venerdì 13 marzo 2015

Il Coraggio Creativo è la Risposta Radicale alla Noia dei Giovani. Gli Artisti in Crisi d'Ispirazione Spirituale ritraggano i Dolori di Genitori e Adolescenti: l'Arte è al Servizio della Comunità


di LELE JANDON

Toby Regbo con il Premio Oscar Ellen Burstyn nel film di Roberto Faenza
"Un giorno questo dolore ti sarà utile", dall'omonimo romanzo di Peter Cameron

Manhattan, giorni nostri, estate. James (Toby Regbo) è un 17enne sui generis che mostra già una sua personalità. Ascolta musica classica, s'incanta ai Musei (ove ha un'esperienza anche di sindrome di Stendhal), ottiene ottimi voti e non ama stare in compagnia dei coetanei che non trova interessanti: preferisce stare da solo ("un bisogno primario come l'acqua", dice), leggere, andare a spasso col suo cagnolino Mirò (dal nome del pittore surrealista Joan Mirò 1893 - 1983) e a trovare la Nonna materna Nanette (il Premio Oscar Ellen Burstyn) nella sua bella casa con giardino curato. 
L'AMORE INCONDIZIONATO DELLE NONNE: sarà uno dei temi della
seconda serata della rassegna "I Nostri Angeli"
Lei è l'unica a non giudicarlo e lui le racconta del suo sogno di vivere in una bella casa tranquilla in campagna e imparare qualche arte manuale come lavorare il legno e "leggere tutti i libri che ho sempre voluto leggere ma non ho mai potuto perché dovevo andare a scuola"!  Dopo il liceo, lavoricchia come guardiano alla "galleria d'arte" di proprietà di sua madre, che espone bidoni della spazzatura (metafora della crisi dell'arte contemporanea senz'ispirazione) e lo licenzia per una ragazzata (aveva combinato un appuntamento galante col suo collega di lavoro, un narciso che si prende così sul serio da essere incapace di riderci sopra). 
L'Evento gratuito ideato da Lele Jandon alla Casa dei Diritti del
Comune di Milano. 
Il ragazzo non viene compreso quando dichiara di non avere alcun desiderio di andare all'università, passaggio che viene dato come per scontato dai genitori: "Ci andrei se ci fossero persone più grandi", dice. Non riesce a rapportarsi con chi gli appare superficiale.  Viene visto come "disadattato", disturbato, asociale.  Nel romanzo, i genitori (il Peter Gallagher di "The OC" e il Premio Oscar Marcia Gay Harden) lo mandano da un'analista (che non ha nemmeno una biblioteca personale), nel film da una life coach che lo ascolta anche facendo jogging assieme (Lucy Liu). E' la trama di "Un giorno questo dolore ti sarà utile" (Adelphi, Milano 2007) di Peter Cameron dond'è stato tratto il film (di Roberto Faenza, USA 2012). Dal punto di vista materiale, al ragazzo, appartenente all'upper class, non manca nulla, ciò che li manca è l'autentico ascolto empatico. 
Cameron è nato 55 anni fa nel New Jersey, lo Stato confinante con New York. Laureato in Letteratura Inglese, oggi vive a Manhattan. Il titolo è tratto da un verso degli "Amores" del poeta romano antico Ovidio (I sec. a. C. - I d.C.) ed è un bel messaggio che viene lanciato ai teenagers:

"Perfer et obdura! dolor hic tibi proderit olim!"

("Sii forte e paziente; un giorno questo dolore ti sarà utile"

(citata in calce al libro e tradotta a pag. 51).



Ci si riferisce evidentemente a quella che oggi chiamiamo “resilienza”: la capacità di rimanere fedeli a sé stessi e non farci corrodere e rovinare la personalità dagli eventi negativi stressanti.

Dice il regista (alla première del film che c'è stata qui a Milano due anni fa) che James "appartiene all'oggi di milioni di giovani che cercano un mondo diverso, non sono organizzàti ma vogliono proporre comunque un modello di vita fuori dagli schemi." E' un libro ed un film dedicato agli adolescenti in ricerca della loro propria individualità ed originalità.

Come si vede sin dalla trama, emerge un vuoto:

- il ragazzo senz'amici coetanei; il collega che riteneva amico drammatizza in maniera malata uno scherzo da ragazzi che lui gli fa;

- la "galleria d'arte" senza autentiche opere artistiche;

- l'università (dall'idea che s'è fatto James) senza studenti adeguatamente maturi;
- lo studio dell'analista senza libri (nel romanzo): ed "una stanza senza libri è come un corpo senz'anima", diceva Cicerone.
Dal romanzo e dal film eviscererò i seguenti temi traendo ispirazione sia dalla psicologia sia dalle tradizioni spirituali:
- la Noia come sintomo che c'è un vuoto da riempire nella cultura contemporanea;
- il naturale desiderio e bisogno di Creatività, essenza dell'umanità ed il coraggio che richiede e l'invito di Matthew Fox a creare una Cultura in cui la Creatività sia al centro ed in cui TUTTI siamo artisti creativi, ciascuno a modo suo: tema estremamente utile all'attualità del 40% dei giovani senz'occupazione in Italia; il desiderio di manualità e di silenzio;




- la critica alla crisi dell'Arte contemporanea che ha scordato di essere al servizio della Comunità: il filosofo de Botton invita a tematizzare i dolori di teenagers e genitori (che sono proprio i temi del film);
- come la psicanalisi può recare aiuto e la critica ad un certo modo di fare Psicanalisi di Cameron (attraverso James) e del filosofo de Botton: rivedere l'ambiente circostante il paziente e corredarlo di buoni libri che aprano la mente dell'analista;  
- il peccato mortale di Proiezione dei genitori verso i figli: dominare il figlio imponendogli la strada, a scuola e nel lavoro futuro o nella famiglia, senza considerare la sua autonomia ed uccidendo la sua anima;   
- gli attacchi di Panico come quello che ha colpito James quando si è trovato in mezzo ai bulli coetanei.

Ne parliamo coi contributi in particolare dei
- seguenti teologi: Tommaso d'Aquino, il rabbino Joshua Liebman, reverendo Martin Luther King Jr ed il reverendo Matthew Fox;
- seguenti filosofi: Martha C. Nussbaum ed Alain de Botton;
- e dei seguenti psicologi e psicoanalisti: Carl Gustav Jung, Otto Rank, Rollo May, Mihaly Csikszentihalyi.

****

Il Cast

Qualche curiosità sul cast. Divisi fra cinema, Tv e teatro sono l'attrice che interpreta la madre di James (il Premio Oscar Marcia Gay Harden) e l'attore che interpreta nel film il suo terzo marito Stephen Lang (che si vede anche nel film "Save me" con Chad Allen e Judith Light). La sorella di James é Deborah Ann Wohl, un'attrice il cui fidanzato é sofferente di coroideremia, rara malattia genetica agli occhi che lentamente rende totalmente ciechi e senza terapia.
Ho parlato il mese scorso, col film "Philomena", storia di due bambini di origine irlandese comprati dalle suore e portati in America, dell'Irlanda (http://lelejandon.blogspot.it/2015/01/la-sessuofobia-rende-spietata-e.html).  Ebbene, quattro degli attori hanno origini irlandesi: Peter Gallagher (noto fra i giovani per il serial "The O.C."); Stephen Lang (da parte di padre; ungheresi da parte di madre), Ellen Burstyn (che ha sangue anche francese e tedesco e dai Nativi americani) e Deborah Ann Wohl (anche lei sangue misto: tedesco). La Burstyn, ex cattolica, dopo anni di psicanalisi e ricerca spirituale, ha scoperto il sufismo (forma di ricerca mistica dell'islam che ha punti di convergenza sia col cristianesimo sia col neoplatonismo) e ne diventa l'equivalente di una rabbina o sacerdotessa, ha un figlio adottivo (tema, quello delle adozioni, di cui ho parlato nel mio precedente saggio: http://lelejandon.blogspot.it/2015/01/la-sessuofobia-rende-spietata-e.html) e prende il cognome dal marito morto suicida. A proposito, il teologo Matthew Fox (http://www.matthewfox.org/) nel suo libro "Creatività" (Fazi, Roma 2012, pag. 32) che ci guiderà (nella sua bella sintesi) in questo saggio, cita proprio due mistici sufi: Hafez (Shiraz 1315 - 1390), Ibn Al-Arabi (1076 - 1148) i quali colsero che noi esseri umani siamo creati ad immagine e rassomiglianza di Dio e che la nostra immaginazione è infinita e dunque merita di essere valorizzata.


