ospedale... perché uno avrebbe degli amici". Questa lettera punta il dito su ciò che ci impedisce di essere umani: la paura.
Di che cosa abbiamo paura?
Della morte, di cui dicono sia una cosa un pò sporca, un tabù, soprattutto una cosa che va tenuta nascosta?
Abbiamo paura della paura dell'altro? O più semplicemente paura di aprire il cuore, di essere finalmente autentici, paura di liberare le risorse affettive che dormono in fondo al nostro essere?


Perché alcuni guaritori superano la paura e riescono a essere presenti, a essere all'ascolto di chi sta per morire?
Perché altri negano la morte, accanendosi sul "corpo" del malato e abbandonando la "persona"? E' lecito pensare che i primi, che sono stati rassicurati del loro essere "buoni", osano vivere la loro sensibilità dinanzi alla sofferenza altrui, mentre invece i secondi, che non hanno mai ricevuto tale conferma affettiva, non possono assumere "affettivamente" il loro ruolo presso i malati morenti. non si tratta di giudicarli, ma di aiutarli e rassicurarli a loro volta. Perché ogni essere umano possiede in potenza questo "extentus affectus" di cui parla Frans Veldman (l’ideatore dell’aptonomia, ndr). L'aptonomia, così ci dicono, "apre le strade che portano a un modo di essere più umano".
L'invito a una maggiore umanità intorno alla morte e ai morenti non è certo superfluo nel mondo in cui viviamo oggi. E' divenuto anzi un elemento di grande importanza. La questione della morte, che ci si pensi o no, è al centro della nostra vita: la definisce nella sua interezza e le dà il suo giusto prezzo. Inoltre la visione che una società ha della morte, il modo in cui essa tratta coloro che stanno per morire, è di per sé un indice del suo grado di umanità. Dobbiamo ammettere che questo indice è caduto davvero in basso in questa fine del Ventesimo Secolo, caratterizzato dal rifiuto della morte, dal mito dell'onnipotenza della medicina, e dalla esclusione della morte dalla vita sociale. In effetti viviamo in un mondo in cui "morire bene" significa morire rapidamente, ancor meglio se inconsciamente, e possibilmente in ospedale per non creare troppo disturbo a chi ci è vicino. Del resto, come potrebbe essere diversamente, dal momento che i valori che governano la nostra vita sono l'efficienza, la prestazione ottimale, l'affidabilità e il consumo?
In questa cornice, l'accompagnamento del morente e le cure palliative rappresentano una nuova forma di umanità. Nato da una presa di coscienza di fronte al rifiuto generalizzato della morte e alla sua conseguenza logica, cioè l'incapacità di accettare la morte di un parente o di un paziente, e anche di fronte ai rischi di generalizzazione e banalizzazione dell'eutanasia, il movimento delle cure palliative e dell'accompagnamento dei morenti riunisce medici, infermiere, psicologi e volontari che tentano di restituire umanità alla morte, di "ri-socializzarla", in una parola di reintegrarla nella vita. Io stessa faccio parte di questo movimento, e lavoro in qualità di psicologa e psicoterapeuta nell'Unità delle Cure Palliative, fin da quando è stata creata. Ed è di questa esperienza che vi parlerò. Debbo innanzitutto raccontarvi un'esperienza che ha rappresentato una vera e propria svolta nella mia vita professionale. Essa si colloca all'origine della ricerca che ho intrapreso e che mi ha portato fino all'aptonomia. Si tratta del primo accompagnamento che ho fatto di un paziente malato di cancro in fase terminale. E' in quell'occasione che ho scoperto tutta l'importanza del contatto fisico. E non è così facile per una psicoterapeuta formata al principio che il paziente non si tocca. Spesso si dice che siano i morenti a insegnarci come accompagnarli. Fu esattamente così.
Ricordo quello che provai entrando nella stanza dove giaceva quell'uomo, piegato dal dolore: un profondo sentimento di impotenza, una perdita immediata dei miei riferimenti di psicologa. Visto a posteriori, ringrazio per quel vuoto che ho sentito, perché mi ha permesso di essere umana e spontanea. Mi sono lasciata condurre, come si suol dire, dal cuore e dall'istinto. L'uomo era disteso su un divano basso. Mi sono inginocchiata al capezzale e ho posato la mano sulla terribile metastasi allo sterno che lui m'indicava come localizzazione del dolore. Ho posto in quel contatto tutta la calma, l'intensità e la presenza di cui ero capace, e sono rimasta là al suo fianco, come sospesa fuori da me stessa. Un quarto d'ora più tardi l'uomo si è calmato e si è addormentato. Quello fu l'inizio di un accompagnamento che sarebbe durato un mese fino alla sua morte in ospedale. Lo andavo a trovare tre volte alla settimana, e mi lasciavo guidare da lui. Non sembrava voler parlare molto, ma piuttosto restare semplicemente con quel contatto, affondare la testa nell'incavo del mio braccio. Restavamo così a lungo. E quando me ne andavo, mi dicevo: "Ma che succede? E' un lavoro da psicologo questo? Non dovrei incoraggiarlo a parlare?" Forse avevo capito allora che l'accompagnamento è proprio questo: lasciarsi guidare dall'altro, adattarsi. Ed era più che evidente che ciò di cui aveva bisogno quest'uomo era di una presenza che non chiedesse nulla, che non si aspettasse nulla, una presenza che io potevo offrirgli tanto più facilmente in quanto la mia affettività - contrariamente a quella della moglie - non era abitata dall'angoscia e dalla paura della perdita, né era appesantita dal fardello di un passato conflittuale.
Benché prima di lasciare la casa mi attardassi sempre un po' con la moglie per evitare che si sentisse esclusa, riconosco che avrei potuto integrarla di più in quello "stare insieme" che Veldman definisce il "consensus haptonomicus". Nonostante questo, l'uomo mi ha scelta come intermediaria, poiché la sera prima di morire mi ha confidato un messaggio d'amore destinato ai suoi: "Li amo tanto" sono state le sue ultime parole. Quando, dopo la morte, le ho riferite alla moglie, lei ha pianto di gioia tra le mie braccia.
Più tardi ho cercato di saperne sempre di più sul contatto, e mi sono imbattuta sull'aptonomia. Questo incontro mi ha dato conferma di quell'approccio che già presentivo giusto, incoraggiandomi a metterlo in pratica sempre più e aprendomi a prospettive sempre più nuove.


Marie de Hennezel deplora un'altra forma di menzogna, speculare a quella così ben descritta da Tolstòj

"Intorno al moribondo c'è troppo spesso negli ospedali una tendenza a impedire qualsiasi espressione emotiva. Grazie a tutta una serie di calmanti, si fa il possibile affinché il moribondo faccia il morto. Deve restare calmo e a riposo. Lo si avvolge nel silenzio, se non nella menzogna, proteggendo i vivi dalla voce che potrebbe infrangere quel muro gridando: "Ho paura, sto per morire, sto soffrendo" Sì, troppo spesso quella voce viene soffocata. Che cosa si può dire? Che cosa si può fare di fronte a quel grido? Soffochiamo quel grido, perché non sopportiamo di non poter fare niente. Chi ci chiede di fare qualcosa? Chi sta per morire ci chiede forse d'impedirgli di morire? Non ci chiede invece di poter sfogare dolore e paura, di poter mandare il suo grido?" (quella che il reverendo Matthew Fox chiama "Via negativa", ndr)" ("La morte amica", op. cit., pagg. 206 - 207). 


Riferendosi ad un amico ammalato terminale scrive la de Hennezel: 

"Il suo corpo si sta dissolvendo, il suo pensiero regredisce. Ma restano il cuore e l'anima, entrambi intatti. Non è come se alla fine della vita ci fosse una suddivisione diversa dell'energia vitale? Se c'è una perdita sul piano fisico e intellettuale, non si osserva un guadagno sul piano affettivo e spirituale?" ("La morte amica", op. cit., pagg. 222 - 223)

L’Immaginazione Morale dell’Infermiera 
Inglese Cecily Saunders: “Dolore Globale”
No al Lutto Anticipato che ci depriva della Condivisione 
di Emozioni  col Malato Terminale 

di MARIE de HENNEZEL
ANGELO UMANO. Cecily Saunders, infermiera britannica,
madre delle cure palliative per i malati terminali. 

"Si può immaginare quanto un approccio del genere possa apportare a una persona in fase terminale di malattia. Dopo un lungo percorso di sofferenze fisiche, il malato sopporta anche il peso della cospirazione al silenzio che si è creata intorno a lui, e troppo spesso, purtroppo, anche il tirarsi indietro dei suoi cari, che tendono, appena conosciuto il pronostico, a rifugiarsi nella fuga o in un lutto anticipato.
E' questa la ragione per cui Cecily Saunders (1918 – 2005, infermiera britannica, ndr), madre delle cure palliative in Europa, ha introdotto il concetto di sofferenza globale.
Se il dolore fisico deve essere assolutamente alleviato (l'accompagnamento non può aver luogo se la persona soffre fisicamente), non può tuttavia essere trattato senza tener conto anche degli altri aspetti psicoaffettivi, sociali e spirituali della sofferenza di chi muore.
Le cure palliative rappresentano quindi un terreno sul quale la competenza tecnica e l'apertura e disponibilità affettiva sono intimamente collegate e debbono procedere congiuntamente.
Si capisce dunque che nell'istituzione le cure palliative rappresentino una rivoluzione: le priorità vengono capovolte, perché si tratta di privilegiare la qualità della vita che resta da vivere, piuttosto che prolungarne ad ogni costo la durata. Questo richiede da parte dei medici e degli infermieri di attribuire più importanza all' "essere" che non al "fare", cosa che può avvenire solo se accettano serenamente i loro limiti e riconsiderano la morte come quel fattore ineluttabile su cui si fonda la vita. E' solo a questa condizione che costoro, anziché combattere contro un nemico che non è tale, si potranno rendere disponibili ad accompagnare i loro pazienti nell'ultimo tratto del cammino.
Le cure palliative si basano, inoltre, su una scommessa: la morte non si riduce a una catastrofe biologica; è un "avvenimento" che comporta il vivere. La scommessa dell'accompagnamento è che se il corpo biologico si degrada, l'attività psichica, invece, continua. L'avvicinarsi della morte fisica non porta con sé necessariamente una riduzione della libido vitale, anzi a volte la risveglia. Michel de M'uzan in un articolo intitolato "Il travaglio del trapasso", constata che alcuni pazienti poco prima di morire conoscono un' "accensione del desiderio", un "appetito relazionale", in cui la posta in gioco è tanto più importante in quanto, attraverso tali emozioni, il morente tenta di assimilare tutto ciò che non ha potuto fino a quel momento, "come se cercasse di mettersi al mondo completamente, prima di sparire".
Cerchiamo di capire bene ciò che questo vuol dire: sapere che uno presto morirà comporta un grande sconvolgimento. La parola 'crisi' non basta a descrivere questo grande sconvolgimento interiore, ancor più violento se avviene quando l'individuo è giovane e ha il sentimento legittimo di non aver realizzato a pieno la sua vita. Si capisce anche che la consapevolezza di avere un tempo limitato da vivere, una volta superato il primo choc, viene accompagnata da una trasformazione, da una maturazione interna, legata agli interrogativi sul senso della vita. Abbiamo l'impressione che la persona, più che mai, cerchi il proprio essere.
Che si parli del "processo del morire", di "crisi del morire", di "travaglio del trapasso", si tratta in effetti di tener conto del fatto che un morente resta comunque un vivente, alle prese con un'esperienza nuova, ma con un'anima viva, i cui movimenti possono, fino al momento della morte propriamente detta, raggiungere un'intimità e una bellezza davvero profonde.
Troppo spesso i parenti, persi nel loro dolore e in un lutto anticipato, e i medici, chiusi nel loro senso di fallimento, non sono in grado di vedere o di sentire tutto quello che si può ancora vivere, condividere, scoprire in questi ultimi momenti di vita. Spesso proietteranno le loro stesse sofferenze sul morente, esigendo al posto suo che vengano abbreviati i suoi giorni visto che non c'è più nulla da fare. Troppo spesso si pensa, a torto, che non ci sia più nulla da sperare da un periodo di tempo che viene vissuto solo come attesa della morte. Ora, l'esperienza ci ha mostrato invece che possono avvenire molte cose sul piano dell'affettività. La morte "psichica" anticipa allora la morte "fisica', quando il morente si sente abbandonato, inutile, quando ha l'impressione di aver perso la dignità, la libertà e la responsabilità. E' possibile non morire prima di morire, e di entrare da vivi nella morte?
Un approccio autenticamente aptonomico mantiene aperta la domanda, in quanto rispetta la morte come tempo e spazio volti a una nuova esperienza. Sappiamo che quando la sua ricchezza affettiva viene riconosciuta, stimolata e valorizzata fino in fondo, il morente può vivere degli scambi relazionali molto intensi. Questo ovviamente implica che il morente va accompagnato con quelle qualità di presenza e di amore 'contenuto' in cui egli troverà la sicurezza di cui ha bisogno per separarsi.

E’ dura Lasciar Andare (come dice Matthew Fox): ecco perché il Malato Terminale cerca da Persone Nuove un amore che non trattenga quaggiù

di MARIE de HENNEZEL
L'INTERVISTA ESCLUSIVA: Matthew Fox Ospite a "Il Cinema e i Diritti"
alla Casa dei Diritti del Comune di Milano intervistato da Lele Jandon 

“E' senza dubbio molto difficile per un familiare offrire a colui che muore un amore che non sia attaccamento, che non trattenga e che lasci andare verso il suo destino la persona cara (questo “lasciar andare”, letting go, è ciò che Matthew Fox chiama “Via Negativa”, ndr). E' il motivo per cui a volte chi muore si distacca dalle persone amate, chiudendosi alla comunicazione con loro, e cercando al tempo stesso il contatto con una persona nuova, generalmente qualcuno che le ha in cura, o una qualsiasi persona benevola, che sarà semplicemente presente, senza aspettarsi niente, senza cercare di trattenerlo. In questo contatto pieno di rassicurazione, i pazienti, sentendosi amati e accettati nel profondo, si potranno sentire liberi di morire. E' questa sottile qualità dell'amore che Kübler-Ross (psichiatra svizzera, 1926 – 2004, fondatrice della psicotanatologia, cioè il sostegno psicologico davanti alla morte ai malati e ai loro cari, ndr) traduce nel suo concetto di "amore incondizionato" e che Frans Veldman chiama philia.
Vediamo ora qualche aspetto dell'approccio aptonomico, in particolare per quanto attiene il fenomeno doloroso, la perdita della dignità, l'angoscia, l'interrogarsi sul senso della morte e gli stati comatosi.”

Le 5 Fasi del Lutto di Elizabeth  Kübler-Ross
che fondò la Psicotanatologia

ANGELO UMANO. La psichiatra svizzera Elizabeth Kubler Ross
ha fondato la branca del sostegno psicologico
di chi sta per morire e dei loro cari. 
Le fasi possono anche alternarsi, presentarsi più volte nel corso del tempo, con diversa intensità, e senza un preciso ordine, dato che le emozioni non seguono regole particolari, ma anzi come si manifestano, così svaniscono, magari miste e sovrapposte.
  1. Negazione/Rifiuto: “Ma è sicuro, dottore, che le analisi siano fatte bene?”, “Non è possibile, si sbaglia!”, meccanismo di autodifesa
  2. Rabbia: “perché proprio a me?”, può essere sia il momento di massima richiesta di aiuto, ma anche il momento del rifiuto, della chiusura e del ritiro in sé.
  3. Contrattazione o Patteggiamento: la persona inizia a verificare cosa è in grado di fare ed in quali progetti può investire la speranza, iniziando una specie di negoziato, “se prendo le medicine, crede che potrò…”, “se guarisco, poi farò…”. Così riprende il controllo della propria vita, e cerca di riparare il riparabile.
  4. Depressione: la persona non può più negare la sua condizione di salute, e inizia a prendere coscienza che la ribellione non è possibile e di solito si manifesta quando la malattia progredisce ed il livello di sofferenza aumenta. Viene distinta in due tipi di depressione. La depressione reattiva è conseguente alla presa di coscienza di quanti aspetti della propria identità, della propria immagine corporea, del proprio potere decisionale e delle proprie relazioni sociali, sono andati persi. La depressione preparatoria ha un aspetto anticipatorio rispetto alle perdite che si stanno per subire.
  5. Accettazione: in questa fase il paziente tende ad essere silenzioso ed a raccogliersi, inoltre sono frequenti momenti di profonda comunicazione con i familiari e con le persone che gli sono accanto. È il momento dei saluti e della restituzione a chi è stato vicino al paziente. È il momento del “testamento” e della sistemazione di quanto può essere sistemato, in cui si prende cura dei propri “oggetti” (sia in senso pratico, che in senso psicoanalitico). La fase dell’accettazione non coincide necessariamente con lo stadio terminale della malattia o con la fase pre-morte.

La fase terminale nei malati di cancro rappresenta circa il 70% dei casi di fasi terminali dolorose. E' ovvio che l'alleviamento del dolore fisico è il presupposto di ogni accompagnamento aptonomico, poiché il dolore fisico, degradante e avvilente, impedisce ogni forma di comunicazione con gli altri e rende impossibile tale accompagnamento. Ora, il dolore è un fenomeno soggettivo. Non è possibile infatti misurarlo oggettivamente. Questo presuppone quindi dei medici e infermieri che credano a ciò che i pazienti gli dicono quando si lamentano dei loro dolori. Tale atteggiamento, che consiste nel prestare fede alla parola del malato e a lasciarsi guidare da lui, incontra ovviamente parecchie resistenze nel mondo medico, che non è abituato a lasciare che il malato tenga le redini della situazione. Credere a una persona sulla sua parola, quando dice di provare dolore, è già di per sé un comportamento aptonomico. Alcuni malati arrivano da noi sofferenti anche se ricevono già forti dosi di analgesici. Abbiamo notato che dopo qualche giorno trascorso nell'Unità di Cure Palliative, una volta messi a loro agio e sentendosi trattati come "persone", hanno cominciato loro stessi a chiedere che i dosaggi venissero abbassati. Altri persistono nel lamentare dolore, malgrado siano sottoposti ad adeguati trattamenti. Si tratta spesso di persone che rifiutano di lasciarsi avvicinare e curare, considerandolo come una regressione inaccettabile. Sono individui che hanno una forte idea della loro autonomia e respingono ogni forma di dipendenza. Il degrado del loro stato fisico fa nascere in loro un'angoscia che si esprime anche attraverso il dolore. In molti casi un approccio prudente, paziente e affettuoso ha permesso dopo un periodo di tempo abbastanza lungo una serena accettazione della dipendenza e perfino della regressione.
Nel caso di dolori localizzati, l'invito al 'prolungamento' si è rivelato efficace. Mi ricordo in particolare di un uomo che lamentava dei forti dolori al ventre e ai reni. Piegato in posizione fetale, mi è stato facile sedermi sul letto e invitarlo a venire verso di me, mentre io gli toccavo la schiena. Non solo il dolore è progressivamente diminuito, ma in questo contatto pieno di fiducia, l'uomo ha cominciato a parlarmi dal fondo del cuore, raccontando in lacrime che sua madre non l'aveva desiderato e che aveva tentato senza successo di abortire. Questa ferita così antica era ancora cocente in lui. Mi è sembrato che a quest'uomo fosse sempre mancata quella conferma affettiva che lo avrebbe liberato. Non era forse quello che cercava ora in quel contatto con me?