****
Lo Spunto/1: la Noia del Vuoto
La Noia Agitata è Sana, Sintomo di Vitalità,
quella Apatica è Malata (Accidia)
La Risposta è la Creatività, Essenza dell'Umanità
Il Contrario della Noia è lo Stato di Flusso: 
Restare a Lungo Concentrati senza Sforzo

Il protagonista è annoiato dai coetanei: non li trova interessanti. Non è un sociopatico né un misantropo. Dice di sé:

"Il problema principale era che non mi piace la gente, e in particolare non mi piacciono i miei coetanei. Non sono uno psicopatico (anche se non credo che gli psicopatici si definiscano tali), è solo che non mi diverto a stare con gli altri. Le persone, almeno per quello che ho visto sino ad adesso, non si dicono granché d'interessante. Parlano delle loro vite, e le loro vite non sono interessanti. Quindi mi secco. Secondo me bisognerebbe parlare solo se si ha qualcosa da dire d'interessante o di necessario (...) Ho passato tutta la vita coi miei coetanei e non mi piacciono granché o forse non forse non mi pare di avere molto in comune con loro".
Il dipinto "I Nottambuli" ("Nighthawks") dell'americano Edward Hooper

La noia àltera la percezione del tempo sicché ci appare più lungo di quel che è, come mostra la parola tedesca composta "Langeweile" (lungo momento), ed è l'esatto opposto dello stato di flusso (come vedremo: quando creiamo senza sforzo).
Secondo Matthew Fox,

"Gl'individui noiosi, o che non destano interesse, sono persone annoiate"
("Creatività", Fazi, Roma 2012, pag. 25).
La teoria dello psicologo ebreo americano Abraham Maslow

Un recente articolo dice che tollerando per più di mezz'ora le "lamentationes" delle persone lagnose subiamo un danno ai neuroni della regione dell'ippocampo, deputata alla risoluzione dei problemi: come se le lagnanze spegnessero la nostra naturale creatività (http://www.tecnologia-ambiente.it/lamentela-danneggia-i-neuroni).
Noi umani, dice Fox, essendo una specie interessante non possiamo annoiarci nello studio:

"Più apprendiamo la nostra storia, più diventiamo interessanti
agli occhi di noi stessi" (pag. 24).

Se siamo vivi e sappiamo apprezzare la bellezza (la musica, le arti, la danza, il teatro, i rituali, il fare l'amore) non ci ridurremo allo stato degli accidiosi. Se noi siamo riconoscenti dei nostri doni, delle nostre qualità, vorremo farne dono al prossimo attraverso la nostra creatività al servizio della compassione. Bisogna intuire che "la vita, malgrado tutti i suoi problemi e le sue difficoltà, è essenzialmente degna di lode" ("Creatività", cit., pag. 28).
E' proprio la nostra creatività che ci fa fare un salto di livello a livello evolutivo della specie, tanto che secondo lo scienziato britannico Peter Russell è la Mente (secondo Tommaso d'Aquino infinita, capax infiniti, pag. 82), con le sue Idee nuove, ad essere un fattore decisivo per un nuovo tipo di Evoluzione, non più basata sui geni ("Creatività", pagg. 33 - 34).
Nel caso della noia fra persone, essa si vede bene quando ci càpita di vedere in giro gruppi di amici (che in teoria dovrebbero trovarsi insieme proprio perché stanno bene fra di loro) tutti quanti chini ciascuno sul proprio smartphone, senza comunicare a voce proprio come le figure del quadro "I nottambuli" (1942, foto sopra) dell'americano Edward Hopper (1882 - 1967). In talune comitive di giovani (che non sanno usare con filosofia e buona educazione i nuovi social networks) si assiste alla sostituzione del corretto rapporto vis-à-vis frontale allo stare gobbi sul telefonino.

Tutt'al contrario, James, in un vitale impulso di libertà, getta il suo cellulare su uno dei bidoni della spazzatura esposti nella galleria d'arte della madre!
La noia colpisce una persona su dieci e si manifesta in due forme, come ha mostrato il professor James Danckert (Università di Waterloo) attraverso uno studio con questionari: la noia apatica e la noia agitata.

- La noia apatica è un'indifferenza che rassomiglia alla depressione ed è tipica di chi è incapace di trovare soluzioni a questo stato. Un vero e proprio peccato mortale per la nostra anima che potremmo chiamare: accidia, pigrizia, indolenza.

- Chi è annoiato di una noia agitata soffre molto di più e ha fortemente bisogno di stimoli esterni e cerca dunque soluzioni creative a questo stato (e si può anche visibilmente manifestare con ginocchia agitate che si muovono su e giù e dita irrequiete che tamburellano).

Noi partiremo dall'idea che tutti i giovani hanno un desiderio profondamente umano di realizzare le loro potenzialità creative e per questo illustreremo l'elogio della creatività di Matthew Fox, convinto, da credente, che siamo tutti creati ad immagine e rassomiglianza di Dio e dunque come tali siamo liberi creatori, artisti, creativi, spiriti liberi.
Scrive Fox riferendosi evidentemente al primo tipo di noia: è quello

 "stato di squilibrio o di depressione in cui non riusciamo a muoverci, in cui non abbiamo energie per "intraprendere cose nuove" (modo in cui Tommaso d'Aquino definisce l'"accidia", il peccato capitale della noia, dell'indolenza o del vivere pigramente)" ("Creatività", cit., pag. 25), "un grave peccato d'omissione" perché "il pusillanime non raggiunge la misura della propria capacità" (pag. 75)
"L'artista ha compreso che l'alternativa alla creatività è peggiore della morte. E' la noia. La morte dell'anima. L'inferno" (pag. 126): "La natura dell'essere umano non è l'essere passivo (...) la passività è segno di malattia, di debolezza, di morte (...) la mia esperienza è che quando sono depresso ho voglia di guardare la televisione" (pag. 22 - 23);

mentre "Noi possiamo scegliere di trascorrere il nostro tempo libero in qualche altro modo" fra cui "leggendo, meditando, facendo giardinaggio" (pag. 23); dobbiamo sempre tener viva la nostra immaginazione, altrimenti "saremo privi d'anima" (pag. 67).

Tipico delle persone annoiate/depresse è mettersi a guardare la televisione: a proposito del rischio di teledipendenza e di vivere un'esistenza surrogata, Giovanni Sartori nel suo pamphlet "Homo videns" (Laterza, Roma - Bari 1997, mia edizione 1999) ci mette in guardia dal fatto che dinanzi al predominio (in una società come quella italiana ove si legge sempre meno) della "televisione-spettacolo" (sottoposta addirittura ai bambini prima ancora che imparino a leggere e scrivere cioè decodificare i simboli fondamentali), l'essere umano sta impoverendo il suo apparato cognitivo (fatto di simboli da decodificare in quanto, dice il filosofo tedesco-svedese Ernst Cassirer, 1874 - 1945, è "animale simbolico") e da Homo Sapiens (capace di ragionare in astratto) sta diventando sempre più Homo videns (passivo e senza creatività d'idee). Sinora, purtroppo, dice il docente, non si riscontra una sana sintesi virtuosa fra uomo vedente e leggente (ragionante per concetti) ed i nostri giovani sono

"annoiati, in crisi depressiva e malati di vuoto" ("Homo videns", cit., pagg. 115 - 116).

Proprio nell'àmbito di un'iniziativa per stimolare la lettura, lo scrittore britannico Jonathan Coe ("La Lettura", 1 marzo 2015, traduzione di Maria Sepa) ha scritto:
               
"Leggo perché dopo aver passato qualche ora a leggere un bel libro mi sembra di capire il mondo un pò meglio. (...) Leggo perché leggere è a volte noioso, ma la noia è uno stato mentale necessario, una tappa del cammino della comprensione. (Invece, la noia che inevitabilmente comincio a provare quando sono al computer nasce solo da un sovraccarico d'informazioni). (...) Leggo libri, in particolare romanzi, perché mi permettono di conoscere altre persone, di entrare in empatia con loro, di vedere il mondo attraverso i loro occhi diversi dai miei"

La moderna cultura della droga, con la diffusione interclassista delle droghe smart e le droghe sessuali da sabato sera sia nelle discoteche sia quotidianamente, come qui a Milano, non potrebbe dipendere proprio dalla noia, così ben ritratta nel dipinto "L'assenzio" dell'infelice Degas (esposto al Musée d'Orsay di Parigi assieme agli altri Impressionisti)? Il sistema di lavoro spesso richiede al proprio corpo una prestazione che lui non è propenso a fare perché si è intrapresa una carriera che non è quella naturale, e così la persona stakanovista s'annoia, e non trova in sé le energie morali per svolgere bene un mestiere che non è il suo.  La noia sta alla normalità come la melanconia stà alla malattia (depressione e malattie connesse). E la melanconia è un ostacolo, come si è detto, alla creatività.  La noia è anche uno dei sintomi di psicopatologie come la schizofrenia (che può essere accompagnata anche da senso d'inutilità e vuoto e depressione, un tempo chiamata melanconia). Lo psichiatra contemporaneo Dale Theobald ha mostrato, somministrando un comune antidepressivo ad ammalati di cancro depressi, che noia e depressione sono distinte: i sintomi della noia e quelli della depressione diminuivano in maniera diversa.
Antonio Perego, "L'Accademia dei Pugni" di Milano (1766): secondo
Pietro Verri (1728 - 1797) senza la noia non potremo definire il piacere. 