S’arriva allo stadio in cui il Malato non riconosce più il proprio Corpo: solo il Contatto Affettivo gli fa superare il Corpo e sentirsi ancora Sé Stesso e la propria Dignità

di MARIE de HENNEZEL
"Mia madre ha l'Alzheimer ed è ancora mia Mamma", testimonia questo
ragazzo irlandese in una campagna. 

“Tra le perdite più dolorose, troviamo la perdita dell'autonomia della persona, quella della padronanza del proprio corpo e quella della propria immagine, che sono spesso vissute come un attentato alla propria dignità. Spesso sono la causa dell'isolamento in cui si chiude il malato e del suo rifiuto di comunicare. Il degrado fisico, d'altronde, comporta spesso una divisione interiore: il corpo è vissuto come un nemico, un ostacolo, un oggetto. Il malato si sente tradito dal suo corpo; l'unità della sua persona è minacciata.
Di recente un giovane malato di AIDS mi diceva che quando vedeva allo specchio il suo corpo dimagrito, ricoperto di Kaposi, aveva l'impressione che non si trattasse di lui. 

"Sono sempre la stessa donna", testimonia questa signora irlandese.
Si noti l'uso dell'avverbio "still", tuttora, che c'è anche nel romanzo
e nel film "Still Alice" (Ancora Alice).

Viveva una sorta di frattura affettiva.
Il contatto con questi malati è delicato. Sentono tutto e non si può ingannarli, né dar loro false assicurazione narcisistiche. Solamente il contatto affettivo, in cui la persona si sente riconosciuta nella sua propria essenza, nella sua "corporeità animata", permette al malato di "superare" il corpo e di percepire sé stesso in modo diverso. E' solo attraverso un incontro in cui l'individuo si sente rassicurato nella propria "essenza" che si può dimenticare di "avere un corpo" sminuito o degradato, perché solo allora si "è sé stessi".
Molte richieste di eutanasia sono legate a questo sentimento di perdita della propria dignità. Ma tale sentimento è legato al fattore corporeo e non al modo di essere dell'individuo. Se si ha sufficiente tempo a disposizione, e a condizione che l'ambiente che circonda il malato non gli confermi questo senso di sconfitta, si può indurre la persona, attraverso degli "impulsi rassicuranti", a riconoscere che la sua dignità è legata al suo modo di essere.
Molti pazienti spesso mi dicono che non sopporteranno di diventare infermi e dipendenti, e che quel giorno bisognerà aiutarli a morire. Dietro a questa paura ve ne è un'altra: la paura di non essere più amati se non corrispondiamo più all'immagine che gli altri hanno di noi. Finché si è lontani da quella realtà, si può dire che sia solo una paura fantasma, ma quando si è realmente infermi, realmente degradati nel corpo, allora tutto quanto dipende interamente dagli altri. Se i parenti e gli amici, attraverso lo sguardo, la presenza e il modo di fare, riescono a far sentire al malato che egli viene amato per il suo "essere", se sanno fargli dimenticare la sua degenerazione fisica, perché loro stessi l'hanno dimenticata, dimostrando interesse solo per la sua umanità, per la sua "essenzialità", allora la questione della perdita della dignità non si pone più.
Noi siamo persuasi, dopo tanti anni di lavoro vicino ai morenti, che attraverso il nostro sguardo, la nostra aptonomia e il nostro modo di entrare in contatto con la persona con rispetto e tenerezza, noi possiamo restituire al malato il suo senso di dignità. Se la paura della morte in quanto tale si incontra raramente, l'angoscia che accompagna l'incognita della morte sembra essere un passaggio obbligato che, ancora una volta, non bisogna mascherare o far sparire, ma contenere grazie a una presenza affettuosa, al fine di permetterne l'elaborazione e il superamento.
Che cosa si può dare a un essere alle prese con l'angoscia di morire, se non l'intensità della nostra presenza e la nostra fiducia assoluta nelle sue capacità di assolvere fino in fondo questo suo cammino? Certe persone ci si aggrappano, in una stretta fortissima della mano o del corpo. Accogliendo questo contatto disperato, accettando di entrare in quella che M'uzan chiama "l'orbita" del morente, senza paura di perdersi perché si è fortemente sé stessi nella propria sicurezza di base, apriamo al morente il percorso verso la sua sicurezza interiore, in modo infinitamente migliore che non lo farebbe un qualsiasi discorso. Una volta ho tenuto una donna stretta contro di me in un momento di disperazione terribile - aveva appena saputo che stava per morire - e poco dopo mi ha detto come aveva vissuto quel contatto: "Ho avuto l'impressione che lei mi stesse trasportando, come una buona nave, attraverso la notte buia" (torna la similitudine della nave, ndr). Mi ricordo anche di un malato in preda all'angoscia, che lottava contro il sonno, tenendo gli occhi aperti giorno e notte, aggrappandosi allo sguardo di chi gli stava vicino. Forse, in quegli sguardi, cercava "l'avvenire della sua anima"?
Si capisce l'importanza, in questi momenti di grande disperazione, di essere accompagnati col contatto, con lo sguardo, per tutto il tempo di una difficile attraversata. La conferma affettiva che vi si scopre è a volte una rivelazione: è quello che si cercava da sempre! La sofferenza spirituale (e non religiosa) riguarda il dare un senso a ciò che viviamo. Sentire la morte che si avvicina induce a porsi la domanda sul senso della propria vita, per che cosa, per chi abbiamo vissuto? Emerge l'interrogativo sui valori dell'esistenza, ed è anche il momento del bilancio della propria vita. Il peccato di Adamo - che consiste nel pensare sempre al domani, senza tenere nel giusto conto le gioie della vita - quante volte l'abbiamo commesso?
Per chi è testimone di questi interrogativi, e noi che accompagniamo i morenti lo siamo sempre, è significativo constatare quanto l'affettività prevalga sull'effettività dell'esistenza. L'essenza di una vita spesso si riduce a tutti quei momenti di felicità, o di "delectatio", nei quali l'individuo ha trovato il coraggio di vivere e di spingersi oltre. Non possiamo dunque dedurre che una conferma affettiva, anche se tardiva, dia all'individuo il coraggio di morire, liberando la sua facoltà d'amare? A chi è infermo, fisicamente degradato, dipendente, resta ancora la facoltà di amare e di essere amato, e il "vissuto di bontà" può arrivare fino al punto di procurare una gioia spirituale. Ma naturalmente questo avviene se al suo fianco vi sono degli esseri umani pronti a vivere questa "corporeità dell'incontro". A volte, quando accompagnammo agonie che sembrano non finire più, pare che il malato aspetti questo ultimo contatto rassicurante e liberatorio, che gli permetterà di abbandonare il corpo e di vivere la morte.
La conferma affettiva può dunque essere data perfino nel coma, attraverso una sorta di veglia, paziente e tranquilla. Che cosa sappiamo del coma? Si parla di affondare nell'incoscienza, di sprofondare nel coma, ma non si potrebbe forse parlare di "risvegliarsi" all'incoscienza? Chi può dire che l'individuo non stia nascendo a un mistero? Non è forse anche un momento privilegiato di contatto sottile da anima a anima? Siamo stati testimoni di pazienti ritornati da questi "abbassamenti di luce" come rappacificati, pronti a partire, come se la loro coscienza fosse emersa trasformata e dilatata da questo tuffo nell'intemporalità, come se l'essere stati vegliati pazientemente o l'aver ricevuto prove d'affetto che non si aspettavano più, o l'essere stati infine rassicurati sul fatto di essere amati, consentisse loro di prendere congedo.
Non dimenticherò mai una donna che ho vegliato per tutta una mattinata, mentre era in stato di coma agonico agitato, e di come pian piano si è calmata mentre la cullavo cantando il suo nome di battesimo, Lucia. Ad un certo punto ha aperto gli occhi, fissando qualcosa in lontananza, sopra di me. Il volto era diventato bellissimo, completamente assorto in quella certa cosa che vedeva lontano, e poi ha smesso di respirare, così, semplicemente.
E' stato detto che chi muore ci fa da maestro. Al loro contatto, in effetti, ciò che vi è di più vivo e di più profondo in noi si apre. Basta dunque dare a questa apertura il suo spazio, e lasciar maturare in noi "l'extensus affectus".

Il Brano: le Testimonianze
“Finalmente posso coccolare mia Madre: lei sempre così fredda, ora con l’Alzheimer si lascia abbracciare”
di MARIE de HENNEZEL
“Sono andata a passare una giornata in una delle Villa Épidaure, una bella struttura di La CelleSaint-Cloud, che ospita ottantaquattro pazienti affetti dal morbo di Alzheimer. La struttura è stata progettata per non dare l'impressione di un grande istituto, ma piuttosto di una pensione familiare, con le sue sette unità da dodici pazienti ciascuna, che assomigliano a piccoli kibbutz, ognuno sotto la responsabilità di una padrona di casa. La filosofia della residenza è profondamente umanista. Le équipe sono animate da una riflessione costante su come rispettare la dignità degli ospiti e restare in ascolto delle famiglie. (…) Incontro la moglie di un paziente giunto all'ultimo stadio dell'Alzheimer. Con molto pudore, mi racconta l'evoluzione della malattia di suo marito. Il silenzio straziante con cui ha accolto la diagnosi, poi gli sbalzi d'umore e l'aggressività che rivelavano il suo malessere. Pur essendo molto vicini tra loro, lui non le ha mai parlato del suo tormento. Quando lo psichiatra che lo seguiva ha spiegato che bisognava prendere in considerazione il trasferimento in una struttura specializzata, ha chiuso gli occhi e non li ha più riaperti fino a che non se n'è andato. Da allora, sembra essersi murato vivo. «Non ha mai chiesto di rivedere casa». Per lei la separazione è stata durissima. Non si erano mai lasciati. All'inizio andava e veniva tutti i giorni, ascoltavano musica insieme, lo portava a passeggio. Poi una tendinite l'ha obbligata a diradare le sue visite. Adesso pensa che lui non la riconosca più, anche se la sua sensibilità è sempre viva come prima. A volte ha le lacrime agli occhi quando ascolta la musica. Lei continua a venire per fedeltà. La rassicura il fatto che, fin dal suo arrivo a Villa Épidaure, lui si sia fiduciosamente lasciato curare. Migliaia di persone soffrono, come questa donna, assistendo impotenti al declino di una persona amata. Eppure la accompagnano fino alla fine. Tra le paure che evocavo, all'inizio del libro, la più diffusa è proprio quella di terminare la nostra vita nella demenza e di imporre agli altri il peso della malattia. Ognuno di noi desidera ovviamente che questo destino gli sia risparmiato. Ho riflettuto, tuttavia, in prima persona, su cosa potrebbe aiutarmi ad accettarlo, se io stessa o uno dei miei cari fossimo colpiti un giorno dal morbo. Essere a conoscenza dell'esistenza di strutture come quella che ho appena descritto è qualcosa che mi fa sentire meglio. Il documentario di Laurence Serfaty, "Alzheimer jusqu’au bout de la vie", girato in Québec, mostra la vita quotidiana in un luogo sperimentale, sotto questo aspetto, la casa “Carpe Diem. Ed ecco delle immagini che riescono a cambiare il nostro sguardo cosi pessimista. Il personale curante cerca di vedere «ciò che ancora funziona» in queste persone che sprofondano progressivamente nella notte. Si sente che amano i loro pazienti e che rifiutano qualunque procedura standardizzata scegliendo di adattarsi invece a ogni singolo ospite. Guardando il film, si matura la convinzione che è possibile terminare la propria vita conservando dignità e integrità, anche se si è colpiti da questa malattia che cosi tanto ci spaventa. E si capisce che è possibile comunicare con un individuo affetto da demenza, se si mantiene un legame con lui. Bisogna, ovviamente, essere certi che ne valga la pena, dato che il malato rimane pur sempre «una persona, e non il resto di un uomo decaduto e definitivamente irraggiungibile»... Queste testimonianze placano la mia paura di dover portare un giorno uno dei miei cari in un'istituzione di quel tipo. Come esprime bene Christian Bobin: «Il morbo di Alzheimer toglie quel che l’educazione ha messo nella persona, e fa risalire in superficie il cuore. È attraverso gli occhi che i malati parlano, e quello che vi leggo mi illumina più dei libri [...]. Mi porto via dalla casa di riposo un bisogno di toccare, anche solo furtivamente, la spalla di coloro che incontro e una diffidenza accresciuta verso i bei discorsi». Non è forse vero che anche i più vulnerabili tra i nostri anziani hanno qualcosa da trasmetterci? Se così è, dobbiamo cercare di lottare contro il pensiero dominante secondo cui le persone dementi non hanno nulla da offrire e la loro vita, in queste condizioni, non è più tale. L’idea che, anche se fossi colpita dalla demenza, avrei comunque qualcosa da dare a coloro che mi stanno intorno è un altra presa di coscienza che mi aiuta a considerare le ipotesi peggiori. Ho ricevuto di recente la testimonianza di una donna della mia età che dice di aver trovato un senso nella malattia della madre. Essa viene a riempire, mi scrive, una mancanza molto antica: «Ho infine la possibilità di coccolare mia madre, di abbracciarla e di dimostrarle il mio affetto. Mi permette di esprimerle quello che non ho mai potuto fare, perché, prima che si ammalasse, era fredda e mi allontanava sempre.» Il morbo di Alzheimer resta un mistero. Esistono diverse teorie circa le possibili cause ambientali. La solitudine, per esempio, dato che uno studio americano ha provato che una persona anziana lasciata da sola ha il doppio delle probabilità di svilupparlo. Le associazioni delle famiglie di malati di Alzheimer percepiscono questa ipotesi come un attacco nel loro confronti. Preferiscono l'idea della biogenesi, che non solleva questioni di responsabilità. lo credo che si debba evitare di essere manichei. Si tratta certamente di una malattia multifattoriale e sulle cui cause psicologiche o situazionali circolano diverse teorie, sebbene più confidenziali. Lo psichiatra Jean Maisondieu non esita a ipotizzare che il morbo possa essere «un grido, un rifiuto una sorta di suicidio sociale e intellettuale». Perché la persona ha deciso di essere morta prima di morire? Di ritirarsi dalla scena? Per non essere testimone del proprio invecchiamento, della propria morte, suggerisce. Aude Zeller, psicoterapeuta, ha pubblicato un libro sui sei anni del declino di sua madre Denyse. E’ raro che qualcuno scriva della degenerazione fisica e mentale delle persone affette dal morbo di Alzheimer. E’ un argomento tabù. Ma lo sguardo che Aude Zeller posa su questa realtà dolorosa è così innovativo e profondo che merita di essere ricordato. La demenza senile non è soltanto, secondo lei, la semplice distruzione delle capacità mentali e psichiche di un individuo. Quella che appare all'esterno come regressione potrebbe essere anche l'occasione di una lenta e ultima trasformazione. Ecco una tesi originale, una tesi che potrebbe rivelarsi di grande aiuto. Quando la degenerazione fa regredire l'anziano a uno stato di dipendenza simile a quello di un bimbo piccolo, questo gli permette di ripristinare un’organizzazione mentale in cui la paura della morte non esisteva ancora. Si tratta dunque di un modo di prepararsi. Comprendere questo può permettere alle persone circostanti di accompagnare una regressione che è potenzialmente dotata di significato e quindi sottratta all'assurdo. Seguiamo, dunque, il racconto della vertiginosa caduta nella demenza, di ciò che Denyse definisce come la sua «depredazione», descrivendo con questo termine il sentimento di perdita progressiva e implacabile di tutto ciò che aveva contribuito alla sua identità di donna. Perdita della vista, dell'udito, della parola, ma anche della mobilità delle mani e dunque dell'autonomia. «Quando non si è più in grado di prendere un bicchiere per bere, né una forchetta per mangiare, né di grattarsi il naso per il piacere di farlo, il rapporto con il proprio corpo si inabissa nel pantano viscoso della dipendenza totale.» Perdita del proprio potere sugli altri, perdita di qualunque controllo su di sé e l'affiorare involontario di discorsi aggressivi, talvolta sboccati, il più delle volte deliranti. Ritorno del rimosso, così Aude Zeller battezza questi straripamenti, in cui le è ben difficile riconoscere sua madre. Cerca tuttavia di comprendere ciò che accade. Sua madre non si è sentita libera di dare spazio ai propri desideri segreti. C'è tutta una libertà sessuale che lei ha insabbiato nel corso degli anni e che tenta ora di affrancare dai vecchi impacci morali. «I suoi accessi di delirio tendevano a tornare sul vasto tema dei soprusi compiuti alla sua sensibilità di donna. Avevano dunque un senso, nonostante i loro effetti dolorosi. Ed era bene non contrastarli, ma piuttosto mettersi in ascolto». Malgrado le apparenze, ci dice Aude, la persona demente ha una certa, vaga, consapevolezza della distorsione che opera sulla realtà. Sarebbe un torto grave e una mancanza di rispetto comportarsi come se non fosse così. Le divagazioni non sono altro che «un tentativo disperato verso l’ampio, il vasto, il largo», da cui la persona affetta da demenza si sente esclusa a causa dei limiti imposti dalla vecchiaia. Finiamo per scoprire che, anche quando si è perso quasi tutto, resta l'essenziale: «Un anno e mezzo prima della sua morte, dopo che le avevo appena letto un salmo dalla sua Bibbia e mentre invocavamo insieme la benedizione di Dio conformemente alle sue vecchie abitudini e alla sua vita spirituale, alzando i suoi occhi pieni di altrove mi rispose, con mio grande stupore: “Questo non me lo hanno ancora portato via”». Molti dei miei colleghi psicoterapeuti sostengono l'ipotesi che il morbo di Alzheimer sia un modo progressivo di assentarsi dalla vita, per non dover affrontare l'avvicinarsi inesorabile della morte. C'è una storia che sembra rafforzare questa teoria. L’uomo che me l’ha raccontata ha più o meno sessant'anni, vive in Madagascar e ogni sei mesi viene in Francia a trovare i suoi figli e soprattutto il vecchio padre, ricoverato in un istituto per persone affette da Alzheimer. Suo padre è arrivato all'ultimo stadio della malattia, non lo riconosce più. Il figlio, stremato, appena prima di Natale, gli ha chiesto: «Papà, perché sei ancora qui? Cosa fai ancora in questa vita?». Fare questa domanda gli è costato molto; l'argomento della morte rimane un tabù. Il padre a quel punto lo ha guardato dritto negli occhi e gli ha risposto: «Non è facile fare il passo!». A domanda chiara, risposta chiara. Ho sempre pensato che se i parenti di persone affette da demenza senile parlassero con loro in modo sincero, otterrebbero risposte che dimostrano come la coscienza non sia del tutto spenta... Per quanto mi riguarda, ho chiarito la mia volontà ai miei figli: se mi dovesse accadere di sprofondare nella demenza, non voglio continuare a vivere oltre lo stadio in cui non li riconoscerò più. Ho chiesto loro di parlarmi sinceramente, rivolgendosi a me come se fossi nel pieno possesso delle mie facoltà, come ha fatto il mio amico del Madagascar. Perché sono intimamente convinta che probabilmente “qualcosa” in me, qualcosa di sepolto nell'inconscio, sentirà comunque quello che mi diranno. Mi rassicura il fatto che la legge «Diritti dei malati e fine della vita» rafforzi il mio diritto a rifiutare trattamenti che mi costringerebbero a vivere e che mi tuteli affinché i medici tengano conto delle mie volontà anticipate. Se si avverassero tutte queste condizioni – un istituto umano, figli che mi parlano in un linguaggio fatto di verità, medici che rispettano il mio desiderio di non continuare a vivere al di là di un certo stadio – la prospettiva di terminare la mia vita colpita dal morbo di Alzheimer sarebbe, credo, meno dolorosa. A maggior ragione se, come mi sembra di intuire, il processo di realizzazione di sé continua nonostante tutto, nelle profondità del nostro essere.”
(brano tratto da Marie de Hennezel, “Il calore del cuore impedisce al corpo di invecchiare”, 2008)
Tom Kitwood:  il Contributo dei Cristiani nella Società
"Gesù curò Persone Malate nel Corpo e nella Mente. 
I Credenti sono più Motivati, Impegnati e Sereni da Vecchi"
Il gruppo di Kitwood poi si trasferì, dentro la Bradford University, dal dipartimento di Studi Umanistici Interdisciplinari (Interdisciplinary Human Studies) alla Scuola di Studi sulla Salute (School of Health Studies) nel 1998. 8 membri fissi, con 18 associati nel Regno Unito. Nello stesso anno, ottenne una cattedra ad personam di Psicogerontologia alla Bradford University intitolata allo scopritore dell'Alzheimer ("Alois Alzheimer Professor of Psychogerontology"). Fu autore di opere come "Person to Person: A Guide to the Care of Those with Failing Mental Powers" con Kathleen Bredin (1991).
In un mio articolo sul mio Blog nella mia recensione al libro "Menti Tribali" di Jonathan Haidt (http://lelejandon.blogspot.it/2014/10/ri-creare-un-senso-di-comunita-e-una.html) avevo parlato del ruolo delle fedi nel volontariato: i credenti fanno più volontariato e chi partecipa ad una Comunità religiosa fa più donazioni. Jonathan Haidt cita i risultati di Putnam e Campbell che hanno scoperto che le fedi generano eccedenze di capitale sociale che va a beneficio di estranei. Anche Tom Kitwood aveva già rilevato questo dato di fatto (riconosciuto dal Premier britannico David Cameron nel suo discorso pasquale, da me tradotto sul mio Blog in un articolo del 28 aprile 2014), e lo vede non solo nella compassione dei cristiani verso le persone in difficoltà bensì anche nella serenità delle persone anziane credenti:
"Nella vita spirituale non si va gradualmente verso la vecchiaia; quando il corpo diventa fragile ed esausto, perfino quando anche la mente perde la sua lucidità, la vitalità spirituale e la crescita spirituale possono ancora continuare" ("Che cos'è umano?", edizioni G.B.U., pag. 149).
"I cristiani vedono la sofferenza per prima cosa come un male che dev'essere vinto. Essi sono i seguaci di Colui che si preoccupò e si prese cura dei sofferenti di malattie fisiche e mentali, degli affamati, degli ansiosi, dei reietti. I cristiani sono sempre stati chiamati, e sempre lo saranno, ad impegnarsi nello stesso lavoro, e che siano stati efficienti in esso, ne danno testimonianza i molti ospedali, ostelli e rifugi per i proscritti sociali. In effetti, vi è un modo cristiano di curare, un modo sensibile al mistero della sofferenza, che può portare un conforto maggiore" (pag. 162)
"Quando la sofferenza che non si può evitare sopraggiunge, i cristiani cercano di usarla creativamente" (pag. 163)
Afferma inoltre che "a volte solamente affrontando disastri e angosce arriviamo a conoscere la nostra vera umanità", "ma ai cristiani non è mai chiesto di accogliere la sofferenza con gioia; piuttosto essi sono sempre chiamati ad impegnarsi nelle attività più utili per debellarla, così come vi si impegnò lo stesso Gesù" (pag. 157).
"La sofferenza è un mistero, e con questo vogliamo dire che è un problema che ci coinvolge personalmente, un problema che non riusciamo a capire completamente, ma che però ci porta ad una visione più interiore della nostra esistenza. La sofferenza, come l'amore e la gioia, per la sua profondità va oltre i limiti di una discussione puramente razionalistica. Non possiamo assumere nei suoi confronti la posizione che si prende davanti ad un problema di matematica" (pag. 155): come quei nazisti, appunto, ben descritti ne "La Vita è bella".
Un'interpretazione della Sfida dell'Alzheimer secondo la Teologia di Matthew Fox
Possiamo schematizzare così un modo di vedere completo dell'Alzheimer seguendo il ciclo delle 4 Viae del teologo Matthew Fox che ha inaugurato la nostra rassegna il 26 settembre scorso qui alla Casa dei Diritti
- Via Positiva: la gratitudine verso la vita (espressa per esempio nelle belle parole della principessa Yasmin Aga Khan) e i momenti di gioia di chi esprime le sue emozioni con le creative therapies, come Rita Hayworth e la pittrice  Hilda Gorenstein con la pittura;
- Via Negativa: è il sapersi abbandonare: da una parte il dolore sia del paziente sia dei vicini che se ne prendono cura, che va condiviso ed ascoltato (ad esempio negli Alzheimer Café) e dall'altra la capacità di ridere di sé, di abbandonarsi all'autoironia (come nel caso di Alice);
- Via Creativa: la creatività come essenza della nostra umanità che può emergere solo a partire dal dolore e al tempo stesso dalla gioia di vivere (ad esempio la creatività dei pazienti delle creative therapies);
- la Via Transformativa: la creatività messa al servizio della Comunità per trasformare la realtà, come appunto la creazione di spazi dementia friendly, Luoghi di autentico incontro egualitario come gli Alzheimer Café o come l'invenzione delle terapie non mediche come la terapia delle bambole ed il metodo validation oppure, ultimo ma non meno importante, l'attivismo come quello dei familiari dei pazienti che si sono mobilitati per la piena rimborsabilità dei farmaci e tutti quelli che si battono per la cultura sia della visibilità (come la principessa Aga Khan) sia della diagnosi precoce (come Maria Shriver).
Il Potere della Musica
Lo psicologo clinico Oliver James pensa che possiamo massimizzare la qualità della vita delle persone che convivono con le demenze, come spiega nel suo bestseller "Contended Dementia". Lo pensa anche Shibley Raman, della Cambridge University in Inghilterra, autore di "Living Better With Dementia" ove spiega il benessere donato dalla musica documentato sia nella prestigiosa rivista "Brain" sia mostrato nel documentario "Alive Inside" (Premio del Pubblico al Sundance Film Festival, trailer visibile qui http://www.aliveinside.us/#trailer): vecchi di solito apatici che si mettono a ballare e saltano in piedi.
Se il cervello è ancora un mistero, la potenza della musica pure lo è, dal momento che ha l'effetto di stimolare come nessun'altra sensazione varie zone del cervello.
Concorda con Tom Kitwood Suzanne Zeedy nel suo blog (http://suzannezeedyk.co.uk/wp2/2014/10/06/how-dementia-helps-us-understand-our-common-humanity/):

"Noi umani nasciamo connessi, in cerca di risposte, e le persone che convivono con la demenza continuano ad attendersi risposte dai vicini. (...) La demenza non deruba della personalità (...) non dissolve il nucleo di umanità della persona (core humanity)"

Abbandonare il linguaggio tradizionale non significa infantilizzare le persone, trattarle da infanti (che come dice l'etimologia latina, significa che non possono parlare). Si tratta di ridefinire il rispetto: conta la risposta in sé, la "responsiveness" (che significa: "sensibilità, comprensione, simpatia"), non la forma. E' il degnare di risposta. Il rinunziare a dar loro una qualche risposta è irrispettoso (disrespectful) come, appunto, le cosiddette "bugie terapeutiche" che Tim Kitwood indica come non rispettose della dignità umana.  


Prevenzione dell'Invecchiamento Precoce:
Buon Sonno, Poca Carne Animale, Tanti Antiossidanti (Curry ed Omega Tre) e Moto 30 min. x 3 vv. a 7mana
Curiosamente, le noci rassomigliano proprio ad un cervello umano:
4 noci al giorno sono raccomandate perché ricche di omega3,
grassi sani che costituiscono il 30% della membrana dei neuroni.
I migliori panettieri realizzano anche il pane alle noci. 

Anche se s'ignorano le cause precise dell'Alzheimer, più in generale per quanto riguarda la prevenzione dall'invecchiamento precoce, viene raccomandata l'attività fisica: il nostro corpo è strutturato per il movimento e il moto fa bene tanto al cervello quanto al resto del nostro fisico.
Poi, seguendo il detto mens sana in corpore sano, una dieta a basso contenuto di grassi saturi animali, con frutta quotidiana, curry (che contiene la curcumina, polifenolo antiossidante) acidi grassi sani come gli Omega 3 (che costituiscono il 30% della membrana dei neuroni), e si trovano  nei semi di lino, lattuga romana, cavolo, semi di senape, chiodo di garofano, noci (che hanno una forma simile ad un cervello), mandorle, pistacchi, anacardi, pinoli, pesce, cavolfiore, zucca, spinaci, cavolo cappuccio, verza e fragole; evitare  i grassi idrogenati e naturalmente le carni rosse specie se lavorate (finalmente dichiarate dall'OMS come cancerogene).
I fattori di rischio, come spiega il dottor Sam Gandi, sono:

- la pressione alta;
- il colesterolo alto;
- il diabete;
(http://www.nydailynews.com/life-style/health/alzheimer-disease-dire-threat-early-action-treatment-slow-progress-article-1.1136755)
E consiglia 30 minuti di attività fisica almeno tre  volte a settimana.
Un'altra cosa molto sottovalutata è dormire a sufficienza, come spiega Maria C. Carrillo in questo video: https://www.youtube.com/watch?v=Jk23vH7BbnA

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Cosa possiamo fare Noi della Società Civile? Creare Comunità Dementia-Friendly
Milano Modello con gli Alzheimer Café creati da un Geriatra Olandese, Gratis e Diffusi in tutta Europa. Le Emozioni Affratellanti nel Gruppo creato a Casa da Alice
Bere Miesen, psicogeriatra olandese ideatore degli Alzheimer Café

Come possiamo attivarci noi come società civile?
Non credo che dobbiamo sapere cosa sono gli amiloidi, bensì sapere come rapportarci con le persone che convivono con l'Alzheimer.

Noi non dobbiamo lavorare "per", bensì collaborare con gli anziani.

L'autentica compassione non è dall'alto in basso, bensì collaborazione (cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/09/la-via-della-compassione-creativa.html, http://lelejandon.blogspot.it/2014/11/the-help-lezione-sulla-compassione_14.html).
L'idea geniale di Bere Miesen è diventata un successo
in Europa e Stati Uniti.

Creare, come si dice in Inghilterra, delle "dementia friendly communities" o "dementia inclusive communities" o "dementia capable communities", comunità amichevoli nei confronti delle persone con demenza.
Ci testimonia la signora Elisabetta Granello dell'associazione "Al Confine":

"Con queste persone si può stare, non solo aliene, sono persone!
Anziché guidarle, lasciamoci accompagnare da loro"

Possiamo partecipare a corsi come quello sul metodo Feil o metodo validation che ho seguito della signora Cinzia Siviero.
Il governo inglese sta facendo un buon lavoro in questa direzione.
Un esempio sono gli Alzheimer Café gratuiti e a regolare cadenza settimanale, ideati nel 1997 dall'olandese Bére Miesen (psicogeriatra come Tom Kitwood) a Leida e diffusi in tutta Europa, creati a Milano dall'onlus "Al Confine" (http://www.alconfine.net, a cui potete donare anche il vostro 5 per mille) in due zone di Milano (nel quartiere Isola ed in via Pennini): incontri di provata efficacia, come testimoniano i partecipanti al corso sul metodo validation. Parteciparvi una volta alla settimana, anche se spesso non ci si ricorda volti e nomi degli altri, restituisce sia il piacere di essere qualcuno sia il piacere di stare insieme.  
Un efficace esempio di comunicazione: un Alzheimer Café
ad Alessandria. Ciascuno può ospitare un'iniziativa del genere
anche a casa propria, come fa Alice nel romanzo "Still Alice"

Spiega il Professor Miesen uno dei benefìci del suo metodo:

"Nel mondo esterno, c'è poco riconoscimento del fatto che sia la persona con demenza che coloro Che vivono vicino a loro stanno attraversando un processo di lutto."

Come ama ripetere il reverendo Matthew Fox, teologo e attivista sociale che è stato mio Ospite in Esclusiva per Milano lo scorso 26 settembre ad inaugurare la seconda edizione de “Il Cinema e i Diritti” alla Casa dei Diritti del Comune di Milano, “abbiamo bisogno di fare lutto (“we need to grieve”): se lo viviamo sino in fondo, sapremo riconoscerlo nel nostro prossimo diventiamo persone compassionevoli capaci di accogliere il dolore del nostro vicino e trarre ispirazione per mettere la nostra creatività al servizio della trasformazione sociale.
Come ci testimonia anche la psicanalista e psicologa Marie de Hennezel nel suo libro “La morte amica” (Bur, Milano 2015),

Nessuno mi ha aiutato a svuotarmi del mio dolore. La depressione che segue un lutto è considerata anormale” (cioè “clinica”), “ci mandano dal medico perché ci prescriva farmaci” (pag. 128)
"So per esperienza che la sofferenza s'allevia se si riesce a parlare della morte con i propri cari, se si può anche piangere insieme" (pag. 157)

La prima realizzazione dell’idea di Miesen di un Caffé Alzheimer avvenne in una sala conferenza dell'Università di Leida con la partecipazione di circa 20 persone, ma un mese più tardi i partecipanti furono 35 ed un altro mese dopo il numero era salito a 54; dopo 3 mesi, l’aula conteneva 80 persone.

"Il "conduttore" non è colui che conduce - spiega Cinzia Siviero, volontaria ed insegnante del metodo validation- bensì colui che facilita il dialogo"

L'Alzheimer Café può anche essere casalingo: ad esempio nel romanzo Alice lo fa a casa sua:

"Volete qualcosa da pensare?" chiese Alice.
"Alice, intendevi "qualcosa da bere"?" chiese Cathy.
"Perché, cos'ho detto?"
"Hai detto "pensare"."
"Risero, e quella risata li unì immediatamente. ("Still Alice", pag. 222)

"Raccontarono e risero e piansero per storie di chiavi smarrite, pensieri smarriti e sogni di vita smarriti. Alice si sentiva ascoltata, senza che nessuno si preoccupasse di correggerla. Si sentiva normale" ("Still Alice", pag. 224)

Credo che ai nostri vecchi vada fatto capire che fragilità non è sinonimo di debolezza, bensì è riconoscimento della nostra interdipendenza.
Il Comune lavora ad uno sportello badanti specializzate in Alzheimer, e Michele Farina, giornalista del "Corriere", ci racconta che colei che fu la fedele badante della madre scomparsa, oggi la considera sua sorella. Sono le nuove famiglie che abbiamo raccontato al Cineforum sul film "A Lady in Paris" che rivedremo giovedì 17 dicembre 2015 al Cinema Gregorianum alla rassegna "I Nuovi Angeli".


Le Intuizioni Morali di NAOMI FEIL, inventrice del Metodo Validation
Crebbe nella Casa per Anziani ove lavoravano i Genitori,
Applicò l'Empatia di Carl Rogers: Ascolto Empatico
BASTA BUGIE E RAGIONAMENTI. ACCOGLIAMO LE EMOZIONI
 
ANGELO UMANO. Naomi Feil ha vissuto sin da bambina nella casa di riposo ove lavoravano i genitori. Ha ideato il metodo che reca il suo nome per relazionarsi in maniera corretta con le persone con Alzheimer. 

Ho frequentato il corso del metodo validation tenuto da una signora di straordinaria intelligenza emotiva, Cinzia Siviero (formatrice da nove anni a Milano) che opera sia con la Casa Famiglia San Giuseppe di Vimercate in provincia di Milano, sia con l'onlus "Al Confine" di Milano. Tale metodo è uno stile di comunicazione che reca provati benefìci a chi vive con l'Alzheimer e si sposa perfettamente con la filosofia che sta alla base del nostro cineforum che valorizza "l'intelligenza delle emozioni" (per citare il titolo italiano di un libro della filosofa ebrea americana Martha C. Nussbaum): esso consiste nel convalidare, anziché ragionare, nel sentire e nell'intuire anziché discutere. Il metodo (dall'inglese "to validate", "legittimare, convalidare") consiste in questo: grazie all'empatia, se vedi le cose dal punto di vista dell'altro, troverai sempre una buona ragione valida (da qui il nome) e assumerai un atteggiamento convalidante. Fu creato da una donna di straordinaria empatia ed immaginazione morale, Naomi Feil negli anni Ottanta, sia per trattare con dignità la persona con Alzheimer sia per ridurre lo stress e limitare l'abuso di contenzione fisica o chimico-farmacologica ed i relativi effetti collaterali (Per info sui corsi: http://www.validation.it/)

"Mettersi nei panni dell'altro e vedere le cose dal suo punto di vista"

Ciò significa sia ascolto empatico attivo: ad esempio se sento una parola-chiave, rivolgo domande e lascio che lei o lui (si) racconti. (Vorrei ricordare ancora una volta che la parola "relazione" deriva dal latino "relatio" che significa "racconto").
Ecco un esempio di dialogo spontaneo riferito da un'infermiera che ha frequentato con me il corso:
Un giovane volontario con un paziente in un hospice britannico

paziente: "Mi manca tanto mia mamma, sai?" (forse non ricorda che è morta, ndr)
infermiera: "Io purtroppo non l'ho conosciuta, la tua mamma"
paziente: "Ma tu...Tu sei un pò come la mia mamma!" (si abbracciano: il contatto è molto importante, donde la creazione della scienza dell'aptonomia, ndr)
infermiera: "e dimmi, com'era tua mamma?"
(la paziente si mette volentieri a raccontare...)

Nata a Monaco di Baviera nel 1932, Naomi Feil è cresciuta in America. I suoi genitori lavoravano una casa per anziani a Cleveland (città di 400.000 abitanti con alta qualità della vita sita nell'Ohio ov'è nata anche l'attrice Debra Winger) con incarichi dirigenziali: lui come direttore e lei come boss del servizio sociale.  Assistente sociale laureata in Social Work alla prestigiosa università Columbia di New York, ancor oggi diffonde il metodo da lei ideato nel mondo. Il suo primo libro (del 1982) si chiama "The Feil Method". La Feil intuì che sono spesso controproducenti i seguenti espedienti:
- sia il tentare di far ragionare l'anziano ("Ma lei deve capire che...") e tranquillizzare ("andrà tutto bene, ci penso io");
- sia la c.d. "bugia terapeutica" ("ok, dopo ti porto a casa");
- sia il diversivo (distrazione da una richiesta impossibile: "perché nel frattempo noi due non andiamo a bere un té?")
E ciò perché minano il rapporto di fiducia e ci sentiremo dire:

"Chi credono di prendere in giro?"
"A te non ti credo più"
"Non ti ci mettere pure tu!"