Per Pietro Verri (1728 - 1797; intorno alla cui figura di creativo filosofo del diritto c'è stata una mostra alla Biblioteca Braidense qui a Milano), il nonno di Alessandro Manzoni, senza la noia non potremmo apprezzare e definire il piacere. E per il filosofo Kant (1724 - 1804), la noia è un pungolo che ci stimola a crearci degli scopi. Kant faceva moto tutti i giorni: facendo la sua consueta, puntuale passeggiata. Il movimento è molto importante, infatti ci sono vari correlati fisiologici fra la noia e la mancanza di moto: il nostro organismo non è fatto per la passività né per la solitudine. In libertà, gli animali non s'annoiano affatto, mentre in cattività molte specie s'annoiano moltissimo come ci càpita di vedere quando visitiamo gli zoo ove se ne stanno spesso stravaccati ormai viziati da chi gli procura il cibo senza che essi debbano attivarsi a fare alcunché: è noto che chi ha un cane deve recarlo a passeggio almeno tre volte al giorno.

***


Lo Spunto/2: la Creatività Risposta Radicale alla Noia
Creare una Società che la ponga al Centro

La risposta radicale alla noia è la creatività, che richiede

"il coraggio di creare", "il genere di coraggio più importante di tutti",

"Il Coraggio di Creare" dello psicologo
americano Rollo May.
come scrisse lo psicologo americano Rollo May (1909 - 1994) nel suo libro "The Courage to Create" (1975), ispirato al libro del teologo suo maestro Paul Tillich (1886 - 1965) "The Courage to Be" ("Il Coraggio di Esistere", Astrolabio - Ubaldini, Roma 1968). 
Come il coraggio dello psicologo viennese Otto Rank (1884 - 1939) che si staccò dalla dottrina di Sigmund Freud (1856 - 1939) proprio perché riteneva che fosse la creatività, e non la sessualità, più centrale rispetto alla nostra essenza. O come il coraggio di Prometeo (che nel mito greco creò gli uomini e donò loro il fuoco) e di Adamo ed Eva (che nel libro della Genesi assaporarono la mela) la cui creatività nasce dalla ribellione. Quel peccato di Adamo non nacque (come interpreta male Agostino) dall'orgoglio, bensì secondo Fox dal "bisogno di essere creativi" ("Creatività", pag. 91):

"si potrebbe dire che definiamo "originale" questo peccato perché riguarda il modo in cui ci rapportiamo o non ci rapportiamo con la nostra originalità, con la nostra creatività" (pagg. 91 - 92):
Lele Jandon presenterà la storia vera della pittrice autodidatta Séraphine
de Senlis (1864 - 1942) giovedì 3 dicembre alle ore 20 puntuali alla rassegna
"I Nostri Angeli"

la paura del prezzo da pagare per essere creativi e far fare un salto di livello all'umanità (Martin Luther King Jr; Gesù e Gandhi furono uccisi per aver "rubato il fuoco"); la compassione è il modo di partecipare alla creatività divina senza senso di colpa. Il vero peccato è non essere creativi per senso di colpa o per paura, è l'artiste manqué, l'artista fallito e "se siamo degli artisti mancati, allora siamo anche joie manquée" (pag. 135) poiché "la creatività reca gioia", perciò Fox invita (pag. 98) a creare una nuova società:

"Create una cultura in cui la creatività sia al centro"

****
L'Ispirazione della Spiritualità:
dalla rilettura del mito di Adamo ed Eva
alla Parabola dei Talenti.
Martin Luther King cita il Rabbino: 
Per amare il Prossimo si deve amare sé stessi
Gesù: La Vostra Salvezza è la Vostra Creatività
Il teologo più creativo d'America: Matthew Fox

Secondo l'interpretazione di Otto Rank l'incatenamento di Prometeo rappresenta l'inibizione delle inclinazioni di proiezione che facciamo verso gli altri (imponendo la nostra personalità), come se fossero oggetti e non persone autonome: la creatività senz'amore, senza compassione, è distruttiva. Il Vangelo di Tommaso (pag. 98) cita la creatività di Gesù:

"Quando generate in voi quello che avete, esso vi salverà
(cioè la vostra creatività)

Secondo Otto Rank il passo che dice

"Io ti ho posto davanti la vita e la morte, scegli dunque la vita" (Deuteronomio 30, 19)

è un'esortazione ad essere creativi ogni giorno (pag. 98).
Benché non fosse cristiano, lo psicanalista tedesco vedeva nel cristianesimo una liberazione della creatività per via dell'umanizzazione di Dio e la deificazione dell'uomo (pag. 97).
Nella nostra Tradizione spirituale ebraico-cristiana, la sapienza e la creatività procedono insieme e si va oltre Prometeo: è Dio stesso a donare lo Spirito della creatività agli esseri umani; ci sono secondo il biblista americano Marcus Borg (1942 - 2015) due tipi di maestri di sapienza: quelli che rafforzano i modi di vivere di una cultura e quelli che ne offrono un'alternativa, come il maestro Gesù, narratore creativo ed "oratore di grandissima sintesi" coi suoi cento aforismi e le sue parabole che stimolano l'immaginario popolare quotidiano ed invitano a pensare da sé senza ricorso ad un'autorità esterna (ad esempio del Buon Samaritano, cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/09/la-via-della-compassione-creativa.html) attaccando il valore del familismo, del valore in sé della ricchezza, dell'onore, della purezza, del dio come giudice e dei confini anziché come genitore compassionevole, e la religiosità. 
Ogni regime totalitario teme gli artisti, spiriti liberi che immaginano un futuro diverso. 
Martin Luther King Jr al pianoforte con moglie e figli
Lo studioso di religione John Dominic Crossan riconosce un'altra strategia sapiente della creatività di Gesù: far pranzare insieme persone di classi diverse, mostrando fiducia nella natura umana. Il filosofo Alain de Botton nel suo libro "Del buon uso della religione. Una guida per i non credenti" (pagg. 36 - 43) propone di ricreare un'atmosfera simile inventando il ristorante Agape (dal nome dell'amore fraterno) ove ognuno si senta libero di conversare con chiunque degli avventori.
"Quando noi veniamo meno alla nostra responsabilità di dare vita" cioè di essere creativi "ne consegue un senso di colpa immenso" per "la vita non utilizzata" (pag. 37): "Rank pone la creatività sullo stesso piano dell'amore in quanto segno di salute e benessere" (pag. 37). 
Ne "L'amore e la volontà" ("Love and Will"), Rollo May, rifacendosi ad Otto Rank, dice che ognuno di noi ha un demone: il demonico è "l'impulso presente in ogni essere di affermare sé stesso": se lo reprimiamo, diventiamo nevrotici, aggressivi, crudeli e ostili ed esploderemo (pag. 38). Una famiglia che non lascia essere com'è suo figlio o sua figlia secondo le sue predisposizioni ed orientamenti, sarà disfunzionale.

Nell'approfondimento sul romanzo e sul film "The Help"  ho spiegato come Martin Luther King Jr (1929 - 1968) in un suo sermone (il numero 8) invitasse le persone afroamericane a prendere ad esempio uomini e donne neri che avevano realizzato la propria creatività. Il reverendo citava il rabbino della sinagoga riformata di Boston, Joshua Liebman (1907 – 1948), che nel longsellerPeace of Mind” dice che

Rita Hayworth, quando convisse con l'Alzheimer,
si dedicò alla pittura, che è una delle possibili
"creative therapies": dipingere fa emergere le
emozioni, dona senso d'identità e pace della mente. 
per poter amare adeguatamente gli altri, dobbiamo amare noi stessi nella maniera giusta(“La forza di amare”, SEI, Torino 1968, pag. 140)

In che senso dobbiamo amare noi stessi? Scoprendo e realizzando le nostre “facoltà creative potenziali”: Dio non lascia nessuno di noi senza un qualche talento. 