E' la sensazione dell'imbroglio. Secondo Geil, è questo tipo di sfiducia, più ancora che il danno neurologico, a provocare la chiusura in sé stessa dei pazienti. Infatti, come le persone non vedenti affinano una simile sensibilità, gli anziani con Alzheimer sono molto attenti al linguaggio non verbale, in primis tono della nostra voce (come si dice anche di Alice nel romanzo, a pag. 174). Impariamo, dunque, a non cogliere le provocazioni: guerreggiare tentando di far ragionare chi non ricorda più quella cosa, non fa che aumentare il disturbo e non è una soluzione creativa, anzi distrugge il rapporto di fiducia che si vuol costruire. "Ma guarda che...." oppure "Ma come mai?" è un tipico modo di far incominciare una frase che tenta un ragionamento. Piuttosto, Feil c'invita ad "imparare a suonare tutti i tasti del pianoforte", cioè ad usare creativamente la nostra immaginazione morale. Si tratta, con molta semplicità, di chiedere, di interessarsi: chi ha una così lunga storia di vita ha senz'altro tante cose da raccontarci.  Nelle residenze sanitarie assistenziali i caregivers -fra le altre cose- propongono altresì l'attività di disegno, incoraggiandoli anche se hanno le mani tremanti. Importante è che il disegno non sia imposto, bensì lasciato libero. Anche così degli anziani che magari hanno perso capacità verbali possono comunicare le proprie emozioni e stati d'animo. Come dice la scrittrice Premio Nobel nel suo racconto "The Bear Came Over The Mountain" (Einaudi, Torino 2014, prima ediz. 2001, titolo originale “Hateship, Friendship, Courtship, Loveship, Marriage”, pag.  290)

“Queste persone avevano un’intensa vita mentale”


Tecniche Validation: a Portata di Sguardo, Voce Calda e in Sintonia

Quali sono le tecniche non-verbali del metodo validation? In primis, dobbiamo essere a portata di sguardo (proprio come i genitori coi bébé), e, se è il caso, abbassarsi in maniera da essere vis-à-vis. Lo sguardo dev'essere diretto, dritto negli occhi ed alla stessa altezza. La nostra voce dev'essere sia abbassata di tono sia calda sia in sintonia con l'altro: se lui o lei sono agitati, mostriamoci anche noi partecipi per farli sentire capìti. Eccovi un esempio reale: il signor Guerino è il padre di due ragazze che han partecipato con me al corso. Un giorno è uscito di casa e si è smarrito, è finito su un autobus e s'è messo a gridare "Concetta!" e a quel punto dei giovinastri svergognati si sono messi a sghignazzare ed additarlo come ridicolo. Guerino, che ha una memoria fortemente compromessa, per giorni e giorni s'è ricordato ed ha parlato coi familiari sia di questo trauma dell'irrisione, sia della gentilezza della signora che lo ha aiutato a ritrovare i suoi familiari. Come fare quando si ritrova un nostro familiare così? La risposta migliore è naturalmente l'abbraccio rassicurante. Ed anche se siamo già stati informàti da altri sulla dinamica, dobbiamo comunque rispondere al suo bisogno di raccontare, e dunque dobbiamo chiedergli: "Che cos'è successo, Guerino?" in un tono che sia coerente con il suo stato, quindi accalorati anche noi.


La Terapia Complementare: le Bambole
L'ideò una Svedese pel Figlioletto Malato Terminale
in un Villaggio Specializzato nella Produzione di Questi Giuochi

La psicoterapeuta svedese che ideò la terapia delle bambole. 

Considerando il bisogno di calore umano (vi ricordate quando al cineforum sulle mamme vi raccontai dell'esperimento con la bambola di scimmia di Harry Harlow?), è bene che i caregivers lascino in giro oggetti morbidi (cuscini, peluches, pupazzi, golf arrotolati) che fungano da surrogati nei momenti di nostalgia. Esiste anche un'altra terapia di sostegno chiamata "terapia della bambola" ("doll therapy", "empathy doll") ideata nel 1996 da una signora svedese, psicoterapeuta, Britt-Marie Egedius-Jakobsson, per uno scopo familiare. 
La terapia delle bambole in inglese
si chiama "doll therapy".
La signora viveva in un villaggio che aveva questa forma di artigianato di creatori bambole (Joyk) ed aveva ideato questa forma di terapia creativa per il proprio bambino gravemente malato.  Tali bambole, a differenza delle bamboline prodotte in serie, sono prodotte a regola d'arte per favorire l'abbraccio, sono realizzate in tessuto bello morbido, hanno un dispositivo che riproduce il battito cardiaco, hanno il collo molto mobile e lo sguardo laterale, posso sedersi, sdraiarsi come fossero persone vive, e hanno i capelli sbarazzini, per essere pettinati e carezzati. Hanno tanti vestìti che il paziente può divertirsi a cambiare. Alcune sono dotate di tasche contenenti essenza calmanti che fanno aromaterapia. Tramite l'accudimento del bambolotto ed il maternage (che è l'arte delle cure materne nei primissimi anni di vita, che possono essere perfettamente espletate anche da genitori di sesso maschile, cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/12/le-famiglie-felici-si-rassomigliano.html), il soggetto riattiva sia ricordi positivi di quando è stato genitore, e ricreando il rapporto col bambino di un tempo, riattiva delle sensazioni tattili che gli recano piacere, proprio come accade alle bambine e ai bambini coi loro orsacchiotti sia stili di relazioni e non-verbali, nonché la memoria procedurale (vestirla e cambiarla). 

La manipolazione della bambola è un giuoco: le si affeziona e come se fosse un bambino, il soggetto le parla, la dondola, le canta la ninna nanna e la culla, la stringe a sé, le carezza i capelli, le sorride e ride agli altri che partecipano del giuoco. Ricordo che siamo l'unica specie animale capace di giocare durante tutta l'età adulta, dice l'antropologo britannico Ashley Montagu (1905 - 1999, autore di "The Elephant Man: A Study in Human Dignity" dond'è stato tratto il film di David Lynch). Purtroppo alcuni figli reagiscono male perché si credono svalutati, e fanno i gelosi. Ciò è assai stupido perché bisognerebbe chiedersi che cosa reca benessere ai nostri cari, anziché esigere un'esclusiva tutta per sé.

Il Passo di Benedetta Tobagi:
"Quella Sciarpa di Mio Padre 
mi Dona la Sensazione di averlo Vicino"

L'esperienza di godere di un oggetto morbido come può essere un pupazzetto o un oggetto-ricordo dal valore affettivo, di una persona cara scomparsa, vale per chiunque di noi vive una nostalgia e sa riconoscere il proprio lato di fanciullo.
Per esempio, nel suo bel libro di memorie, commovente e premiato, "Come mi batte forte ilo tuo cuore" (pagg. 42 - 43), la scrittrice e giornalista di "Repubblica" Benedetta Tobagi, che ha perso all'età di tre anni suo padre Walter (1947 - 1980), scrittore, giornalista e sindacalista del "Corriere della Sera" ucciso a trentatré anni dai terroristi, così si racconta:

"Una parte di me è rimasta bambina nell'attaccamento a certi oggetti che racchiudono pezzi di mondo. Non è superstizione: tenerli vicino mi dà conforto e tranquillità. In un grande armadio ci sono ancora i vestìti di papà (...) Elessi mia coperta di Linus una lunghissima sciarpa di lana tricot color cammello che ha indossato negli ultimi inverni della sua vita: la ritrovo in alcune fotografie. (...) La sciarpa era un surrogato della presenza forte e tenera del suo braccio attorno alle mie spalle (...). Ancora mi tranquillizza avere con me quella sciarpa nei momenti importanti, mi ha accompagnato a svariati esami, appuntamenti, colloqui di lavoro. Anche la sera del primo bacio."

L'ASCOLTO secondo due Grandi Psicologi
Rogers: "Ascoltare il Prossimo genera Fiducia"
E Jung: "Diminuisce il suo Dolore"
Lo psicologo americano Carl Rogers 

Quando le persone con Alzheimer ci fanno una richiesta impossibile (portarli in una casa che non è più loro, o da una persona che è scomparsa), noi possiamo però rivolgere loro delle domande intorno a quell'argomento a loro così caro, per lasciargli esprimere quel bisogno. Quest'ascolto condiviso attiva i ricordi, il dialogo, l'attenzione (perché il soggetto sta attento a ciò che sta raccontando).
Scrive lo psicologo americano Carl Rogers (1902 - 1987) nel suo libro "Autenticità":

"Ascoltare con Empatia genera fiducia, riduce l'ansia e ristabilisce dignità"

Anche il grande psicanalista svizzero Carl Gustav Jung (1875 - 1961), come ci spiegherà meglio la dottoressa Enrichetta Buchli, psicanalista di formazione junghiana, la pensava così:

"Le sensazioni dolorose che vengono espresse, riconosciute e convalidate (si noti la parola donde il nome "metodo validation", ndr) da una persona fidata che sa ascoltare, diminuiranno. Le sensazioni dolorose che vengono ignorate o represse prenderanno forza"


Funziona e a volte, racconta Cinzia Siviero (la mia docente di metodo validation), dopo una richiesta impossibile sono essi stessi a dire, salvandoci così dall'imbarazzo:

"Ed ora diciamo una preghierina insieme!"
oppure: "Lasciamo perdere"!

Carl Rogers: Empatia è Comprendere senza Giudicare
Abraham Maslow: Riconoscere i Bisogni crea Assistenza centrata sulla Persona. Chi s'affida alle Intuizioni è più Generoso

Naomi Feil mise insieme la sua esperienza e le proprie intuizioni con la psicologia dell'americano Carl Rogers (1902 - 1987) che sottolineò le parole-chiave "fiducia" ed  "empatia" (calco dal tedesco Einfühlung) introdotto dallo psicanalista Heinz Kohut e dallo psichiatra ungherese di origine ebraica Sándor  Ferenczi (1873 - 1933) che ruppe con Freud sulle tecniche di analisi (come vi ho raccontato al cineforum dedicato al tema del mobbing http://lelejandon.blogspot.it/2015/04/linvidia-maligna-del-perverso.html) e dalla filosofa cattolica di origine ebraica Edith Stein (1891 - 1942) autrice a 27 anni del libro (sua tesi di dottorato) "Zum Problem der Einfühlung" ("Sul problema dell'empatia", parola che nel pensiero del suo maestro Husserl significa anche "intuizione"). 
"INTUIZIONE" è un termine-chiave nella
filosofia dell'ebrea Edith Stein: così, infatti,
si può tradurre il termine Einfuhlung.

La Stein, allo scoppio della Prima guerra mondiale, fece un corso d'infermiera e si dedicò in prima linea alla cura degli ammalati di tifo e i denutriti. Senza risposta rimase il suo appello a Papa Pio XI (1857 - 1939) e al Cardinale Pacelli (già nunzio apostolico in Germania) di fermare le persecuzioni antiebraiche e fu internata nel Lager di Auschwitz con la sorella Rosa (anch'ella monaca carmelitana scalza), ove morì.
Per Rogers, l'empatia è la comprensione non giudicante (distinta dall'immedesimazione, che è quella degli attori che usano il metodo Stanislavskij): se l'anziano si sente ascoltato empaticamente, si apre da sé spontaneamente. Nato in un sobborgo di Chicago (Illinois), anch'egli, come Kitwood, ha alle spalle studi di teologia, fu stimolato da Otto Rank (i cui studi sulla creatività abbiamo citato nel Cineforum sul tema: http://lelejandon.blogspot.it/2015/03/il-coraggio-creativo-e-la-risposta.html) su cui torneremo al Cineforum sul film "Un giorno questo dolore ti sarà utile" giovedì 19 novembre alle ore 20 puntuali. Aderisce alla psicologia umanista, la "terza forza" (contrapposta sia alla psicanalisi freudiana sia al comportamentismo positivista) che aveva una visione fiduciosa e positiva della natura umana e di cui fu esponente di punta lo psicologo ebreo americano Abraham Maslow (1908 - 1970), della quale creò una corrente, appunto "rogersiana" col libro "La terapia centrata sul cliente": la nevrosi nasce da uno sforzo distorto per attuare le proprie potenzialità. 

La sua "terapia non direttiva" ascoltando il paziente con empatia, con genuinità (senza celarsi dietro le regole del setting ed il ruolo) e senza giudicare, mostrando fiducia nelle capacità del paziente di trovare la sua strada di autorealizzazione.  Maslow fu l'ideatore della famosa teoria della Piramide di Maslow sui bisogni umani (del 1954, nel libro "Motivation and Personality"): saper riconoscere i bisogni crea un'assistenza centrata sulla persona (person-centred, come dice appunto Kitwood). La sua opera fondamentale ("Verso una psicologia dell'essere", "Toward a Psychology of Being", 1968) fu una novità culturale perché a differenza dei comportamentisti (che si basavano sugli animali) e dei freudiani (che si basavano sui nevrotici), la sua ricerca si basava sui sani. Poiché ognuno di noi ha un nucleo intimo d'inclinazioni innate, dobbiamo lasciar crescere i bambini senza interferire troppo: la spontaneità favorisce la loro creatività, mentre la repressione provoca la nevrosi. Le persone che realizzano sé stesse si affidano alle loro intuizioni ed inclinazioni estetiche, sono autonome e divengono anche meno egoiste.  Una scuola che si rifà a questo modello fu quella dello psicanalista ebreo tedesco Erich Fromm (1900 - 1980) e dello psicologo Rollo May (autore di "The Courage to Create", che abbiamo citato sempre nell'articolo sulla creatività: http://lelejandon.blogspot.it/2015/03/il-coraggio-creativo-e-la-risposta.html).
A me piace la definizione che dell'empatia (lui la chiama "simpatia") dà lo psichiatra ebreo russo Eugène Minkowski (Pietroburgo 1885 - Parigi 1972),

La simpatia è quel dono meraviglioso che portiamo in noi di far nostre le gioie e le pene dei nostri simili, di farcene penetrare interamente, di sentirci in perfetta comunione, di essere tutt'uno con essi (…) è quanto c'è in noi di più naturale, di più “umano” (…) la base stessa della vita sentimentale” (Il Tempo Vissuto. Fenomenologia e Psicopatologia”, Rizzoli, Milano 2011, pagg. 68 – 69 (titolo originale francese Le temps vécu: études phénoménologiques et psychopatologiques, Collection de l’évolution psychiatrique, Paris 1933.)

Il Documento-Video: La Forza dell'Empatia
Naomi Feil Parla alla Signora Muta con Alzheimer
che le risponde col Body Language e un Sussurro: "Sei al Sicuro?" "Sì!"
Poi le Canta una Canzonetta: e lei batte le mani a Ritmo

In questo secondo video che vi ho mostrato alla Casa dei Diritti, vediamo la Feil comunicare con un'anziana donna, Gladys Wilson, che ormai è "non verbale": https://www.youtube.com/watch?v=CrZXz10FcVM: la signora non può più parlare ma sa usare il movimento delle mani per esprimere affetto e simpatia. Sa ancora apprezzare la musica e mentre Naomi canta, lei stavolta usa le mani per esprimere sintonia ed apprezzamento per la canzonetta. Quando infine Naomi Feil le pratica un massaggio rilassante al viso, riesce persino a farle dire una parola,  sussurrata, e alla domanda se si senta al sicuro, risponde di sì.

Il Dilemma Morale
Si scorda di essere vegano e vuole sono carne
Il Caso in Svezia finisce in una Commissione Etica del Ministero: "Convalidiamo la sua Scelta di Oggi"

Ci sono anche casi curiosi come quello raccontato dalla rivista "Lavoro Sociale" (http://www.lavorosociale.com): poiché l'Alzheimer provoca mutamenti nella personalità, è successo ad un signore 75enne svedese, Oscar, che è sempre stato attivista vegano, di assaggiare una polpetta di carne, e da allora ha sempre richiesto questo come suo piatto preferito. Il ministero della salute ha convocato un comitato etico per risolvere il dilemma: imporgli una dieta vegana, secondo la sua precedente fede, oppure rispettare il suo gusto ora che si è scordato delle sue convinzioni morali? La risposta dei filosofi è stata di convalidare la sua scelta odierna.
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I Grandi Film che Trattano il Tema dell’Alzheimer:

Il Film Estone "A Lady in Paris" che vedremo Giovedì 17/12 al Gregorianum

Lele Jandon presenterà questo film del premiato regista estone Ilmaar Raag
giovedì 17 dicembre alle ore 20 puntuali al Cinema Gregorianum: negli
approfondimenti prima e dopo il film, si parlerà degli assistenti familiari,
molti dei quali di origine straniera, quasi due milioni nel nostro Paese.
Un vero fenomeno di costume di cui i media non parlano. 

Per approfondire, vi indico altri film che toccano il tema.
Il premiato regista estone Ilmar Raag, che ha avuto una madre ammalata di Alzheimer, nel film "A Lady in Paris" ("Une Estonienne à Paris", Francia - Estonia 2012, 94 min.) che vi presenterò nella mia rassegna "I Nostri Angeli" giovedì 17 dicembre alle ore 20 al Cinema Gregorianum in via Settala 27, parla di Anne, una signora che se ne va dall'Estonia (per recarsi a Parigi ad assistere Frida, il Premio César Jeanne Moreau) proprio dopo aver finito di assistere la mamma affetta da Alzheimer.

Le Due Biografie 
coi Premi Oscar Judi Dench e Meryl Streep

I Premi Oscar Judi Dench e Jim Broadbent in "Iris - Un amore vero"
il film che apre la nuova rassegna "I Nostri Angeli" al Cinema Gregorianum
giovedì 5 novembre 2015 alle ore 20 puntuali. 
Meryl Streep vinse il suo terzo Oscar per l'interpretazione in "The Iron Lady" di Margaret Thatcher la quale, da vecchia, s'ammalò di demenza. La vediamo mentre tutta indaffarata sistema l'armadio dell'adorato marito Denis Thatcher (1915- 2013, interpretato da Jim Broadbent, che vinse l'Oscar proprio per un altro film che tratta dell'Alzheimer, "Iris", al fianco di un'altra attrice Premio Oscar, Judi Dench) credendo che lui sia ancora vivo e debba andare via, e ha un dialogo col suo fantasma: un'allucinazione visiva della sua mente. Un'amica di Margaret Thatcher fu Iris Murdoch, la cui storia è narrata nel film "Iris - Un Amore vero", basato sui libri "Iris: A Memoir" ed "Elegy for Iris" del marito John Bayley.

I Premi Oscar Jim Broadbent e Kate Winslet (a destra)
con John Bayley, il vedovo di Iris Murdoch. 
Il film è tutto giuocato su un continuo accostamento fra il presente drammatico ed il passato felice: lei al fiume libera da inibizioni che sa godersi la vita e si faceva un bel bagno (anche lei sapendo essere sia sensuale sia spirituale, come Séraphine de Senlis nel film "Séraphine" che vedremo al mio Cineforum "I Nostri Angeli" al cinema Gregorianum giovedì 3 dicembre alle ore 20 puntuali) a lei da vecchia che nemmeno si ricorda come nuotare (perché viene meno la cosiddetta memoria procedurale).

Jim Broadbent (che interpreta John Bayley da anziano, compagno della scrittrice, e premiato sia col Premio Oscar sia col Golden Globe come miglior attore non protagonista) e Richard Eyre, il regista, hanno avuto entrambi le madri colpite da Alzheimer. 
Jim Broadbent era stato già l'interprete del marito di Meryl Streep
(Margaret Thatcher) nel film "The Iron Lady".

Figlia di protestanti, Iris Murdoch (1909 - 1999) studiò greco, latino, storia antica e filosofia ad Oxford e poi proseguì quest'ultima a Cambridge, ove fu allieva del filosofo Wittgenstein (Vienna 1889 - Cambridge 1951) e ben presto sostituì con un giuoco di parole la parola "God" ("Dio") con la parola Good ("Bene") ispirandosi al suo filosofo greco preferito: Platone. Nella Seconda guerra mondiale lavorò per l'UNRRA, organizzazione ONU per profughi e rifugiati. Divenne insegnante di filosofia ad Oxford ove conobbe John, col quale si fidanzò (lei aveva 34 anni, lui 26enne studente).
Meryl Streep vinse il suo terzo Oscar per "The Iron Lady":
Margaret Thatcher fu amica di Iris Murdoch, che fu spesso
Ospite a cena a casa della prima donna Premier britannica.

Parallelamente, scrisse 26 romanzi ove ha raccontato tutti i colori dell'amore. Nel 1995 - 7 scoprì di avere l'Alzheimer. Il marito scrisse due opere per commemorarla: "Elegy for Iris" (1998) e "Iris and Her Friends: A Memoir of Memory and Desire" (del 1999, anno della morte di lei). Comunista da giovane, divenne amica di Margaret Thatcher, anche lei colpita da demenza.

 Il film ci racconta sia la storia d'amore col marito di sempre sia il suo testamento spirituale.
All'inizio del film la vediamo ad una conferenza ove dice che è l'istruzione a dirci se siamo felici perché ci dona la libertà della mente. 
FILM RARO ed INTROVABILE: la rassegna
"I Nostri Angeli" parte con un'opera esclusiva
(fuori catalogo) che non troverete nelle videoteche
né in vendita su Internet.  
E, a sorpresa, si mette a cantare anziché parlare (anche Séraphine amava cantare, e nella sigla il nostro Antonello Ghezzi le ha accostate). Ci spiega altresì che la ricerca della felicità risiede nell'amore e nel potere dell'immaginazione. Vediamo che la storia d'amore fra lei ed il marito John, proprio come quella dei registi di "Still Alice", fu anche una collaborazione: mentre lei scrive in corsivo, il marito le batte a macchina i testi per gli editori.
Poi, però, nel bel mezzo di un'intervista Tv, proprio lei sempre così brillante, perde il filo. I sintomi si susseguono: un giorno si scorda che Nora è morta e quando un neurologo le fa visita, non ricorda il nome del primo ministro. Della sua condizione dice nel film:

"Mi sento come se veleggiassi nelle tenebre..."

Arriva al punto da non riconoscere il proprio nome sulle copertine dei propri libri, e a non avere più la concentrazione per continuare a fare ciò che amava di più: scrivere. L'ispirazione non le manca, ma le manca la concentrazione: come quando si siede in riva al mare con le migliori intenzioni e mette i vari bigliettini sotto i sassi, poi li lascia volare via. Poi, la vediamo mentre continua a seguire per casa il marito come una bimba sua madre e lui sbotta:

"Smettila di starmi così appiccicata!"
ALBUM DI FAMIGLIA. Iris Murdoch col marito John Bayley 

Poi il marito ha un'esplosione di rabbia per la sua impotenza nel tenere sotto controllo e la sveglia di soprassalto nel cuore della notte gridandole contro:

"Ci siamo persi! Ci siamo persi!"

Quando si libera un posto a "Vale House", una nursing home (specializzata in Alzheimer) "più esclusiva di Eton", il marito cede e la fa venire a prendere, proprio come il marito di Fiona in "Lontano da Lei". Per fortuna, può andare a trovarla quando vuole. Continua il flashback ai tempi d'oro della brillante conferenziera le cui riflessioni ora che è vecchia si rivelano verissime intuizioni morali:

"Gli esseri umani si amano nel sesso, nell'amicizia e quando sono innamorati e si prendono cura degli altri esseri: umani, animali, piante ed anche pietre. Dobbiamo credere in qualcosa di divino senza il bisogno di un Dio: qualcosa che possiamo chiamare amore o bontà."

Poi quando vediamo il flashback di lei che cita un Salmo ci pare che sia come dedicato al marito per la sua amorevole cura quando lei ha l'Alzheimer:

"Più puro me ne andrò dallo spirito, più puro fuggirò dalla Tua presenza. Se ascenderò al Cielo, Tu ci sarai; se mi troverò nelle fiamme dell'Inferno, Tu ci sarai. Se prenderò le ali del mattino e nuoterò nelle profondità del mare, anche in quelle mi guiderà la Tua mano ed essa sarà a sostenermi"

"Lontano da Lei", il Film Canadese: altra grande Storia d'Amore
La Moglie si dimentica di lui e s'innamora di un altro ma questi viene riportato a casa:
la Magnanimità del Marito che li fa reincontrare. Dal Racconto del Nobel Alice Munro


Anche il film "Away From Her" (Canada 2006) di Sarah Polley (tratto dal racconto "The Bear Came Over The Mountain" del Premio Nobel per la letteratura Alice Munro, che cito dalla mia edizione Einaudi, Torino 2014, prima ediz. 2001, titolo originale “Hateship, Friendship, Courtship, Loveship, Marriage”) è una bellissima storia d'amore (si può trovare anche nel Meridiano Mondadori a lei dedicato). La protagonista Fiona (il Premio Oscar Julie Christie), anche lei piena di vita come Iris, vive col marito Grant (l'attore canadese Gordon Pinsent) nell'Ontario (Canada) ma incomincia a manifestare strani sintomi:
- mette una pentola nel frigorifero;
- a volte, come lei stessa dichiara ancora ignara della diagnosi, esce di casa in cerca di qualcosa che le sembra importante ma poi si scorda cosa va cercando;
- anche lei, come Iris, si perde durante una passeggiata ed il marito la va a cercare con l'automobile.

“Le capitava di fermarsi sulla porta di una stanza cercando di ricordare dove fosse diretta. Dimenticava di accendere il fuoco sotto le verdure o di mettere l’acqua nella caffettiera. Chiese a Grant a quando risalisse il loro trasferimento in quella casa.
-       E’ stato l’anno scorso o due anni fa?
-       Lui disse che stavano lì da dodici anni.
E lei: - Incredibile.” (pag. 271)

Quando un dottore le sottopone dei semplicissimi test (proprio come ad Iris), le sue non risposte confermano il decadimento cognitivo:

"Se Lei va al cinema e scoppia un incendio, che cosa fa?"
"Se trova una lettera col francobollo, dove la mette?"

Nel racconto:

“Fiona, che non andava più a fare la spesa da sola, sparì dal supermercato non appena Grant la perse d’occhio per un attimo. Un poliziotto la fermò mentre procedeva in mezzo alla strada, a parecchi isolati di distanza. Le chiese come si chiamava e lei non ebbe difficoltà a rispondere. Poi le domandò il nome del primo ministro in carica.
-       Bè, giovanotto, se non lo sa non dovrebbe svolgere un lavoro come il suo.
Lui rise. Poi però Fiona commise l’errore di chiedergli se aveva visto Boris e Natasha.
Erano i due levrieri russi che aveva adottato qualche anno prima per fare un piacere a un amico e ai quali aveva poi dedicato ogni cura fino alla loro morte.” (pagg. 271 – 272)

Come Alice, Fiona ha il dono dell'autoironia: Quando il marito le chiede se intenda andare alla casa di riposo, lei replica: "Quale posto? Sto scherzando!", ride.

Nella casa di riposo la regola vuole che non riceva visite il primo mese per ambientarsi. Da nessuno, nemmeno da lui! Non era mai successo, in 44 anni insieme, che i due fossero separati. Quando torna a trovarla, il marito con sconcerto viene trattato con molta freddezza dalla moglie, che “gli aveva parlato come se l’avesse scambiata per un eventuale nuovo residente” (pag. 284) e che nel frattempo pare aver trovato un "amico del cuore", Aubry, un signore coetaneo che siede su una carrozzina e di cui si prende amorevolmente cura:


"Ma sa chi sono io?" chiede all'infermiera
(la bravissima Kristen Thomson, vincitrice del Genie Award per questo ruolo)
"Imparerà a non prendersela, a vivere un pò alla giornata"

Addirittura, si chiede se non sia una “messa in scena” (pag. 284) per punirlo delle scappatelle del passato:

"Mi chiedo se non stia mettendo in scena una recita, una punizione"

Ma “così era troppo crudele” (pag. 284).
L’infermiera gli spiega: “Queste forme di simpatia nascono qui. Per un po’ sono la cosa più importante. Come farsi l’amica del cuore. E’ una specie di fase.” (pag. 285)
E lo rassicura:

"Nessuno può portarvi via quello che avete vissuto insieme, e anche se lo sembra, resta"

Il marito non osa fare la domanda-clou:

“Grant non poteva pretendere di sapere da lei se lo riconoscesse come il marito di quasi cinquant’anni vissuti insieme. Aveva l’impressione che quella domanda l’avrebbe messa a disagio – non tanto per sé stessa quanto per lui. Sarebbe forse scoppiata a ridere in modo frivolo, mortificandolo con il suo educato stupore, e avrebbe finito comunque col non dire né sì né no. Oppure gli avrebbe dato una risposta affermativa o negativa, senza peraltro soddisfarlo.” (pag. 285)

Sempre meno sicuro del proprio diritto a restare in scena, ma anche capace di ritirarsi. (…)
Certe volte gli pareva di somigliare a un ragazzo testardo impegnato in un corteggiamento senza speranza, altre volte a uno di quei miserabili che seguono per la strada donne famose, convinti che un giorno si volteranno per prendere atto del loro amore.” (pag. 289)

Finalmente, nel film si decide a chiedere infine alla moglie che cosa ci trovi in quest'uomo, e lei gli risponde molto semplicemente che almeno lui non la scombussola, riferendosi al fatto che il marito le chiede ognivolta uno sforzo di ricordarsi:

"Che cosa fai con Aubry?"
"Lui non mi scombussola"

Quando la moglie del signore in carrozzina (il Premio Oscar Olympia Dukakis che avete amato nella storia d'amore fra donne in "Cloudburst - Un amore fra le nuvole") riporta a casa il marito, perché non può più permettersi la retta e non vuol rischiare di dover vendere la propria casa di proprietà (pag. 307), Fiona ne rimane assai addolorata e la sua diviene una depressione clinica:

“Fiona non si era ripresa dal dolore. Saltava i pasti, anche se lo negava, nascondendo il cibo nel tovagliolo. (…) Se Kristy o un’altra infermiera, oppure Grant in orario di visita, non l’avessero fatta passeggiare nei corridoi o portata fuori, non si sarebbe più mossa per niente” (pag. 299)


Così il marito, sia pur addolorato per la gelosia, in uno slancio di generosità, si decide ad incontrare la moglie di questo signore che tanto manca alla propria moglie, e spiega la situazione particolare a questa signora che lo accoglie sulla difensiva:

“Mio marito non è stato appresso a sua moglie, se è questo che intende insinuare, - disse lei- Non l’ha mai molestata in nessun modo. Non è in grado di fare una cosa simile e non l’avrebbe fatta comunque. Da quel che ho saputo è stato il contrario semmai.
Grant disse: -No. Non ci siamo capìti. Non sono qui per accusare nessuno di niente.
Oh- disse lei.- Bè, mi dispiace. Credevo.
Non ci sarebbero state altre scuse da parte sua. E non sembrava dispiaciuta affatto. Delusa, piuttosto, e perplessa.” (pag. 302)

Dopo un colloquio in cui convince questa signora (che lo inviterà anche ad uscire insieme, e nel film finisce a letto con lui mentre nel racconto non le risponde neanche), accompagna Aubry da Fiona.
Ma lei nel frattempo pare aver dimenticato l’amico del cuore (nel racconto alla domanda “Fiona, ti ho portato una sorpresa. Ti ricordi di Aubry?” lei replica “I nomi mi sfuggono”, pag. 315) e nell'ultima battuta, prima del forte abbraccio, lei lo ringrazia per la sua magnanimità:

"Potevi andare via senza neanche voltarti e invece sei qui" (nel film)

“Per quanto ne sapevo potevi essere semplicemente sparito. Potevi essere montato in macchina senza un pensiero al mondo e avermi lasciata qui. Abbandonata” (...) (E lui: “Mai e poi mai”, nel racconto)


Il Film coreano premiato a Cannes: la Nonna che s'iscrive al Corso di Poesia
e non fa Caso al proprio Alzheimer Incipiente

Nel film "Poetry" (2010, Premio Miglior Sceneggiatura Festival di Cannes), una bella signora 66enne (la premiata Yoon Jeong-hee), quieta e solare, di professione badante, che suo malgrado si ritrova ad essere l'unica figura familiare di uno scapestrato, chiuso ed apatico nipote 16enne che le è stato affidato dalla figlia (via per lavoro in un'altra città) è ricca di umana curiosità, e proprio lei che non ha mai composto una poesia in vita sua, improvvisamente sente una forte motivazione ad iscriversi ad un corso di scrittura poetica che la induce a soffermarsi a prestare attenzione alle piccole cose ed incomincia ad appuntarsi le sensazioni: gustare una susina colta da terra od ascoltare il canto degli uccellini. Per questo viene vista come un'eccentrica. Nel frattempo, le viene diagnosticato l'Alzheimer, ma lei non sembra farci caso, concentrando altrove la sua attenzione per creare poesia. A lezione, a sorpresa, fra gli altri c'è un ex poliziotto, trasferito per punizione per aver denunziato delle irregolarità. Sarà un delitto orribile ed impunito a dare alla protagonista l'ispirazione per dar voce alla giovane vittima, rimasta senza giustizia, e sarà proprio lei, l'aspirante poetessa che riscopre la compassione nell'attenzione poetica, ad avere l'umanità e l'immaginazione morale per fare giustizia, e non solo con la poesia.

Il Film Iraniano Premio Oscar
La Badante per Caso: "Sarà Peccato se gli Cambio i Pantaloni?"

Il regista iraniano Asghar Faradi in "Una separazione" (Premio Oscar Miglior Film Straniero e Orso d'Oro al Festival di Berlino) narra la storia di una famiglia dell'alta borghesia di Teheran. Il padre di famiglia (il fascinoso Peyman Moaadi, Orso d'Argento Miglior Attore) vive un periodo sotto forte stress perché si sta separando dalla moglie (Leila Hatami, Orso d'Argento anche lei): lei, dopo aver ottenuto un non scontato permesso di libera uscita, avrebbe voluto che lui la seguisse negli USA lasciando "questo Paese senza speranza", mentre lui pensa al padre ammalato d'Alzheimer, e non vuole lasciarlo solo. Il giudice auspica un accordo, ma non essendoci questo, non li fa separare. Lei lascia lo stesso il marito, sicché lui si trova a vivere da solo col padre e con la figlia undicenne, la quale ha scelto di vivere con lui affinché i due genitori non si separino, sapendo che la madre non se ne andrà senza di lei. Lavorando tutto il giorno, si trova costretto ad assume una badante, anche se non esistono professioniste: assume una signora di un quartiere povero, la quale non gli ha detto di lavorare di nascosto dal marito disoccupato e di essere incinta. La nuova assunta è così estremamente bigotta da farsi scrupoli persino nel momento in cui è necessario cambiare i pantaloni bagnati di pipì dell'assistito, e telefona all'ufficio preposto alla consulenza sui comportamenti conformi alla religione. Come appunto spesso càpita a chi ha l'Alzheimer, un giorno l'anziano si mette a vagabondare uscendo di casa (il fenomeno del wandering) e lei, nel rincorrerlo, viene investita da un'auto. Quindi, nel maldestro timore che il vecchio si faccia male, una volta riportatolo a casa lo lega al letto: quando rientra prima del previsto il figlio, furibondo per l'evidente irresponsabilità, la licenzia in tronco e la scaraventa fuori di casa, accusandola anche di avergli rubato dei soldi. Lei si ostina, per difendere la propria onorabilità, a voler rientrare e spiegare che non è stata lei a rubare quei soldi, sinché lui non la spinge decisamente fuori casa. Poco dopo, saprà di aver perso il bambino che recava in grembo, e lei lo accuserà di averle causato l'aborto, che invece fu determinato dall'investimento del giorno prima. Il film è tutto giocato sullo scontro sociale fra le due famiglie.

Mia Farrow non lo dice ai Parenti

Nel film americano "Il silenzio dell'amore" ("Forget Me Never", del 1999, di Robert Allan Ackerman), ispirato ad una storia vera, il Premio Golden Globe Mia Farrow ("Rosemary's Baby") interpreta anche lei come Julianne Moore una professionista di successo (nel suo caso un'avvocatessa), Diana, che manifesta improvvisamente vuoti di memoria e quando le viene diagnosticato l'Alzheimer decide di non rivelarlo ai familiari, nemmeno il marito (il Premio Golden Globe Martin Sheen di "Platoon" ed "Apocalypse Now"). Ma un giorno nel bel mezzo di una sua conferenza perde la cognizione di dove si trovi e allora si ritrova costretta a fare la rivelazione. Cade in depressione sinché incontra un insegnante in pensione che le preannuncia ciò che l'aspetta e la invita a frequentare un gruppo di aiuto.

LA STORIA D'AMORE dei REGISTI di "STILL ALICE":
VENT'ANNI INSIEME: AMORE, COLLABORAZIONE ed AMICIZIA
"LA GRAZIA con cui RICHARD ha COMBATTUTO LA SLA
mi è di GRANDE ISPIRAZIONE"


I registi del film, Richard Glatzer e Wash Westmoreland, una coppia gay sposata, in questo film che vediamo oggi rappresentano solo lo stadio iniziale dell'Alzheimer ben sapendo cosa significhi convivere con una malattia degenerativa: Glatzer comunicava con la troupe tramite Ipad, avendo la sclerosi laterale amiotrofica diagnosticatogli quattr'anni prima (di SLA parla anche Marie de Hennezel nel suo libro "La morte amica", pag. 150 sgg.). Morì pochi mesi dopo.