(Qui King fa riferimento alla parabola dei talenti, Vangelo di Matteo, 25, 14 -30).  E per dimostrarlo, cita al suo uditorio vari buoni esempi di neri che sono diventati dei grandi (pag. 142). (http://lelejandon.blogspot.it/2014/11/the-help-lezione-sulla-compassione_14.html). 
In un altro suo sermone (il 5), MLK ricorda altresì che nella storia sono sempre state "le minoranze creative" a creare un mondo migliore (come il suo stesso movimento per i diritti civili).

Lo Studio come antidoto alla Noia

La spiaggia di Gdynia in Polonia.
Per Fox la lettura e lo studio sono importanti: dice che gli è piaciuto molto uno slogan pubblicitario

"Smetti di lagnarti e leggi!"

e definisce così lo studio:

"Lo "studio", che io considero l'attività ordinata della nostra santa curiosità, è una componente essenziale per restare vivi e creativi, e per resistere al cinismo" (che letteralmente significa "abbaiare contro", "Creatività", pag. 78).

Il filosofo Montesquieu (1689 - 1755) scrisse nei "Pensées" ("Pensieri"):

"Lo studio è stato per me il rimedio sovrano contro i dispiaceri della vita, giacché non ho mai avuto un dolore tale che non mi sia passato con un'ora di lettura"


E quando Fox dice che dobbiamo studiare "con sudore, proprio come ci tocca fare per mantenere sano il nostro corpo" col jogging e la palestra, fa un paragone che è lo stesso usato dallo psicologo Daniel Goleman per definire l'attenzione come muscolo della mente (vedasi la mia recensione al libro "Focus. Perché fare attenzione ci rende più felici": http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/allenare-lattenzione-muscolo-della.html).
Nel film "Billy Elliott" il protagonista è un ragazzino 11enne iscritto
dal padre al pugilato; quando scopre la passione per la danza classica,
frequenta i corsi dell'insegnante (il Premio Golden Globe Julie Walters)
sinché si scontra con il pregiudizio negativo del padre e del fratello
che associano la danza alla loro visione negativa dell'omosessualità.

Mi viene in mente che proprio uno dei suoi punti di riferimento, Tommaso d'Aquino (1225 - 1274), aveva scritto una "Lettera sul metodo di studio" ad un suo confratello, l' "Epistola de modo studendi", in cui invitava ad evitare distrazioni, chiacchiere e fare silenzio attorno per studiare in pace. Oggi, il teologo italiano aggiungerebbe alle sue raccomandazioni quella di spegnere sempre il cellulare (e non lasciarlo acceso senza suoneria, come fanno tanti studentelli in biblioteca incapaci di autentica concentrazione e continuamente distratti dalle vibrazioni dei messaggini).
Donde si può trarre ispirazione per la nostra creatività? Secondo Fox dal "prestare attenzione" dinanzi all'esperienza sinestetica della "bellezza in divenire della natura", imparare a non darla per scontata, come gli allievi del Tao che "andavano a passeggio" proprio per contemplarla, amare gli alberi (la menorah, il candelabro ebraico a sette bracci, rappresenta proprio l'Albero della Vita): è la Via Positiva
Mi viene in mente il bel libriccino di Herman Hess (1887 - 1962) "Il canto degli alberi" (Guanda, Parma 1992, mia edizione del 2012) ove lo scrittore tedesco descrive non solo la storia degli alberi che hanno accompagnato la sua vita ma anche i vari sentimenti fra cui di rispetto reverenziale ed amicizia che hanno suscitato in lui faggi, tigli, castagni, pioppi e ciliegi.

Poi, dinanzi al nostro dolore morale, quando càpita,

"non negarlo e non fomentarlo, ma stare insieme al dolore, lasciare che il dolore sia dolore e chiedere che cosa ha da insegnarci" (pag. 166)

come insegna il buddhismo (Via Negativa). Ne segue la Via Creativa: immaginazione, intuizione ma anche autodisciplina e metodo di studio:

"Solo perché gli artisti lavorano adoperando l'emisfero destro ed esercitano sino in fondo le proprie intuizioni, ciò non significa che il lavoro compiuto utilizzando l'emisfero sinistro non sia importante. In realtà, senza un lavoro di studio e di apprendimento, l'artista potrebbe essere privo sia degli strumenti del suo mestiere che della consapevolezza di che cosa dire, di quali tematiche trattare e di quali storie raccontare che ci parlino del dolore della nostra specie in un'epoca e in una cultura specifiche" ("Creatività", pag. 170)

"Scrivere per me è un modo meraviglioso per imparare. Scrivo perché la disciplina che necessita è buona per la mia mente; la mantiene in forma, giovane e viva. Scrivo per la gioia che c’è nel dare vita. La scrittura, assieme alla lettura e allo studio che si accompagnano ad essa, sono per me esperienze di gioia. Lo Spirito giunge a me quando scrivo e imparo” ("Creatività", cit., pag. 78).

Matthew Fox conosce e ci testimonia di questi momenti di gioia creativa ("Dove c'è gioia, lì c'è creazione" (dicono le Upanishad, pag. 71):

"Quando smarrisco ogni percezione del tempo e perfino dello spazio...questo mi suscita una gioia grandissima" ("Creatività", cit., pagg. 70 - 71).

Il libro dello psicologo e filosofo ungherese

Questa è esattamente la definizione che lo psicologo e filosofo ungherese contemporaneo Mihaly Csikszentihalyi dà al proprio concetto di "stato di flusso" (Flow): quando noi facciamo un’attività che ci assorbe perché ci piace, ancorché faticosa, ci diviene dolce. Questo va ricordato quando si sceglie una scuola ed una professione: si deve seguire la passione. (cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/allenare-lattenzione-muscolo-della.html).
Come si vede, questa gioia che fa perdere la cognizione del tempo è l'esatto contrario della noia come senso di dilatazione del tempo.  Siamo nello stato di flusso quando affrontiamo una sfida stimolante.  
Nella sua esortazione a realizzare la nostra creatività, essenza della nostra umanità, Matthew Fox cita anche la genitorialità (diritto negato alle coppie di persone gay, cfr. il mio articolo http://lelejandon.blogspot.it/2014/12/le-famiglie-felici-si-rassomigliano.html):

"Non è forse questa una forma d'arte? L'essere genitori non richiede ogni grammo di creatività che è in noi? Ciascun bambino ha la sua personalità, il proprio modo di essere approcciato, la propria forma di comunicazione. Noi ci adattiamo. Apprendere l'arte di essere genitori è per noi un processo. E in esso impariamo anche a conoscere noi stessi: i bambini tirano fuori il meglio e il peggio di noi. (...) L'essere madre è una forma d'arte esattamente come l'essere padre" (pag. 211).
"Maternità" (1954) del pittore ebreo Marc Chagall (1887 - 1985)
è stato in mostra a Milano

Purtroppo nel nostro Paese, a causa delle ragioni economiche spiegate dal libro di Chiara Saraceno "Cittadini a metà. Come hanno rubato i diritti agli italiani" (Rizzoli, Milano 2012) questa forma di creatività è repressa sino alla crescita zero: vi sono tanti giovani che finita l'Università vorrebbero fare dei figli ma sono impediti dalle condizioni del mondo del lavoro. 
Fox invita ad essere creativi in cucina (conosco persone che sanno fare creative varianti alle ricette), ad imparare a parlare in maniera creativa, come consiglia David Paladin, e a fare l'amore con creatività, ad esempio imparando l'arte Tantra che salva non solo le coppie amorose bensì anche le famiglie. 
Una mia amica, Nadia, ha scelto di fare un corso di danza del ventre, e se ne infischia di chi pensa male.
Secondo il filosofo contemporaneo Alain de Botton anche viaggiare è un'arte e dobbiamo riscoprire una nuova maniera di visitare le città europee ispirandoci alle suggestioni dei grandi artisti che le hanno amate (cfr. il suo libro "L'arte di viaggiare", Guanda, Milano 2005).
Sempre parlando del film "The Help" ho citato un sermone (il numero 18)  di Martin Luther King Jr intorno al tema della paura che inibisce la nostra creatività (http://lelejandon.blogspot.it/2014/11/the-help-lezione-sulla-compassione_14.html).