“Sono distrutto (devastated). Rich (diminutivo di Richard) era la mia anima gemella (soul mate), il mio collaboratore, il mio migliore amico e la mia vita. 
Vederlo combattere la sclerosi laterale amiotrofica per quattr'anni con una tale grazia e coraggio dà ispirazione a me e a tutti coloro i quali l'hanno conosciuto. Nel suo periodo buio, ho tratto consolazione dal fatto che è riuscito a vedere "Still Alice" uscire nel mondo. Ci ha messo il suo cuore e la sua mente in quel film e il fatto che ha toccato così tante persone era una gioia costante per lui. Richard era un tipo unico: caparbio (opinionated), divertente, altruista, di buona compagnia, generoso, e così smart! Un vero artista e un uomo brillante. Faccio tesoro di ogni giorno dei brevi vent'anni vissuti insieme. Non riesco a credere che se ne sia andato. Ma nel mio cuore e nei cuori di quelli che gli han voluto bene sarà sempre vivo."


Il Romanzo "Still Alice" dond'è tratto il Film Omonimo


Alice (il Premio Oscar Julianne Moore), splendida 50enne, brillante docente, ha sempre definito sé stessa per la propria intelligenza e proprietà di linguaggio, quand'ecco che incomincia a scordare nomi, ricette, appuntamenti, volti, luoghi, le note in agenda. E' un esordio precoce d'Alzheimer: si ritira e usa questo prezioso tempo libero per prendere in mano tutti quei libri che non era mai riuscita a leggere. Proprio grazie alle sue risorse intellettive (che le danno una marcia in più per ideare strategie mnemoniche creative e ritrovare sé stessa), all'ausilio della tecnologia (domande-e-risposte scritte sul BlackBerry sempre a portata di mano) e soprattutto all'amorevole sostegno del marito (il Premio Golden Globe Alec Baldwin) e della figlia (il Premio César Kristen Stewart), "Ali" trova un modus vivendi coi momenti d'oblio in cui i ricordi divengono vaghi come sogni e si prepara a tenere la più importante conferenza della sua vita: dinanzi a medici e all'Associazione dei familiari fa appello alla collaborazione per incoraggiare l'autonomia delle persone che come lei hanno ancora una volontà, dei desidèri e voglia di partecipare alle discussioni, e per sviluppare insieme soluzioni pratiche per aggirare gl'inconvenienti.


  Alice non è vittima, fa delle scelte libere: è lei a scegliere sia di usare la tecnologia, di creare l'Azheimer Café a casa propria, di fare il discorso, di non seguire il marito a New York:

"Mamma, ti prego, non trasferirti a New York"
"New York? Non essere sciocca. Io abito qui. perché dovrei trasferirmi a New York?" ("Still Alice", pag. 261: insomma, è ancora lei, è “still Alice”, come dice il titolo del romanzo)

"Solo perché uno ha l'Alzheimer non significa che non sappia cosa vuole o non vuole" ("Still Alice", pag. 263)


Lievi Differenze fra il Romanzo ed il Film

Nel romanzo Alice insegna ad Harvard, nel film alla Columbia.
Nel libro, prima si rivolge alla propria dottoressa, poi va dallo specialista; nel film va direttamente dal neurologo.
Nel libro, rinuncia a fare la torta di Natale, nel film la cerca su Google.
Nel romanzo, scrive una lettera a sé stessa, nella trasposizione cinematografica registra un proprio video ove parla a sé stessa.
In conclusione, i due registi hanno voluto rendere più moderna, più telematica Alice.
Vediamo i passi-clou del romanzo (mia edizione 2015).

I Primi Sintomi

La Parola Mancante

"Aveva una vaga sensazione di quello che intendeva dire, ma la specifica parola le sfuggiva. Sparita. Forse era lo champagne. O forse era il jet lag" (pagg. 16 - 17)

Il Panico/1:
Dov'è Casa Mia?!

Harvard Square, jogging: "Non sapeva da che parte fosse casa sua. Il cuore prese a batterle forte. Cominciò a sudare. Cercò di convincersi che pulsazioni accelerate e sudorazione facevano parte di una risposta orchestrata e adeguata alla corsa. Ma mentre se ne stava immobile sul marciapiede, la sensazione che provava era di panico. (...) Riaprì gli occhi. Così, all'improvviso, come l'aveva abbandonata, il paesaggio si riassestò al suo posto." (pagg. 28 - 29).

"In più di un'occasione si era seduta per mangiare senza sapere bene quale pasto stava per consumare" (pag. 149)

Il Panico/2: quando non trova il Bagno:

Nel film vediamo la stessa scena:

Alice cerca il bagno e non lo trova: "Come posso perdermi in casa mia?" si chiede.

"Non riusciva più a trattenerla. Provò la strana sensazione di vedersi dall'esterno, quella poveraccia dall'aria familiare che piangeva nell'ingresso. Non sembrava il pianto in qualche modo controllato di una donna adulta. Era il pianto disperato, spaventato, sconfitto e irrefrenabile di una bambina piccola. John si precipitò in casa giusto in tempo per vedere l'urina che le scorreva lungo la gamba destra e le inzuppava i pantaloni della tuta.
"Non guardarmi!"
"Va tutto bene, sei qui."
"Mi sono persa."
"Non ti sei persa. Ali, sei qui con me."
John la abbracciò, cullandola dolcemente, consolandola fino a tranquillizzarla come tante volte aveva consolato i loro bambini dopo svariati acciacchi fisici e ingiustizie sociali." ("Still Alice", pag. 155)


I Test Cognitivi/1: Prove Verbali: Nominare, Contare, Indicare

Dal neurologo:

"Conti in senso inverso per sei, a partire da cento"
"Nomini questi oggetti"
"Prima di indicare la finestra si tocchi la guancia destra con la mano sinistra"
"Può scrivere una frase sul tempo che fa oggi su questo pezzo di carta?"
("Still Alice", pag. 63)

La seconda serie di test (elencati a pagina 74) "erano studiati per evidenziare ogni minima difficoltà a carico della fluenza verbale, della memoria a breve termine o delle funzioni cognitive. Ricopiare, riprodurre, organizzare e riconoscere le presero quasi due ore."

Dopo l'esame istologico del tessuto cerebrale, la diagnosi: Alzheimer precoce. "il dieci per cento delle persone affette dalla malattia presenta questa forma presenile e ha meno di sessantacinque anni" ("Still Alice", pag. 76)

"Il Questionario delle attività quotidiane dev'essere compilato da un informatore, NON dal paziente" ("Still Alice", pagg. 78 - 79)


I Test Cognitivi/2: Dopo la Diagnosi:

"potrebbe compitare "acqua" al contrario?"
"Ripeta dopo di me: Chi, cosa, quando, dove, perché" ("Still Alice", pag. 132)
"Elenchi quante più parole possibili che comincino con la lettera F"
"nomini quante più verdure le vengono in mente"
"Mi elenchi quanti più animali a quattro zampe riesce" (pag. 133)
"Disegni un orologio che segna le tre e quarantacinque" ("Still Alice", pag. 142): "l'Alzheimer colpisce abbastanza presto i lobi parietali, vale a dire la sede della nostra rappresentazione interiore dello spazio extrapersonale." ("Still Alice", pag. 143)

La Saggezza di Alice:

Pur nel Dubbio che sia Inutile, prova a tenere in esercizio il Cervello

"Meditava e giocava a carte. Si lavava i denti usando la sinistra, la mano non dominante. Eppure nessuno di questi sforzi sembrava conseguire risultati visibili e quantificabili. Forse le sue capacità cognitive sarebbero notevolmente peggiorate senza l'esercizio fisico, l'Aricept o i mirtilli. Forse, se non l'avesse contrastata, la demenza avrebbe avuto il sopravvento. Forse. Ma forse tutte quelle contromisure non servivano a niente. Non c'era modo di saperlo, se non smettendo di prendere le medicine, eliminando vino e cioccolato e restandosene seduta sulle proprie chiappe per tutto un mese. Non era un esperimento che avesse voglia di azzardare." ("Still Alice", pag. 170)

"Aveva letto che una meditazione regolare poteva incrementare lo spessore corticale e ritardarne l'assottigliamento dovuto all'età. (...) Ad Alice piaceva quel momento di concentrazione silenziosa, che riusciva efficacemente a mettere a tacere la cacofonia indistinta e le preoccupazioni che le si agitavano nella mente. Le davano letteralmente la pace dello spirito" ("Still Alice", pag. 173)

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L'autoironia
"Non riesco a capire come si infila questo cazzo di reggiseno"
"Alice, questo non è un reggiseno. Sono un paio di mutande."
Lei scoppiò a ridere forte.
("Still Alice", pagg. 201 - 202)

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I Libri/1: Le Speranze di leggere le opere mai lette

Dopo la diagnosi, Alice

"pensò a tutti i libri che avrebbe sempre voluto leggere, quello sullo scaffale più alto della sua camera da letto, per i quali pensava di avere tutto il tempo in sèguito.(...) Tutto quello che faceva e che amava, tutto quello che era, necessitava del linguaggio" ("Still Alice", pag. 80)

"Voleva vivere abbastanza a lungo da tenere in braccio il bambino di Anna con la consapevolezza che era suo nipote. Voleva vedere recitare Lydia in un ruolo che la rendesse orgogliosa. Voleva leggere tutti i libri che poteva prima di non essere più in grado di leggere" (pag. 125; leggerà: "Ragione e Sentimento" di Jane Austen, "Moby Dick", "Angels in America")

I Libri/2: le Difficoltà di Lettura

"Doveva rileggere più volte le stesse pagine per mantenere la continuità della narrazione o delle argomentazioni, e se per qualche ragione interrompeva la lettura, doveva a volte tornare indietro di un intero capitolo per riprendere il filo. E poi le prendeva l'ansia per la scelta dei libri da leggere. E se non avesse avuto il tempo di leggere tutto quello che voleva? Era doloroso stabilire delle priorità, le ricordava che l'orologio continuava a ticchettare, che certe cose sarebbero rimaste in sospeso." (pag. 153)

IDEE CREATIVE: ecco degli ESEMPI di COME ESSERE COLLABORATIVI

Idea/1: Meglio i Dvd ai Libri, la Soluzione Creativa del Marito

"Le porse uno dei sacchetti. Era pieno di DVD: "Moby Dick" con Laurence Olivier, "Casablanca", "Qualcuno volò sul nido del cuculo" e "Tutti insieme appassionatamente", che erano i suoi preferiti in assoluto.
"Pensavo che questi ti dovrebbero creare meno problemi. E possiamo vederli insieme."
Lei sorrise.
"Cosa c'è nell'altra borsa?"
Era eccitata come una bambina la mattina di Natale.
John tirò fuori un pacco di popcorn da microonde e una scatola di Milk Duds ricoperti di cioccolato." ("Still Alice", pag. 169)

Idea/2: Il Regalo dei Figli: Film con le Interviste per Ricordarla

"C'erano tre DVD: I ragazzi Howland, Alice e John e Alice Howland.
"E' un video ricordo per te. I ragazzi Howland è una raccolta di interviste ad Anna, Tom e me. Le ho girate quest'estate. Sono i ricordi che abbiamo di te, della nostra infanzia e della crescita. Quello di papà è il racconto di quando vi siete conosciuti e avete cominciato a uscire insieme, e il matrimonio e le vacanze e tutto il resto. Ci sono anche un paio di storie notevoli, di cui nessuno di noi era a conoscenza. Il terzo lo devo ancora fare. Sarà un'intervista a te, con le tue storie, se ti va di farlo" ("Still Alice", pag. 205)

Idea/3: La Lettera piena di Gratitudine dell'Ex Allievo:
Grazie per la Collaborazione, la Guida e l'Ispirazione

"Mi considero così fortunato a essere stato un tuo studente. Voglio che tu sappia che sei tu la ragione per la quale ho scelto la linguistica come settore di studi. La passione nel voler comprendere come funziona il linguaggio, il tuo approccio rigoroso e collaborativo alla ricerca, il tuo amore per l'insegnamento, mi ha ispirato in così tanti modi. Grazie per la tua guida e la tua saggezza, per avermi imposto traguardi molto più alti di quelli che avrei mai pensato di raggiungere, e per avermi lasciato tutto lo spazio necessario per sviluppare le mie idee. Sei stata la migliore insegnante che abbia mai avuto."
Dan le porse una busta bianca.
"Ecco, te le ho scritte tutte, tutto quello che ti ho appena detto, così potrai rileggerlo, quando vuoi e sapere quanto mi hai dato, anche se non te lo ricordi" ("Still Alice", pagg. 275 - 276)

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Come funziona la Memoria:

"Attenzione, ripetizione, elaborazione o significato emotivo erano i requisiti essenziali affinché l'informazione percepita oltrepassasse la memoria a breve termine per essere archiviata in quella a lungo termine. Altrimenti sarebbe stata rapidamente e naturalmente cancellata dal trascorrere del tempo." ("Still Alice", pag. 68)

Sull'attenzione, vedasi il mio articolo recensione al libro "Focus" dello psicologo americano Daniel Goleman: http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/allenare-lattenzione-muscolo-della.html).


Le Discussioni riguardo le Scelte di Vita della Figlia Ribelle

Nel romanzo e nel film Alice ha sempre discussioni con la figlia che ha fatto la scelta radicale di non frequentare l'università (stessa scelta che voleva fare il protagonista del film "Un giorno questo dolore ti sarà utile" che abbiamo visto a "Il Cinema e i Diritti") e la madre è preoccupata per il suo futuro:

"Durante la settimana sono da Starbucks, e il sabato sera lavoro in un ristorante."
"Non sembra ti resti molto tempo per la recitazione."
"Non ho scritture in questo momento, ma seguo seminari e faccio parecchi provini"
"Seminari di che genere?"
"Tecnica di Meisner"
(...)
"A un certo punto bisogna diventare persone responsabili, affrontare questioni come l'assistenza sanitaria, un mutuo, i risparmi per la pensione..."
"Voglio solo che non limiti le tue possibilità di scelta".
"Frequento un serissimo corso di recitazione per quindici ore la settimana. Quante ore di lezione fanno di solito i tuoi studenti in una settimana, dodici?"
"Non è la stessa cosa"
"Non mi hai nemmeno vista recitare"
Non aveva niente contro la carriera di attrice in sé, ma era convinta che la testardaggine della figlia nel perseguire soltanto quella, senza un'istruzione accademica, rasentasse l'incoscienza. Se non andava al college adesso, ad acquisire le conoscenze di base o la preparazione canonica nel settore prescelto, se non otteneva una laurea, cosa avrebbe fatto se la recitazione non l'avesse portata da nessuna parte? (...) Avrebbe voluto che Lydia riuscisse a vedere quanto amore e quanta saggezza ispiravano ciò che desiderava per lei. Avrebbe voluto sporgersi attraverso il tavolo e abbracciarla, ma c'erano troppi piatti e bicchieri, e anni di lontananza a separarle ("Still Alice", pagg. 21 - 24)

"Un diploma ti aprirebbe comunque altre porte, nel caso dovessi mai averne bisogno."
"E quali porte?"
"Be', per esempio un diploma ti conferirebbe le qualifiche per insegnare, se lo volessi."
"Mamma, io voglio fare l'attrice, non l'insegnante. Quella sei tu, non io." (...)
"Ma cosa succederebbe se un giorno decidessi di mettere su famiglia e di rallentare un pò gli impegni pur rimanendo nel giro? Tenere dei workshop come insegnante, persino da casa, sarebbeuna possibilità in più. E poi non dipende solo dalle cose che conosci, ma anche da chi conosci. Pensa a tutte le possibili relazioni con compagni di studi, professori, alunni: sono sicura che c'è un nucleo di professionisti al quale semplicemente non puoi avere accesso senza un titolo di studio o una carriera dimostrabile" ("Still Alice", pag. 164)

Altra discussione col marito:

"A lei non interessa andare all'università".
"Credo sia solo una sua ribellione verso di noi."
"Ce la sta mettendo tuta, è seriamente convinta di quello che fa, è felice. E' questo che vogliamo per lei."
"E' nostro dovere trasferire ai figli la saggezza che abbiamo accumulato nel corso della nostra esistenza. Mi fa davvero paura che le possa mancare qualcosa di essenziale. Il contatto con tutte quelle diverse materie, i diversi modi di pensare, le sfide, le opportunità, le persone che si ha occasione di conoscere. Noi ci siamo conosciuti all'università."
"Tutte queste cose le ha"
"Non è lo stesso"

I Cambiamenti nel comportamento del Marito:

Dalla diagnosi, lui non si fa più aiutare ("Still Alice", pag. 98):

"Lo imbarazzava troppo chiedere aiuto a una malata di Alzheimer?"

Si mette a correre con lei, anche se a lui non è mai piaciuto il jogging ("Still Alice", pag. 171). Ma poi smette, con grande dispiacere della moglie che pensa fra sé: "Cercava di essere comprensiva. Lui doveva lavorare. Ma perché lui non capiva che invece lei aveva bisogno di correre? Se qualcosa di così semplice come il regolare esercizio fisico poteva davvero contrastare il progredire della malattia, allora avrebbe dovuto correre quanto più spesso poteva. Ogni volta che si sentiva rispondere "non oggi", probabilmente perdeva più neuroni di quanti avrebbe potuto salvarne. Moriva inutilmente più in fretta. John la stava uccidendo" ("Still Alice", pag. 200).

I Cambiamenti in Alice:

- Dimentica i propri gusti (ordina caffé dimenticando che lo detesta, pag. 100);
- Scorda gli appuntamenti (una cena, e si attarda fuori a fare jogging: "Me ne sono dimenticata. Ho l'Alzheimer", pag. 106).
-una volta sbaglia casa ed entra nella cucina di una vicina, e quando questa entra lei la accoglie come se fosse casa sua: ""Oh, Lauren, mi gai fatto paura. Vuoi accomodarti? Stavo preparando un tè" (pagg. 197 - 198);
- Prova noia: "Rimase seduta in poltrona cercando di pensare a qualcosa da fare. Non le venne in mente nulla di significativo. Cercò di immaginarsi domani, e la settimana prossima, e il prossimo inverno. Non le venne in mente niente che avesse senso. Si annoiava, si sentiva ignorata ed estranea su quella poltrona del suo salotto." (pag. 201),
- sviluppa una nuova sensibilità:

"era nel frattempo cresciuta la sensibilità di Alice rispetto al non detto, al linguaggio del corpo e ai sentimenti inespressi. Aveva spiegato il fenomeno a Lydia, e la figlia le aveva confermato che era una capacità invidiabile per un attore. Le aveva detto che lei e i suoi colleghi dovevano concentrarsi molto per riuscire a staccarsi dal linguaggio verbale e lasciarsi genuinamente influenzare da quello che gli altri attori stavano facendo e provando. Alice non aveva ben compreso la distinzione, ma aveva apprezzato che Lydia considerasse il suo handicap una qualità invidiabile" (pag. 174).