“La paura è l’elementare sistema d’allarme dell’organismo umano che avverte dell’avvicinarsi dei pericoli e senza il quale l’uomo non sarebbe potuto sopravvivere. La paura, inoltre, è una potente forza creativa. La paura dell’oscurità ha portato alla scoperta del segreto dell’elettricità; la paura del dolore ha portato ai meravigliosi progressi della scienza medica; la paura della guerra è stata una delle forze che hanno dato origine alle Nazioni Unite” “La paura normale ci protegge; la paura anormale ci paralizza. (…) Il nostro problema non è di liberarci dalla paura, ma piuttosto di imbrigliarla e dominarla”.

Esiste dunque una “paura normale” ed una “malattia della paura”. Dobbiamo indagare le cause psicanalitiche delle nostre paure nevrotiche e “anormali” e “possono essere curate con la psichiatria” (pag. 225) come la “paura della superiorità degli altri, del fallimento, del disprezzo e della disapprovazione” (pag. 224). Cita il teologo Paul Tillich (che è stato maestro di Rollo May) che definisce il coraggio come affermazione di sé a dispetto di ciò che lo impedisce (come la paura della morte, a cui noi possiamo aggiungere la paura e il disgusto di tutto ciò che ci richiama alla mente la nostra mortalità): quest’autoaffermazione non è egoismo, bensì “un retto amor di sé” (cfr. sermone 8). Lo psicanalista tedesco Erich Fromm (1900 – 1980) ha dimostrato che

"la giusta specie di amore di sé e la giusta specie di amore degli altri sono interdipendenti” ("La forza di amare", cit., pag. 220).

Non a caso Fromm era di origine ebraica e la Bibbia ebraica invita proprio a questo comandamento:

“Ama il prossimo tuo come te stesso”
(Levitico 19: 18, ricordato nei Vangeli dall’ebreo Gesù come il più importante fra i dieci).

“Una fede religiosa positiva non ci offre l’illusione che noi possiamo essere esenti dal dolore e dalla sofferenza, né c’infonde l’idea che la vita sia un dramma di puro conforto e tranquilla agiatezza: c’infonde, piuttosto, l’equilibrio interiore necessario per affrontare sforzi, pesi e paure che s’incontrano inevitabilmente, e ci assicura che l’universo è degno di fiducia e che Dio se ne prende cura” (pag. 226). “La fiducia che Dio si prende cura dell’individuo è di tremendo valore nel curare la malattia della paura, perché ci dà un senso di dignità, di appartenenza, e di essere a casa propria nell’universo” ("La forza di amare", cit., pag. 229).

Ecco l'elencazione delle paure che reprimono, inibiscono la nostra creatività secondo Matthew Fox:
 
"GAY ED EBREI, LE DUE FORZE CREATIVE DELLE NOSTRE CITTA'".
Secondo la scrittrice Susan Sontag (1903 - 1994), "Ebrei e omosessuali
sono le principali forze creative della cultura urbana contemporanea".  
- Paura della propria omosessualità che si paleserebbe attraverso la realizzazione della propria creatività (o, addirittura, della paura di essere creduti omosessuali: si pensi se Billy Elliot, il ragazzino inglese cui è stato dedicato l'omonimo film, avesse rinunziato a danzare facendosi scoraggiare dalle irrisioni dei coetanei); Fox dice nella sua intervista nel libro di Paolo Rigliano ("Gesù e le persone omosessuali", edizioni La Meridiana, 2014): “La persona omosessuale ha una creatività molto forte. E’ assolutamente ovvio che le persone omosessuali hanno prodotto una quantità di creatività nel mondo più alta rispetto alle altre persone (…) Moltissimi dei geni della razza umana sono stati gay o lesbiche, da  Emily Dickinson, a Leonardo, a Michelangelo”. Lo psicanalista svizzero Carl Gustav Jung (1875 - 1961), nella sua conferenza dal titolo "Il problema amoroso dello studente" (Università di Zurigo 1924) parlava dei carismi delle persone omosessuali che ha conosciuto fra i suoi pazienti in analisi: spirituali e portate per l'insegnamento;

"Ebrei e omosessuali sono le principali minoranze creative della cultura urbana contemporanea. Creative nel senso più vero del termine: sono creatori di sensibilità. Le due forze pionieristiche della sensibilità moderna sono la serietà morale degli ebrei e l'estetismo e l'ironia degli omosessuali", notava la scrittrice americana Susan Sontag (New York 1903 - 1994) nel libro "Così viviamo ora" (La Tartaruga, Milano 1996, edizione originale americana 1986)


- Tristezza, melanconia;

- Paura del "prezzo da pagare", della solitudine morale per opere rivoluzionarie che non verrebbero subito comprese (come sappiamo dalla storia dell'arte);

- Paura della morte: il creativo invece non nega la morte, perché é "una persona che desidera lasciare dietro di sé un dono" (come dice Otto Rank) perché sa che uscirà di scena; la creatività, dice Rollo May, é "desiderio d'immortalità, di vivere oltre la propria morte";

- Bisogno di controllo/autocontrollo, incapacità di lasciarsi andare;

- Mancanza di fede in sé stessi: sentirsi falliti/paura del fallimento e rifiuto;

- Mancanza di risorse finanziarie per comprare il tempo libero;

- Timidezza;

- le frasi - killer di certi insegnanti che ti dicono che sei negato per una certa arte, anziché incoraggiarti a riprovare;

- Autocompassione, vittimizzazione che mi fa cedere ad altri il mio potere (genitori disfunzionali, politici repressivi);

- Mancanza di sostegno morale da parte della mia comunità (essere considerati "strambi");

- Stakanovismo: cultura del lavoro malata, troppe ore di iper-lavoro degli workaholic;

- Mente troppo impegnata, soprappensiero;

- Proiezioni dei genitori che impongono la propria personalità sulle scelte dei figli;

- Oserei aggiungere: mancanza di autodisciplina e metodo di studio e concentrazione (di nuovo, cfr. la mia recensione al libro di Daniel Goleman http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/allenare-lattenzione-muscolo-della.html);

- Alain de Botton aggiunge il falso mito romantico "secondo cui la grandezza debba implicare una costante originalità a livello tematico" ("Del buon uso della religione", pag. 209)

"Otto Rank (...) spiega che tutte le nevrosi derivano dall'artiste manqué. In altre parole, in giro ci sono davvero molte persone (soprattutto nella nostra moderna cultura consumistica, piena di pantofolai) che non hanno sviluppato l'artista che è in loro. Questo è un disastro. A giudizio di Rank, è la causa di tutte le nostre nevrosi. Se ha ragione lui, allora ci sta avvertendo che quei pochi che hanno sviluppato la creatività sono soggetti a incomprensione, invidia e perfino violenza. Una cultura che non incoraggia la creatività in ogni suo membro è una cultura che invita la gente a maltrattare coloro che si dedicano alla creatività" ("Creatività", pag. 133)
"L'invidia" (maligna) "uccide la comunità" (pag. 134); "la gioia ha bisogno di una comunità per essere condivisa" (pag. 137).

Il filosofo americano Matthew Crawford nel suo libro "Il lavoro manuale come medicina dell'anima" (Mondadori, Milano 2010, titolo originale americano "Shop Class as Soulcraft", The Penguin Press, New York 2009) ha raccontato la propria esperienza radicale: ha lasciato il suo ben remunerato lavoro in un centro studi di Washington che l'annoiava a morte, per mettersi di propria iniziativa a fare il meccanico di motociclette, ed anche lui propone una riforma della scuola: introducendo materie manuali. Egli fa un raffronto fra la nostra generazione e quella dei nonni che sapevano riparare da sé la propria bicicletta.

****



Lo Spunto/2: La Solitudine Morale
Saper Stare anche da Soli è Creativo
Equilibrio significa sia Integrarci sia Saper Staccare
Viviamo in una Società dei Consumi 
ove quei Pochi Coraggiosi Creativi  sono incompresi 


Hyppolite Flandrin (Lione 1809 - Roma 1864), "Jeune nu assis au bord de la mer"
("Giovine ignudo seduto in riva al mare"), Musée du Louvre, Paris. 


James sa stare bene da solo, anche in silenzio, e questo è un fatto positivo: quante persone non sanno stare da sole? Dice il ragazzo nel romanzo di Cameron:



"Volevo solo un posto dove stare da solo. Per me è un bisogno primario come l'acqua e il cibo, ma ho capito che non lo è per tutti. In camera, gli altri sembravano contenti e per nulla infastiditi di non avere mai un momento per sé. Io mi sento me stesso solamente quando sono solo (...) Ci sono persone che si sentono a disagio se stanno in silenzio e si affrettano a riempirlo, pensando che qualsiasi cosa sia meglio di niente, ma io non sono così. Io in silenzio mi sento a mio agio"



Secondo Matthew Fox,

"Per essere creativi occorre imparare a sentirsi a casa nella solitudine o in un isolamento salutare" ("Creatività", cit., pag. 130), "un atto di reclusione volontaria, un atto di solitudine liberamente scelta" (pag. 132). "Il Daodejing insegna: "Gli uomini comuni detestano stare da soli" e prosegue: "Ma il Signore sa farne buon uso, accogliendo la propria solitudine, comprendendo di essere uno con l'universo intero".
L'artista che è in ognuno di noi deve "imparare a meditare. La meditazione c'insegna a non avere paura di essere soli", come ben sanno i Quaccheri che coltivano un religioso silenzio. "La tranquillità fa strada all'essere equilibrati"  (...) "Quando il successo non è controbilanciato dalla solitudine, la fama può impadronirsi dell'anima e ucciderla" (pag. 132).
"In una cultura ove regna la brutta musica e in cui il vuoto è costantemente riempito di rumori di qualche genere, bisogna adoperarsi per trovare la solitudine e per imparare a conoscerla. Questo è il còmpito della meditazione, che sta diventando sempre più importante per la sopravvivenza della mente immaginativa (...). Meditare significa focalizzare l'attenzione e concentrarsi" (pag. 134)
cfr. Daniel Goleman: http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/allenare-lattenzione-muscolo-della.html)

"E' ironico che una cultura o una persona che prova disagio a stare da sola e in solitudine finisca ben presto per sprofondare nell'isolamento. (...) L'isolamento si alimenta della mancanza di solitudine, di una sensibilità ormai intorpidita dinanzi allo stare da soli" (pagg. 134 - 135)

Quando è equilibrata una persona che ama stare da sola?
Lo psichiatra francese Eugène Minkowski (San Pietroburgo 1885 - Parigi 1972) risponde così citando lo psichiatra svizzero Eugen Bleuer (Zurigo 1885 - 1939):

"Bleuer, riprendendo le ricerche di Kretschmer, giungeva alle nozioni di schizoidia e di sintonia. Superando il campo proprio della caratterologia, egli vi scorgeva l'espressione di due princìpii fondamentali della vita. La sintonia concerne il principio che ci permette di vibrare all'unisono con l'ambiente, mentre la schizoidia designa la capacità di distaccarci da questo stesso ambiente. D'altra parte questi due princìpii, malgrado il loro carattere apparentemente contraddittorio, non si escludono affatto; indispensabili sia l'uno sia l'altro, hanno ciascuno un ruolo da compiere ed è alla loro armoniosa coesistenza che sembra dovuto il massimo di equilibrio, di felicità e di rendimento, al quale crediamo di avere diritto di aspirare. Essi cioè, lungi dal comportarsi come forze contrarie, riguardano due aspetti differenti del nostro essere, ma l'uno e l'altro altrettanto essenziali." ("Il tempo vissuto" (edizioni Rizzoli - Corriere della Sera, Milano 2011, collana La Biblioteca della Mente diretta da Vittorino Andreoli, titolo originale "Le temps vecu", 1933, pag. 74)

Si noti il linguaggio musicale del passo. Matthew Fox sostanzialmente chiama questa dialettica "radicamento" e "sradicamento", come vedremo nella nostra recensione al suo nuovo libro "Preghiera" nel nostro prossimo articolo.

****

Lo Spunto/3: le Proiezioni dei Genitori
Quei Tanti Ragazzi Italiani 
che non vogliono proseguire la Scuola

Un'altra ragione per cui James ha a noia la scuola è che lì non si legge. La Nonna chiede al nipote come trascorrerebbe il suo tempo nella casa che sogna e lui risponde proprio che leggerebbe recuperando il tempo che, paradossalmente, la scuola gli ha rubato:

"E in quella casa, cosa faresti?
"Leggerei. Leggerei tanto. Tutti i libri che ho sempre voluto leggere ma non ho potuto perché dovevo andare a scuola. E poi mi troverei un lavoro, ad esempio in una biblioteca, o come portiere di notte o roba del genere. E imparerei un mestiere, come il rilegatore, o il falegname, il tessitore, e creerei degli oggetti, degli oggetti belli e mi occuperei della casa e del giardino."
Mi attirava molto l'idea di lavorare in una biblioteca, un luogo dove la gente è costretta a parlare sottovoce, e solo quando è necessario. Magari il mondo fosse così!"

Troppi genitori, imponendo ai figli di fare la stessa strada del padre o di fare la scuola che vogliono loro (mamma e papà), commettono il peccato di proiezione psicologica (come nel caso dei genitori della futura monaca di Monza che fanno opera di persuasione occulta nel romanzo "I promessi sposi" di Alessandro Manzoni; secondo il cristiano Fox, il Cristo ci riporta alla nostra natura originaria, orientata alla compassione che ci mette nei panni del nostro prossimo e ci fa condividere le sue gioie e dolori ("Amerai il prossimo tuo come te stesso", dice Gesù di Nazaret, è il comandamento guida). E’ tipico di tanti genitori italiani che iscrivono al liceo classico (o in certe facoltà universitarie ritenute prestigiose) i propri figli per il proprio prestigio personale, senza che questi siano appassionati agli studi classici, coi tristi esiti che vediamo (“avrei tanto voluto fare…ma, sai, i miei me l’hanno impedito e così…”). Un genitore che ama in maniera incondizionata suo figlio lo lascia libero di seguire la sua vocazione, senza (pre)giudizi. L'unica guida dovrebbe essere l'invito a non sprecare i propri talenti, come insegna la parabola dei Talenti (Matteo 25, 14 - 30) e ad accettare i propri limiti. Ci chiediamo se dietro all'altissimo tasso di giovani senz'occupazione non ci sia anche questa concausa, la scelta prepotente da parte dei genitori delle scuole dei figli. Matthew Fox nel suo libro deplora la maniera con cui certi docenti incompetenti sentenziano sui bambini con frasi-killer del tipo: “sei proprio negato per quest’attività”, cose così, che mortificano sul nascere lo spirito creativo.

Scrive la sociologa Chiara Saraceno riferendosi ai Neet (Not Engaged in Employment nor in Training) italiani che non hanno né cercano un lavoro):

"(L'Italia) Non è neppure un Paese per giovani. Perché ha tassi di disoccupazione giovanile tra i più alti in Europa (...). E il non invidiabile primato della più alta percentuale europea di giovani che non sono né in formazione né sul mercato del lavoro (...). Due milioni di persone, quasi un quarto di tutti i giovani tra i 15 e i 24 anni (...) che non hanno trovato sufficienti occasioni e stimoli per investire su di sé, sulle proprie capacità. Scoraggiati dalla noia e dalla svalorizzazione sperimentati a scuola, dalla scarsa qualità, remunerazione e sicurezza del lavoro cui possono aspirare in una società in cui la mancata occupazione riguarda quasi il 30% dei giovani in quella fascia di età, dal disinteresse nei loro confronti da parte di una società in cui comunque non si riconoscono, hanno abbandonato la partita prima ancora di incominciarla"
("Cittadini a metà. Come hanno rubato i diritti agli italiani", Rizzoli, Milano 2012, pagg. 109 - 110)