Le Paure Profonde: Perdere il Controllo di Sé

Alice soffre d'insonnia e spiega al suo neurologo:

"Lo so che è irrazionale, ma ho come la sensazione che l'Alzheimer possa far fuori le mie cellule cerebrali solo quando dormo, e che finché mi mantengo sveglia, come se montassi la guardia, resterò me stessa." ("Still Alice", pag. 130)

La Fiducia nei Vicini nella sua piccola Comunità:

Nello spiegare al marito le ragioni per cui lei non può seguirlo a New York, cita il atto che nella piccola località balneare ove si sono trasferiti tutti la conoscono e l'aiutano:

"Anche quando mi càpita di perdermi, prima o poi vedo qualcosa di familiare, e nei negozi c'è sempre qualcuno che mi conosce e che mi rimette sulla strada giusta. La ragazza che c'è da Jerri's tiene sempre d'occhio il mio portafoglio e le chiavi." ("Still Alice", pag. 233)

Momenti Drammatici/1: Si scorda che la sorella è morta:

"Dov'è Anne?"
"Anna è a Boston, con Charlie."
"No, Anne, mia sorella: dov'è Anne?"
"Mamma, Anne è morta. E' morta in un incidente stradale insieme a tua madre." (pag. 160)


Momenti Drammatici/2: Non riconosce la Figlia:

Alla fine della pièce, va a fare i complimenti all'attrice, non riconoscendola:

"Avremo occasione di vederla in qualche altro allestimento quest'estate?" chiese Alice.
La ragazza fissò Alice per un tempo fastidiosamente lungo prima di rispondere.
"No, è il mio unico ruolo per l'estate."
"E' qui solo per la stagione estiva?"
La domanda sembrò intristirla mentre la prendeva in considerazione. Le si riempirono gli occhi di lacrime.
"Sì, rientrerò a L.A. alla fine di agosto, ma tornerò spesso a trovare la mia famiglia."
"Mamma, è Lydia, tua figlia" disse Anna ("Still Alice", pag. 178)

I Colleghi la Evitano, gli Amici del Marito malcelano il Disagio

"Cercavano di evitarla. Affrontare lei significava affrontare la sua fragilità mentale e l'inevitabile riflessione che, in un batter d'occhio, sarebbe potuto succedere anche a loro. Affrontarla era inquietante. Perciò finché potevano, tranne che per le riunioni e seminari, la evitavano." ("Still Alice", pag. 188)

"Quando entro in una stanza faccio l'effetto di un grosso elefante rosa di peluche. Metto tutti a disagio. Trasformo una cena in un folle spettacolo da circo, con la gente che si arrabatta tra imbarazzo nervoso e sorrisetti forzati e giocherella con bicchieri e posate per darsi un contegno" ("Still Alice", pag. 219)

Il Collegamento con il padre:
Alzheimer mai diagnosticato e confuso con l'alcolismo

Alice ricollega la sua malattia ai sintomi manifestati dal padre alcolista negli ultimi anni prima che lui morisse:

"Le farneticazioni senza senso, una disgustosa mancanza d'igiene, l'incapacità di riconoscerla: Alice aveva dato per scontato che fosse colpa del liquore. Possibile che avesse convissuto con il morbo di Alzheimer senza che gli fosse stato diagnosticato?" ("Still Alice", pag. 84)

La Visita al Reparto Alzheimer: solo Anziani

Quando chiede di visitare la casa di cura, l'impiegata le chiede: "E' per un suo parente?", Alice mente e risponde di sì ("Still Alice", pag. 118). Le viene spiegato che gli ospiti più giovani sono sui settant'anni, e le viene illustrata la filosofia della casa:

"Vagare irrequieti durante la notte è un comportamento comune per i malati di Alzheimer (è il wandering di cui abbiamo parlato sopra, ndr). Nel reparto i pazienti sono incoraggiati a muoversi a qualsiasi ora, purché avvenga in sicurezza e senza il rischio di perdersi. Di notte non somministriamo tranquillanti né li rinchiudiamo nelle stanze. Cerchiamo di aiutarli a mantenere quanta più libertà e indipendenza possibile. Sappiamo che è molto importante per loro e per le loro famiglie." (pag. 119)
"La retta per il reparto speciale Alzheimer ammonta a duecentottantacinque dollari al giorno."
Alice fece un rapido calcolo mentale. Circa centomila dollari all'anno. Moltiplicato per cinque, dieci, venti anni." ("Still Alice", pag. 121)

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Riflessioni sull'Alzheimer/1: La similitudine: "E' come l'Oceano"

"Immaginò il proprio Alzheimer come quell'oceano a Lighthouse Beach: inarrestabile, feroce e distruttivo. Solo che nel suo cervello non c'erano frangiflutti a proteggere dall'assalto i suoi ricordi e i suoi pensieri." ("Still Alice", pag. 157)

Riflessioni sull'Alzheimer/2: La similitudine: "Come una Mano che non si muove"

"Conosco quello che sto cercando di ricordare, solo che il mio cervello non ci arriva. E' come se tu decidessi di voler prendere quel bicchiere d'acqua ma la tua mano non lo prendesse. Glielo chiedi con gentilezza, la minacci, ma non si muove. Alla fine magari riesci a muovere la mano, ma quella afferra invece la saliera oppure rovescia il bicchiere sulla tovaglia. Oppure, quando finalmente riesci a far sì che la mano afferri il bicchiere e lo porti alle labbra, il pizzicore in gola si è placato e non hai più bisogno di bere. Il momento di sete è passato." ("Still Alice", pagg. 165 - 166)

Riflessioni sull'Alzheimer/3: "Come un Demone"

(Quando non riesce a ricordare la figlia e ricorda invece il genero): "Si raffigurò l'Alzheimer come un demone che nella sua testa si apriva un varco di distruzione sfrenata e priva di logica, una distruzione che strappava le connessioni tra "Lydia adesso" e "Lydia allora", lasciando inalterate tutte le connessioni su Charlie" ("Still Alice", pag. 203)

Riflessioni sull'Alzheimer/4: Il Confronto col Cancro
La solidarietà a chi combatte contro il Tumore
vs. l'emarginazione dei malati d'Alzheimer

"Desiderò di avere piuttosto un cancro. Avrebbe barattato l'Alzheimer con il cancro in un batter d'occhio. Si vergognò di averlo desiderato e di sicuro era un patto inutile, ma si concesse comunque la fantasticheria. Un cancro era qualcosa contro cui potersi battere. C'erano la chirurgia, la radioterapia, la chemioterapia. La sua famiglia e la comunità di Harvard l'avrebbero sostenuta nella sua lotta e l'avrebbero considerata nobile. E se anche ne fosse stata sconfitta, alla fine, avrebbe potuto guardarli consapevolmente negli occhi e salutarli tutti prima di andarsene. L'Alzheimer invece era una brutta bestia. Non c'erano armi che potessero abbatterlo. Prendere Aricept e Namenda era come puntare due pistoline ad acqua contro in furioso incendio. (...) Il fuoco consumava tutto. E se una testa calva e un nastrino anticancro erano consideràti emblemi di coraggio e speranza, il suo vocabolario difficoltoso e i ricordi annebbiati parlavano invece di instabilità mentale e demenza incombente. Chi era malato di cancro poteva contare sul sostegno della comunità. Alice si aspettava di essere emarginata. Persino le persone più istruite e meglio intenzionate tendevano a tenersi a timorosa distanza dai malati mentali. Non voleva diventare qualcuno che la gente temeva e allontanava."

Riflessioni sull'Alzheimer/4: il Suicidio Programmato come Ipotesi Futura

Alice accarezza il pensiero del suicidio programmato:

"E quando il fardello della malattia avesse superato il piacere di quel gelato, voleva morire. Ma avrebbe avuto la presenza di spirito, letteralmente, di riconoscere il momento in cui le due curve si sarebbero incrociate? Temeva che in futuro sarebbe stata incapace di ricordare e portare a termine quel piano. Chiedere a John o a uno dei suoi figli di aiutarla non era un'ipotesi praticabile. Non avrebbe mai addossato quel fardello a uno di loro. Le serviva un piano che la costringesse in futuro a commettere un suicidio organizzato fin da ora. Le serviva una semplice verifica, qualcosa che fosse in grado di fare da sola tutti i giorni." ("Still Alice", pag. 125)
E così scrive una serie di cinque domande rivolte a sé stessa, che diventerà un suo test quotidiano:

"Che mese è?", "Dove abiti?", "Dov'è il tuo ufficio?", "Quand'è nata Anna?". "Quanti figli hai?".
Poi si annota questa domanda: "Se hai difficoltà a rispondere a qualcuna di queste domande, apri il file "Farfalla" sul tuo computer e segui immediatamente le istruzioni che trovi." "Regolò la suoneria sulla vibrazione in modo che comparisse come appuntamento ricorrente sulla sua agenda tutte le mattine alle otto, senza scadenza. Si augurava solo di aprire "Farfalla" prima di diventare del tutto incapace." ("Still Alice", pag. 126)


IL GRANDE DISCORSO di ALICE:
"SONO ANCORA ME STESSA: con le mie OPINIONI e la VOGLIA PARTECIPARE


"Non siamo privi di linguaggio o di opinioni che contano o di prolungati periodi di lucidità."
("Still Alice", pag. 252)
"Sono brava a tirare a indovinare" ("Still Alice", pag. 252)
"La parte del mio cervello responsabile del mio essere me stessa e nessun'altra è vulnerabile alla malattia? O la mia identità è qualcosa che trascende neuroni, proteine e difetti molecolari del DNA? Il mio corpo e il mio spirito sono immuni dal saccheggio dell'Alzheimer? Io credo di sì" ("Still Alice", pagg. 252 - 253)
"Ma io non sono quello che dico o quello che faccio o quello che ricordo. In realtà io sono molto di più. Sono una moglie, una madre, un'amica e presto sarò una nonna. Provo sentimenti, capisco e merito l'amore e la gioia di questi rapporti (...) Non sono una persona che sta morendo. Sono una persona che vive con l'Alzheimer. E cerco di farlo nel modo migliore possibile" ("Still Alice", pag. 253)

"Vorrei incoraggiare la diagnosi precoce chiedendo ai medici di non dare per scontato che problemi cognitivi e di memoria in persone di quaranta o cinquant'anni dipendano sempre da depressione o stress o menopausa." ("Still Alice", pag. 253)

"Guardateci negli occhi e parlate con noi. Non spaventatevi e non prendetela come un'offesa personale quando faremo degli errori perché li faremo." ("Still Alice", pag. 254)

"Vu incoraggio a darci maggiore autonomia, anziché limitarci. Lavorate con noi. Aiutateci a sviluppare soluzioni che ci permettano di aggirare i nostri deficit di memoria, linguaggio e proprietà cognitive. Incoraggiateci a partecipare ai gruppi di sostegno." ("Still Alice", pag. 254)

"I miei ieri stanno scomparendo, i miei domani sono incerti, e allora per cosa vivo? Vivo giorno per giorno. Vivo nel presente." ("Still Alice", pag. 254)

"Oggi sono qui davanti a voi a tenere un discorso che spero sarà il più importante della mia vita" ("Still Alice", pag. 254)

La scena finale:

La figlia aspirante attrice le recita un intenso monologo:

!"Allora, cosa provi?"
"Sento amore. Parla d'amore."
L'attrice squittì, corse da Alice, la baciò sulla guancia e sorrise, raggiante.
"Ho indovinato?" chiese Alice.
"Sì, mamma. Hai indovinato in pieno." ("Still Alice", pag. 289)


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            I VOLTI
L'iniziativa del Fotografo ten Napel
Il filosofo ebreo Lévinas: nel Volto del Prossimo riconosciamo la sua Inviolabilità

Il grande filosofo ebreo Emmanuel Lévinas (1906 - 1995) sviluppò un'etica basata sul volto umano: quando noi guardiamo il nostro prossimo negli occhi ci ricordiamo della nostra umanità e vediamo il volto di Dio nel nostro vicino. Nel momento in cui guardiamo vis à vis l'altro, il sentimento è il rispetto dell'autonomia e della sua inviolabilità. Non a caso, i nazisti uccidevano dopo aver fatto voltare le vittime designate dai capi, e non guardavano i volti delle persone rinchiuse nelle camere a gas. E lo psicanalista Jacques Lacan (Parigi 1901 – 1981), come ricorda Marie de Hennezel nel suo libro “La morte amica” (BUR, Milano 2015, pag. 85) notò che

“E’ lo sguardo dell’altro che mi conferisce identità”
 
Una delle fotografie di persone con Alzheimer
del fotografo olandese Alex Ten Napel
Il fotografo olandese Alex ten Napel ha trascorso un'ora con ciascuno degli ospiti dell'ospedale per anziani Wittenberg di Amsterdam ed ha colto l'espressione più interessante nei volti di queste persone con Alzheimer.
Passiamo ora dunque in rassegna alcune storie di personalità celebri che hanno convissuto con l'Alzheimer: questi volti aiutano le persone che ci convivono ad avere consapevolezza che questa malattia non risparmia nessuno.
Fra i famosi ci sono l'attrice Mabel Albertson (1901 - 1982, famosa per "A piedi nudi nel parco"), l'attore Dana Andrews (1909 - 1992, noto per il film Premio Oscar "I migliori anni della nostra vita"), il regista Premio Oscar Mervyn Leroy (1900 - 1987), il regista Otto Preminger (1905 - 1986) ed il pittore Norman Rockwell (1894 - 1978), Medaglia Presidenziale della Libertà, di cui vi avevo mostrato (durante il Cineforum su "The Help" alla Casa dei Diritti, cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/11/the-help-lezione-sulla-compassione_14.html) il dipinto del 1964 "The Problem We All Live With", che ritrae una bella ragazzina di colore scortata dalla polizia per proteggerla dai razzisti segregazionisti mentre si reca a scuola. Notizia di pochi giorni fa è che il calciatore Gerd Muller, attaccante del Bayern Monaco, ha l'Alzheimer. 69enne, è in una clinica privata ed è assistito dalla famiglia. Nella sua carriera ha messo a segno 730 goal.


Gli attori famosi con l'Alzheimer/1: Peter Falk
La curiosità: aveva una figlia detective
che gli fa Outing dopo il suo smarrimento in centro a LA
Le sue volontà: Mi affiderò a Mia Moglie


Il Premio Golden Globe Peter Falk (NY 1927 - Beverly Hills 2011), vincitore di 4 Emmy, famoso per aver interpretato per più di trent'anni il serial poliziesco-psicologico l'Ispettore Colombo nel serial "Il Tenente Colombo" (negli USA dall'86, in Italia dal '79, con un successo costante, repliche comprese) ove aveva sempre in bocca penzolante un sigaro spento, un impermeabile stropicciato e un'aria finto-distratta che dissimula la sua intelligenza. Ebbe anche un ruolo nel film cult "Il Cielo sopra Berlino" di Wim Wenders (ove interpreta sé stesso).
Nacque da genitori ebrei: padre polacco di origini ungheresi e da madre russa. A causa di un cancro aveva perduto l'uso di un occhio e gli fu impiantata una protesi oculare ("occhio di vetro") che ha reso ancora più penetrante l'altro occhio di detective indagatore. Ma un produttore della Columbia Pictures aveva detto: "Per gli stessi soldi posso avere un attore con due occhi".
Adottò con la moglie due figlie, di cui una, Catherine, investigatrice privata.
81enne, nel 2008 era apparso ad aprile confuso e malvestito e trasandato mentre gridava frasi disconnesse nel centro di Los Angeles, aggredendo verbalmente chiunque gli si avvicinasse: il tipico fenomeno del wandering (vagabondaggio). E la paura, si sa, genera aggressività.  La figlia, allora, ha spiegato l'accaduto all'opinione pubblica facendo outing dell'Alzheimer del padre, e chiedendo la custodia dei beni onde evitare frodi ai danni del ricco papà. Fece ricorso la moglie che ottenne l'esclusiva: il giudice ha accolto il documento firmato dall'attore anni prima ove esprimeva la propria volontà di essere affidato alle cure della moglie qualora avesse perduto la capacità di badare a sé e ai propri affari.   E' morto 83enne quattr'anni fa.  Interessante dal punto di vista della ricerca scientifica è la circostanza in cui si è ammalato: subito dopo un intervento dentistico invasivo (dopo aver devitalizzato un dente dolorante) che gli aveva provocato un'infezione. L'odontoiatra allora allontanò la corona, fresò il materiale di riempimento sottostante (l'amalgama), per arrivare al canale radicolare e sterilizzarlo, pulirlo e liberarlo dall’infezione. La polverizzazione dell’amalgama dentale causa livelli di vapori tossici dell’ordine di 100.000 microgrammi. Soprattutto negli anziani, essendo gli organi emuntori affaticati o comunque meno attivi, ciò può portare ad un’intossicazione acuta da mercurio (i topi esposti per un paio di minuti all’ambiente saturato di vapori di mercurio ottenuto polverizzando l’amalgama con il trapano, secondo gli studi sperimentali di Cutright del 1973). Uno studio di prof. Joachim Mutter sul "Journal of Alzheimer Disease" (vol.8, pag. 52, Settembre 2010) ha dimostrato che avere otturazioni di amalgama ed avere un enzima mutato che fa perdere la capacità di disintossicare il cervello dal mercurio sono due grossi fattori di rischio per i pazienti d’Alzheimer. Quanto maggiore è il numero di otturazioni dentali, tanto più cresce il rischio di elevati livelli di mercurio nel cervello e di morbo di Alzheimer. Mentre un recente articolo che ho letto sulla rivista del San Raffaele mostra una correlazione da approfondire fra il non avere più i propri denti naturali e l'Alzheimer. Allo scrittore inglese Terry Pratchett (1948 - 2015) è stato consigliato di farsi togliere l’amalgama dentale in modo protetto perché il suo sistema biologico poteva essere diventato molto suscettibile al mercurio e ha fatto poi da testimonial per la campagna contro l’uso di mercurio in odontoiatria. Pratchet, con i suoi romanzi di genere "fantasy umoristico", è il secondo autore britannico più letto di tutti i tempi con i suoi 65 milioni di libri venduti. Nel 2007 gli viene fatta una diagnosi errata: ictus di due-tre anni prima. Tale ictus avrebbe danneggiato la parte destra del cervello. Tre mesi dopo gli fu fatta una nuova diagnosi: sarebbe stato l'Alzheimer ad aver causato quell'ictus. Anzi una rara forma d'Alzheimer, l'atrofia corticale posteriore che come suggerisce il nome provoca una riduzione di volume della corteccia. Con tipico understatement britannico, ha detto ai fans di considerare l'Alzheimer un "problemuccio" (embuggerance) e di prendere la cosa "con filosofia". Nel 2008 dona un milione di dollari all'Alzheimer Research Trust (la principale associazione di beneficienza britannica dedicata alla ricerca intorno all'Alzheimer), gesto che ha ispirato un'iniziativa della società civile (Match it for Pratchett) che ha raccolto online un'equivalente cifra. Nello stesso anno la BBC, la Tv di Stato britannica, lavora con lui ad un documentario sull'Alzheimer in due puntate ("Terry Pratchett: Living With Alzheimer's"), molto seguita e premiata col BAFTA. In un articolo del 2009, esprime il desiderio del suicidio assistito (assisted suicide, termine che non ama). Grazie ad un programma software di riconoscimento vocale, non ha smesso di "scrivere", dettando i testi all'assistente negli ultimi tempi. Quattr'anni fa ha presentato un proprio documentario ("Terry Pratchett: Choosing To Die") sulla morte assistita, vincitore del Premio BAFTA scozzese.