Oggi quei numeri vanno aggiornati al rialzo. Fra i 27 Paesi dell'UE (dati 2012, quindi senza la Croazia), l'Italia è al 24esimo posto per livello d'istruzione minima: 800.000 ragazzi/e fra 18 e 24 anni non sono andati oltre la terza media. Magari han provato a fare qualche anno alle superiori e poi hanno mollato.
Quanto a laureati, siamo al 27esimo posto: l'ultimo.
La maggioranza degl'immigrati di seconda generazione in Italia ha fretta di trovare un lavoro e non fa l'Università, e questo non va nel senso di creare una società multirazziale pluralistica che sia orientata ad una sana mobilità sociale.
La filosofa americana Martha C. Nussbaum ha scritto un libro che s'intitola "Non per profitto" per dire che còmpito della scuola è formare allo spirito critico, che è esso stesso una forma di creatività: creatività del pensiero, potremmo dire.
La scuola italiana continua a risentire del dualismo diabolico della legge Casati (dal nome del ministro della Pubblica istruzione Gabrio Casati della Destra storica) di 150 anni fa (1859, nel Regno Sabaudo, poi estesa all'Italia), che separava scuola del pensiero (Liceo) da quella delle mani (Istituti Tecnici), emisfero sinistro ed emisfero destro.  Entrambi i tipi d'indirizzi scolastici sono limitati e limitanti.
C'è un altro esempio clamoroso di creatività negata nel nostro Paese ove non ci sono pari opportunità: molti ragazzi che aspirano a diventare medici sono rifiutati perché vigono test di accesso estremamente controversi e debbono rinunziare a studiare medicina in Italia.
Ho già parlato nel mio articolo dell'alienazione prodotta dalla mancanza di autentici maestri che rendono "La società orfana" come dice il titolo del libro (sottotitolo: "Trattato religioso-sociologico", edizione italiana a cura dell’associazione culturale “Carlo Cattaneo”, Pordenone 2007, prima edizione olandese Bruna, Utrecht 1995), del sociologo olandese Pim Fortuyn (http://lelejandon.blogspot.it/2014/10/ri-creare-un-senso-di-comunita-e-una.html).
I ragazzi di oggi crescono senza autentiche guide, né in famiglia né a scuola, né in politica.
I ragazzi olandesi, prosegue Fortuyn (docente universitario), sono ignoranti nella storia nazionale e quindi crescono senza un’identità, “allevati come orfani” ed “ignari di cosa significhi aver avuto una guida e formare una comunità” (pag. 152). Invece, “un buon docente” è un educatore che “sfida l’allievo ad identificarsi con lui e ammirarlo oppure a contrastarlo e respingerlo. Entrambi gli atteggiamenti sono formativi” (pag. 147) anzi si susseguono: “attraverso un doloroso processo l’allievo si affranca dal maestro e va per la sua strada. Trascorso qualche tempo, ed avendo accumulato esperienza autonoma in questa sua Alleingang solitaria, l’allievo saprà riconoscere il valore del vecchio maestro e apprezzare, con un giudizio reso equilibrato dall’esperienza, ciò che questi ha significato. Da quel momento l’allievo è indipendente e maturo per essere a sua volta maestro. Rimane un talento concesso a pochi. Ecco perché la maggior parte di noi ricorda per tutta la vita quell’uomo o quella donna che ha avuto il talento di aprire il nostro cuore e la nostra anima, e conquistarli” (pagg. 147 – 148). Che tipo era Fortuyn come prof? Egli era soprannominato “Il Macellaio” perché rispediva via dopo cinque minuti chi non aveva studiato. Il suo esame, dopo una verifica preliminare della bibliografia, consisteva in una disputa accademica studente-vs-prof ove Fortuyn premiava l’originalità e il pensiero critico cioè creativo (quello che il poeta greco Esiodo chiamava noéin heautò, il “pensare da sé”, quel pensiero esplorativo di cui parla anche Jonathan Haidt nel suo libro "Menti tribali" da me recensito sul Blog, di contro alla tendenza al pensiero confermativo di chi non vuole valutare il punto di vista degli altri).
Anche il filosofo de Botton invita a recuperare un ideale di formazione e non solo istruzione, citando il filosofo liberale John Stuart Mill (1806 – 1873) il quale diceva che “Il fine delle Università è produrre esseri umani capaci e istruiti”, scopo di cui parla anche Martha Nussbaum nel suo “Cultivating Humanity. A Classical Defense of Reform in Liberal Education” (Harvard University Press 1997) ove indica lo scopo della liberal education (istruzione classica) proprio nel far sviluppare nei giovani l’empatia e l’immaginazione narrativa (imaginative empathy). Eppure, dice de Botton, anche i laureati in materie umanistiche risultano “eticamente confusi”, nonostante nei bei Commencement speeches, cioé i discorsi pronunziati alle cerimonie di apertura degli anni accademici identifichino l’istruzione liberale con l’acquisizione della saggezza e conoscenza di sé (“prendi consapevolezza di te stesso”, diceva il motto del tempio di Apollo a Delfi citato spesso da Socrate nei dialoghi di Platone). E la tragedia è che, “quando si sentono chiedere perché la gente dovrebbe disturbarsi a studiare storia o letteratura, trovano la domanda impertinente, e spesso non rispondono” (pag. 97): insomma, non sanno giustificare (logon didonai, “render ragione”, direbbe Platone) il perché abbiano scelto di fare studi classici. Mi è capitato di sentire un critico letterario che ha scritto un volume di ottocento pagine e la giornalista gli chiedeva perché valga la pena studiare Ovidio oggigiorno (che è proprio l'autore citato sin dal titolo da Cameron): il suo lungo tergiversare senza colpire nel segno è durato dieci minuti e non avrebbe convinto nessun ragazzo!
Secondo Matthew Fox dobbiamo insegnare a scuola etica ed astronomia e stimolare le varie forme di creatività:

"L'arte è una risposta alla disoccupazione" ("Creatività", cit., pag. XV)

****

Lo Spunto/4: la Crisi dell'Arte
Gelide Didascalie e assenza di Spiritualità

Nel romanzo e nel film, il protagonista lavoricchia nella galleria di "arte contemporanea" della madre (ove non entra mai nessuno) che espone come "opere" le pattumiere di un anonimo artista giapponese. E' una metafora della crisi d'ispirazione creativa di molta arte contemporanea.
Nel suo libro "Creatività" (pag. 84), Fox denuncia la mancanza, nel sistema del filosofo moderno Cartesio, che con la sua "filosofia del controllo" (che riduce il cosmo ad un meccanismo) ha dominato l'età moderna e di cui si sentono le conseguenze ancora oggi, di una "filosofia dell'estetica". Dopo la rivoluzione industriale, il Bello è riservato ai ricchi (che hanno il tempo libero), mentre dominante è l'efficientismo. Gli artisti moderni

"abbandonarono il significato profondo dell'arte, che è l'arte per amore della comunità" (pag. 87)

sostituendola con un'art pour art  od amore della fama.
Il filosofo Alain de Botton, il sociologo olandese Pim Fortuyn (1948 – 2002) e l'antropologa Camille Paglia hanno posto il problema di questo vuoto d'ispirazione ed il bisogno di arte autentica.
Noi milanesi lo conosciamo bene, visto che abbiamo dovuto subire il dito medio di Cattelan (laurea honoris causa in sociologia!) in Piazza della Borsa. Scrive Fortuyn:

“Mai come nell’arte dei nostri giorni si è vista tanto spesso tanta ingrigita vacuità, bruttezza e solitudine” (“La società orfana", pag. 267)

Non abbiamo più, spiega il sociologo, un artista autentico che ci indichi una direzione.

“La noia domina”,

denunciava Fortuyn, anche in letteratura: gli scrittori non sanno affrontare le tematiche di attualità (pag. 268). L’arte, spiega il filosofo de Botton, ha un’origine religiosa ed è stata brava la Francia rivoluzionaria che dopo aver separato Stato e Chiesa ha fondato il Louvre: un Tempio laico dell’Arte (saccheggiando le chiese cattoliche del Paese e, durante le campagne di Napoleone, i monasteri e le cappelle di tutta Europa). Il problema è che le gelide didascalie dei musei non ci aiutano affatto a capire il senso profondo delle opere d’arte. Così de Botton descrive le facce di chi ha appena “visitato” un museo, senza strumenti:

“Rassomigliano ai partecipanti delusi di una seduta spiritica fallita” (“Del buon uso della religione. Una guida per i non credenti", Guanda, Parma 2011, pag. 186).

Sulla stessa linea di analisi si colloca la sociologa ed antropologa americana (con radici italiane) Camille Paglia (University of Arts di Philadelphia) che c'invita tutti all'autoeducazione a guardare con attenzione:

“Benché io sia atea, non posso non notare che l’umanesimo laico si sia infilato in un vicolo cieco: sinché gli artisti non recupereranno la propria spiritualità, l’arte non rivivrà. Per me l’arte è una religione, una filosofia che ho appreso da Baudelaire ed Oscar Wilde. Ma nel mondo artistico “religione” suona come una parola blasfema: questo è il motivo per cui gran parte dell’arte contemporanea è vuota e insensata. Tutto il mondo oggi è aggressivamente preso d’assalto da immagini intermittenti e messaggi intrusivi sul web o sul proprio smartphone. Io adoro Internet, ma siamo di fronte a una grave crisi culturale: le giovani generazioni sono invase e imprigionate da questo eccesso, da questa proliferazione d’immagini, e stanno perdendo la capacità di pensare, ragionare e giudicare" (come diceva Giovanni Sartori: cioé, appunto, il pensiero creativo, critico) "Il mio libro “Seducenti immagini. Un viaggio nell’arte dall’Egitto a Star Wars” (il Mulino, 2014, 35 euro) è nato proprio per rallentare, focalizzare e disciplinare lo sguardo, rieducare l’occhio attraverso la contemplazione dell’arte: bella, equilibrata e complessa.”
(Intervista rilasciata alla “Domenica” de “Il Sole 24 Ore”, domenica 23 marzo 2014, pag. 22).