Gli attori famosi con l'Alzheimer/2: Charles Bronson
Il Sogno Americano: dalle Miniere a Hollywood
Sempre accanto alla Moglie che lottò contro il Cancro
Poi toccò a lui (che mai era stato malato in vita sua)

Quella di Charles Bronson (1921 - 2003) è una tipica storia che testimonia il sogno american: da operaio minatore proletario divenne uno degli attori più pagati di Hollywood, fu protagonista di film western ed action movies come "I magnifici sette", "La grande fuga", "Quella sporca dozzina", "C'era una volta il West". Nato nella regione del carbone della Pennsylvania, figlio d'immigrati lituani (di cognome Buchinski), fu l'undicesimo di quindici figli, metà dei quali morti in tenera età. Il padre gli morì quando lui aveva undici anni e allora lui si trovò costretto a lavorare lui stesso in miniera per mantenere la famiglia. Parleremo del duro lavoro in miniera il mese prossimo alla Casa dei Diritti del Comune di Milano, domenica 22 novembre alle ore 16 (puntuali) col film "North Country", storia vera di una madre (il Premio Oscar Charlize Theron) che pur di mantenere i figli è fra le primissime donne ad accettare un posto come operaia nelle miniere del Minnesota.
Dopo aver servito il Paese nella Seconda guerra mondiale, studiò arte drammatica a Philadelphia. Ebbe tre mogli, e a differenza di certi uomini che non vogliono riconoscere la malattia delle mogli e delegano ai figli l'assistenza, Bronson assistette amorevolmente la seconda moglie Jill Ireland (1936 - 1990), anche lei attrice sino alla sua morte per cancro al seno (come racconta in quest'intervista: http://www.dougiethompson.com/charles-bronson.html), intorno a cui lei ha scritto due libri diventando portavoce dell'American Cancer Society, testimoniando sul peso del costo delle spese mediche dinanzi al Congresso e venendo insignita dal Presidente Ronald Reagan dell'American Cancer Society's Courage Award. Proprio a lui, che non aveva mai fatto un giorno di malattia in vita sua, a tarda età fu diagnosticato l'Alzheimer, ed è morto per una polmonite come il collega Charlton Heston. La curiosità: Bronson fu presentato alla Ireland dall'allora di lei marito sul set di un film. L'attrice Jill Clayburgh (1944 - 2010) l'ha interpretata nel film Tv "Reason for Living" (Ragione di vita).

Gli Attori Famosi con l'Alzheimer/3: il Premio Oscar Charlton Heston
Attivista per i Diritti dei Neri Americani col Collega Poitiers
La Battuta Volgare di Clooney contro il Collega: Non mi scuso

Anche Charlton Heston (1923 - 2008), Premio Oscar per il suo ruolo di Giuda Ben-Hur in "Ben Hur" (1960) del Premio Oscar William Wyler, fu un veterano del Vietnam. Interpretò anche Tommaso Moro nel film Premio Oscar "Un uomo per tutte le stagioni". Liberal del Partito Democratico americano, fu anche presidente del sindacato degli attori e marciò per i diritti dei neri alla March on Washington for Jobs and Freedom il 28 agosto 1963 accanto al collega Sydney Potiers (Premio Oscar per "I gigli del campo") ove Martin Luther King Jr pronunziò il discorso "I Have a Dream". Poi preferì il Partito Repubblicano dell'ex collega Ronald Reagan (anche lui colpito da Alzheimer). Dopo l'assassinio di Bob Kennedy, nel 1968, sostenne il disegno di legge di Lyndon Johnson per il controllo delle armi. Ha creato scandalo la battuta di George Clooney, che ha in odio Heston per le sue posizioni politiche, contro Heston: "Oggi Heston ha annunciato ancora di avere l'Alzheimer" (ebbene sì, a tali livelli di meschinità può portare l'odio politico-ideologico). L'attore gli ha replicato che l'Alzheimer potrebbe un giorno toccare anche a lui. Anch'egli, come il collega Charles Bronson, è morto per una polmonite. Ai suoi funerali c'erano colleghi come i Premi Oscar Olivia de Havilland e Christian Bale.


Gli Attori Famosi con l'Alzheimer/4: Ronald Reagan
Coming Out nel '94: "Io come Milioni di Americani"
Il Figlio: "Ce l'aveva già Dieci anni Prima"
(come Rita Hayworth). Gli scienziati confermano.
"Ma se l'avesse saputo si sarebbe dimesso"

Nello stesso giorno in cui oggi dedichiamo questo Cineforum all'Alzheimer, il 5 novembre del 1994, l'ex Presidente (1981 - 1989) Ronald Reagan (1911 - 2004) annunciò di essere "uno dei milioni di americani affetti al morbo d'Alzheimer", e che così come la sua famiglia aveva deciso di rendere noto a tutti il cancro al seno della moglie Nancy, così ora hanno deciso di rendere pubblica la malattia di lui. Durerà dieci anni. Quando muore a 93 anni, la salma fu portata in aereo dalla California alla Washington National Cathedral, quella bellissima chiesa neogotica che vi ho mostrato il mese scorso, una chiesa episcopale di stampo ecumenico ed ospitale (quella a cui appartiene anche il reverendo Matthew Fox) ove tradizionalmente si celebrano i funerali di Stato dei leader. Nella sua biografia, il figlio Ronald Reagan Jr sostiene che il padre avrebbe già mostrato i segni dell'Alzheimer durante la sua campagna dell'84 per la rielezione vinta. Ed effettivamente, proprio lui, grande comunicatore, ripeteva sia la parola "thing" (cosa), tipico dei portatori di Alzheimer, sia intieri passi di discorsi, come scoperto dai ricercatori dell'University of Arizona Visar Berisha e Julie Liss, docenti di Scienze del linguaggio, i quali hanno analizzando le trascrizioni di 46 conferenze stampa tenute da Reagan mettendole a confronto con le 101 alle quali ha invece partecipò il suo successore, George H. W. Bush, nei suoi quattr'anni alla Casa Bianca. (I due presidenti sono stati paragonati perché avevano un'età simile). Per la ricerca, pubblicata su "The Journal of Alzheimer's Disease", e rilanciata dal "New York Times", sono state usate tecniche per l'individuazione delle degenerazioni cognitive associate con l'Alzheimer. La conclusione è stata che "il presidente Reagan nel corso del tempo mostrava una significativa riduzione di parole uniche e un significativo aumento di riempitivi discorsivi e di sostantivi non specifici ("thing", coso, cosa, roba, ndr). Per il presidente Bush non c'è stata invece alcuna tendenza significativa in questo senso". Ma

"Non vi sono prove del fatto che mio padre, o nessun altro, sapesse della sua malattia: se gli fosse stata diagnosticata prima, diciamo nel 1987, io credo che si sarebbe dimesso".

La Scrittrice Figlia di Reagan: i Momenti di Gioia con Papà
"La mia Idee-Regalo: Libri Illustrati
con Prati, Laghi e Monti: senza bisogno di Leggere"

di PATTI DAVIS REAGAN

"Mio fratello Michael e io ci incontriamo nell' ufficio di nostro padre e gli portiamo dei regali, anche da parte di nostro fratello Ron (Ronald Jr., ndr), che e' bloccato a Seattle per lavoro. Tutti noi, comprandogli i regali, abbiamo fatto lo stesso ragionamento: abbiamo scelto qualcosa che mio padre sia in grado di osservare con piacere, senza dover leggere. Qualcosa per attirare la sua attenzione. Abbiamo portato dei libri illustrati con fotografie di paesaggi, e dei cioccolatini, un regalo proibito. E anche una sfera di vetro contenente il modellino di un paesaggio: quando la agiti, la neve cade sulle casette. Quando la vidi nel negozio mi ricordai di quando, da piccola, mio padre mi raccontava dei Natali innevati della sua gioventù. L'ufficio di mio padre è in un grattacielo che sovrasta Los Angeles. Dalle finestre si vedono il cielo azzurro, le strade, i tetti delle case. Lui ci va ancora un paio d'ore la mattina. Non ha molto da fare, in ufficio, ma non è questo il punto. Si tratta di una routine, e i malati di Alzheimer devono mantenere le loro abitudini. La routine li aiuta a dare una struttura al tempo che passa, a riempire le ore. E' bello vedere tutti i regali posati sulla scrivania di mio padre. Ormai non c'è molto: è quasi vuota. Un blocco di fogli gialli, intonso, è sempre allo stesso posto da mesi. Guardo le mani di mio padre mentre cercano con cautela di aprire i pacchetti, staccando il nastro adesivo senza strappare la carta. Alla fine però, si lascia prendere dall'impazienza. I suoi occhi s'illuminano alla vista dei cioccolatini e per un momento Michael e io diventiamo suoi complici in una piccola marachella: si tratta di una ghiottoneria "proibita" che non riceve spesso. "Sono tutti per te, papà - gli dice Michael -. Non devi dividerli con nessuno". "Ah, bene", risponde allegro, tirando la scatola verso di sé. Quando vede i libri con le fotografie di laghi, di praterie e di montagne resta ammirato. Poi rigira la sfera di vetro e sorride davanti a quel paesaggio invernale in miniatura. Gli dico che quando è stanco di guardare il sole californiano dalla finestra basta che guardi nella sfera di vetro per cambiare la stagione. Mi fissa e mi dice un "ok" secco. Non so se mio padre sappia ancora cosa rappresenta il Natale, ma sono sicura che sappia cosa vuol dire donare. E, mentre siamo accanto a lui, lo sappiamo anche Michael e io. Siamo lontani dalla follia degli acquisti natalizi, e dei problemi di parcheggio. Mentre ce ne andiamo dall'ufficio, dopo aver salutato papà, chiedo a mio fratello chi abbia fatto il regalo più grande, se noi due a nostro padre o lui a noi. Michael non ha bisogno di rispondermi, lo sappiamo entrambi. Non dovrebbero essere necessari la malattia o il dolore per ricordarci il vero significato del Natale. E invece, purtroppo, spesso è così. Poco tempo fa, ho fatto un'escursione in collina e mi sono fermata davanti a una cascata e a un laghetto, all' ombra di grandi alberi. Mi sono seduta su una roccia a ascoltare lo scorrere dell' acqua, il vento che muoveva le foglie. Avrei voluto regalare quell'esperienza a mio padre. Avrei voluto regalargli la pace di quegli istanti, la dolcezza di quei suoni, la serenità di quel luogo. Ma non posso" (brano pubblicato sul "New York Times" e poi sul "Corriere della Sera" del 5. 1.1999)

Alcune curiosità: anche lui (come Charlton Heston) passò dai Democratici (anche lui dopo aver rivestito la carica di presidente del sindacato attori) ai repubblicani, diventando Leader del partito e presidente per due mandati, mentre entrambi i figli, Ronald Jr e Patti (Patricia) sono dichiaratamente liberal (liberali progressisti).

Le Attrici Famose con l'Alzheimer/1: il Premio César Annie Girardot
La Figlia Giulia ne scrive la Biografia

Il Premio César Annie Girardot (Parigi 1931 - 2011) dopo gli studi di teatro diviene un'attrice famosa: la ricordiamo nella parte di una professionista del sesso, Nadia, in "Rocco e i suoi fratelli" di Luchino Visconti e nel '66 è Persefone nella "Perséphone" di Ivor Stravinsky alla Scala e la madre della protagonista (Isabelle Huppert) del film "La Pianista" (dal romanzo del Premio Nobel Elfriede Jelinek) e farà una serie di ruoli innovatici che di solito erano affidati ai maschi. Nel 2006 "Paris Match" fa outing: la diva ha l'Alzheimer (http://www.parismatch.com/Culture/Cinema/Annie-Girardot-le-jour-ou-elle-a-annonce-sa-maladie-146327). La figlia Giulia Salvatori (nata dall'amore con Renato Salvatori) in occasione della Giornata mondiale Alzheimer chiese ai paparazzi di non andare più a recare disturbo a sua madre, la quale non ricordava più di essere stata un'attrice, e di ricordarla per come era; poi girò un documentario ove svela i retroscena del set ove le venivano suggerite le battute che non riusciva a ricordare e scritto la biografia "La mémoire de ma mere". E' morta a 79 anni serenamente, come testimonia la nipote, l'attrice Lola Vogel.  

Le Attrici Famose con l'Alzheimer/2: Rita Hayworth
Riconosciutole dopo 10 anni a 62 anni perché beveva


Rita Hayworth (New York 1918 - 1987), nata a Brooklyn da un ballerino spagnolo ed una ballerina americana di origini irlandesi ed inglesi, è stata una delle più amate attrici di Hollywood ed è ricordata per il noir "Gilda" del regista ebreo americano di origini ungheresi Charles Vidor (Budapest 1900 - Vienna 1959). Girò 60 film in trent'anni. Come un'altra attrice statunitense, Grace Kelly (1929 - 1982) divenne principessa, avendo anche lei sposato un principe (Ali Khan, considerato un sex symbol): per queste nozze interreligiose fu scomunicata da Papa Pio XII (Papa Pacelli, 1856 - 1958) e si trasferì in India e Pakistan, poi divorziò e col principe rimasero amici. A fine anni Sessanta, mostrò i sintomi dell'Alzheimer, diagnosticatole solo nel 1980, all'età di 62 anni dal momento che beveva molto, con dieci anni di ritardo come il suo amico Ronald Reagan, anche perché si tendeva a credere che le sue defaillances fossero dovute all'alcool, proprio come il padre di Alice nel romanzo, ed effettivamente nel cervello degli alcolisti si rivengono simili mutazioni delle persone affette da Alzheimer.

L'impegno sociale della Figlia Yasmin Aga Khan:
"E' l'amore a ispirare la mia Azione Positiva"
La principessa Yasmine Aga Khan, figlia di Rita Hayworth

La figlia Yasmin Aga Khan, che vedete nel documentario del 2009 della sua amica Berna Huebner e di Eric Ellena "I Remember Better When I Paint", la portò in ospedale ove le sottoposero dei semplici test di memoria (proprio come ad Alice nel libro: "Chi è il presidente americano?").
Le rimase accanto sino alla morte, all'età di 68 anni, ed è diventata una filantropa in quest'àmbito. Nata nel 1949, 65 anni, è vicepresidente della Alzheimer's and Related Disorders Association (cfr. l'articolo sulla "Huffington Post" leggibile al link: http://www.huffingtonpost.com/rosalia-gitau/art-therapy-for-alzheimer_b_495914.html).
Nell'intervista a "Paris Match" (leggibile al link: http://www.parismatch.com/Royal-Blog/Monde/Yasmin-Aga-Khan-Le-naufrage-de-ma-mere-a-bouleverse-ma-vie-163991) rivela di aver rinunziato al sogno d'intraprendere la carriera di cantante (dopo gli studi universitari ed aver iniziato a comporre) per assistere l'adorata mamma:

"E' da quel momento che ho deciso di trasformare questo doloroso handicap in un'azione positiva. Approfittando della celebrità e della gloria che lei aveva avuto come attrice più adulata ed ammirata dei suoi tempi, associando il suo nome alla malattia, mi sono messa allora ad allertare senza sosta l'opinione pubblica mondiale sulla malattia d'Alzheimer"

"Da dove trae la sua forza sorprendente?"
"Innanzitutto, dall'amore della mia famiglia, dall'affetto dei miei fedeli amici e dal mio temperamento positivo e volitivo. Sono visceralmente presa dalla mia azione e vorrei più di ogni altra cosa che prima di morire si trovi il modo di fermare l'Alzheimer. infine, ringrazio ogni mattino il cielo di avermi dato la salute che mi permette di apprezzare ogni istante dell'esistenza perché la vita è breve, e bisogna cercare di non perdere troppo tempo!" (traduzione mia dal francese)

Racconta di essersi fatta ricevere dal Presidente Ronald Reagan, il quale nella precedente carriera di attore aveva conosciuto la madre e che in sèguito sarebbe stato anch'esso colpito dall'Alzheimer. Fu poi invitato al Gala di beneficienza in memoria della Hayworth. Pensate (per fare un raffronto con l'arretratezza dell'Italia) che già nel 1983 Reagan proclamò novembre (che è anche il Family Caregivers' Month) il mese della prevenzione dell'Alzheimer (National Alzheimer's Disease Awareness Month) di cui avrebbe manifestato i sintomi proprio l'anno seguente, secondo la testimonianza del figlio Ron Jr.
Ora Yasmine convive col compagno nelle montagne dello Utah ma va a New York, ove ha una casa con vista sul Central Park, una volta al mese per le riunioni dell'associazioni assieme all'ex marito. La principessa ha vissuto anche un'altra tragedia in famiglia: il figlio Andrew Embirico è stato trovato senza vita nel suo appartamento a NY probabilmente per un'asfissia autoerotica, dopo una giovinezza di autodistruzione. Si era messo per due anni e mezzo a lavorare in un salone di abbronzatura per pura ribellione, aveva avuto problemi di tossicodipendenza e aveva girato film pornografici gay amatoriali senza protezione, contraendo l'AIDS. Gli amici lo ricordano come una persona dolce e compassionevole, che non voleva morire. La vicenda ricorda la storia del figlio di Philomena Lee, anche lui con un'educazione cattolica pesante e colpevolizzante, ed anche lui con l'aids: storia che abbiamo raccontato e analizzato al cineforum su "Philomena" (cfr. la scheda di approfondimento ove recensisco il romanzo di Martin Sixmith: http://lelejandon.blogspot.it/2015/01/la-sessuofobia-rende-spietata-e.html).

Il Documento Unico: tiene il Diario col Magnetofono
E' la prima testimonianza in Diretta di uno Stadio Precoce
"Il mio Cagnolino mi è stato tanto vicino": racconteremo le Meraviglie dei Nostri Cani Giovedì 14/1/2016 con "Hachiko"

Nel 1985, all'età di 55 anni, il Professor Cary Smith Henderson, docente di Storia alla Duke University (uno degli atenei più prestigiosi degli USA, nel North Carolina) si sottopone ad un intervento chirurgico al cervello e il chirurgo estrae materiale per una biopsia: ha l'Alzheimer. Inizia a documentare l'evoluzione della malattia mediante un magnetofono, un documento che costituisce la prima testimonianza diretta di uno stadio così precoce. 

Il suo libro, che sarà pubblicato col titolo: "Partial View: An Alzheimer's Journal" (USA 1998), è stato completato dalla moglie e dalla figlia, e corredato da splendide fotografie di Nancy Andrews della "Washington Post". Fra le altre cose, testimonia la vicinanza ed il calore del cagnolino. 

Ci racconteremo le prove di straordinaria empatia dei nostri compagni a quattro zampe giovedì 14 gennaio 2016 al cineforum sul film "Hachiko - il Tuo Migliore Amico" al Cinema Gregorianum.
©LELE JANDON
attivista sociale e conferenziere professionista
ideatore ed organizzatore di eventi culturali.
Per proporre ed organizzare cineforum ad hoc
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temi affrontati: diversity management (omoaffettività, transessualità), mobbing sul lavoro ed in famiglia,  Alzheimer, vecchiaia, rapporti intergenerazionali, badanti/colf