La suddivisione meramente cronologica nei musei, dice de Botton, non ha senso e ci fa perdere il senso delle opere (pagg. 213 – 214) sicché dobbiamo ricreare, “reinventare gli spazi” (pag. 214). Per definire l’Arte cita Hegel (1770 – 1831), il quale scrisse nell’”Estetica” che essa è “l’apparire sensibile dell’Idea”:

“Abbiamo bisogno dell’arte perché siamo estremamente smemorati” e abbiamo bisogno di “un’opera d’arte che ci afferri attraverso i sensi” e che magari ci ricordi che “l’amore è al centro della nostra umanità” (pag. 189). “Gli atei potrebbero trarre ispirazioni dai cicli mariani e prendere in considerazione l’idea di affidare ad artisti contemporanei il còmpito di ritrarre "I sette dolori dell’essere genitori", "I dodici dolori dell’adolescenza" o "I ventuno dolori del divorzio (pag. 194, che sono fra l'altro tutti temi presenti nel film "Un giorno questo dolore ti sarà utile"): “Rabbia adolescenziale, depressione post partum, crisi di mezza età: i nuovi cicli laici della sofferenza potrebbero incentrarsi su queste fasi” (pag. 196). Il filosofo esorta a “rafforzare il concetto che essere umani è soprattutto condividere la vulnerabilità alle disgrazie” (pag. 198): “Dipendiamo dagli artisti per orchestrare momenti di compassione, per sollecitare regolarmente la nostra solidarietà” (pag. 200).

Esattamente ciò che ci diceva (ricordate?) Matthew Fox, saper indovinare i temi giusti, socialmente utili:

"Solo perché gli artisti lavorano adoperando l'emisfero destro ed esercitano sino in fondo le proprie intuizioni, ciò non significa che il lavoro compiuto utilizzando l'emisfero sinistro non sia importante. In realtà, senza un lavoro di studio e di apprendimento, l'artista potrebbe essere privo sia degli strumenti del suo mestiere che della consapevolezza di che cosa dire, di quali tematiche trattare e di quali storie raccontare che ci parlino del dolore della nostra specie in un'epoca e in una cultura specifiche" ("Creatività", cit., pag. 170)

Secondo de Botton, lo scopo dell'arte è:

“incoraggiare la repulsione verso il male e suscitare l’amore verso il bene” (pag. 204).

Il filologo tedesco Jaeger diceva nella “Paidéia. La formazione dell’Uomo Greco” (1944; Bompiani, Milano 2003, pag. 89) che

“i valori (…) non divengono (…) d’efficacia suggestiva se non in quanto eternati dall’arte”.

E devo aggiungere una postilla alla considerazione di de Botton secondo cui

“in campo artistico, poche dottrine si sono rivelate dannose come il precetto romantico che la grandezza debba implicare una costante originalità a livello tematico” (pag. 209):

insomma, il mito dell'originalità a tutti i costi; il fatto che questa filosofia abbia generato la moderna cultura della droga per cui molti cadono nella tentazione di sperimentare droghe varie al fine di creare cose nuove provando sensazioni nuove.

****

Lo Spunto/5: L'ausilio della Psicanalisi
 

Per bocca del protagonista James, Peter Cameron nel suo romanzo fa una critica ad un certo modo di fare psicanalisi. Il ragazzo osa chiedere alla sua analista (dalla quale l'han mandato i genitori) con quale autorevolezza si ponga se non dimostra una minima cultura filosofico-letteraria (che, secondo la filosofa Martha Nussbaum, sviluppa l’immaginazione narrativa, la capacità di mettersi nei panni del nostro prossimo, l'empatia e la compassione):

“Come mai non ha neppure un romanzo?”
“Cosa?” ha fatto.
Con la testa ho indicato la libreria dietro di lei.
“Non c’è narrativa sugli scaffali. Mi chiedevo perché”.
Si è voltata a controllare come se le avessi detto una bugia. Poi ha detto: “Perché me lo domandi?”
“Deve proprio farmi una domanda? Non può soltanto rispondere?”
“Siamo nel mio studio” ha detto “nel posto in cui lavoro. E tengo i libri inerenti alla mia professione” 
("Un giorno questo dolore ti sarà utile", Adelphi, Milano 2007, pag. 83, capitolo 7)



Come diceva lo scrittore Cicerone (106 – 43 a.C.),

“una casa senza libri è come un corpo senz’anima”.

Anche il filosofo Alain de Botton critica certe maniere di presentarsi degli psicanalisti, che dovrebbero ripensare i

"dettagli minimi ma evidentemente fondamentali, come la formulazione del messaggio sulla segreteria telefonica del terapeuta, il suo modo di vestire e l'arredamento dello studio. I pazienti devono sopportare una serie di variazioni sul tema, che vano dagl'incontri casuali con l'animale domestico o i figli del terapeuta, ai rumori delle tubature, al mobilio raffazzonato" ("Del buon uso della religione. Una guida per i non credenti", Guanda, Parma 2011, pag. 255)

Ecco perché è importante scegliere come psicanalista una figura che abbia una buona cultura umanistica e sia dunque più empatico.
Il grande psichiatra e psicanalista ungherese di origine ebraica Sándor Ferenczi (1873 - 1933) criticava proprio questo errore di metodo della mancanza di empatia, della freddezza e del distacco, ragion per cui si staccò dall'ortodossia freudiana:



"La situazione dell'analisi, quella fredda riservatezza, l'ipocrisia professionale e l'antipatia per il paziente che si nascondono dietro di essa, e che il malato avverte con tutto sé stesso, non è sostanzialmente diversa dallo stato di cose che un tempo, ossia nell'infanzia, lo aveva fatto ammalare" ("Confusione delle lingue tra adulti e bambini" apud "Fondamenti di psicanalisi", vol. III, Guaraldi, Rimini 1974; ediz. originale tedesca 1932)



Secondo lo psicologo e sociologo ebreo di origine rumena Jacob L. Moreno (1889 - 1974), la creatività è parte integrante della natura umana: la chiave del benessere personale è vivere un'esistenza creativa. Poiché l'essere umano è essere sociale che vive in relazione, la creatività sboccia nelle relazioni. Moreno intuì come la recitazione e l'improvvisazione fossero un mezzo per promuovere la salute mentale, uno spazio per esplorare le emozioni mediante il giuoco (cfr. Jeremy Rifkin, "L'età dell'empatia", Mondadori, Milano 2010, mia edizione del 2013, pagg. 368 - 369). 

****



Lo Spunto/6: altri Film sul tema della Creatività
Il Premio Oscar Julianne Moore nel film "The English teacher"




The English Teacher è un altro film che propone il tema della creatività e della trasformazione di sé stessi. Parla di un’insegnante d’inglese del Kentucky, Linda Sinclair, una single 45enne che svolge con passione il suo lavoro ed è interpretata dal Premio Oscar Julianne Moore, che s’imbatte, per caso, in Jason, un suo ex allievo che era uno dei migliori nel fare le composizioni e che si è appena laureato in drammaturgia alla NYU con un proprio dramma originale come tesi. La signorina Sinclair trova il giovane infelice e demoralizzato perché non ottiene il sostegno del padre per il suo sogno di drammaturgo: il genitore vorrebbe che studiasse per il test d’ammissione alla facoltà di legge per avere un posto di lavoro sicuro. La donna, che è una gran lettrice, chiede all’ex studente di poter leggere la sua opera: si commuove e se ne innamora. Sapendo che l’opera vale e che l’autore non merita di diventare un artista fallito, la prof gli propone di renderla lo spettacolo di fine anno del gruppo di teatro del liceo ove insegna con l’ausilio del collega Carl, teatrante mancato: per farlo deve fargli opera di convincimento (“Non darla vinta a tuo padre!”). 
Il Premio Oscar Jennifer Lawrence
con Bradley Cooper nel film
"Il lato positivo".

La propone al preside ed il giovane autore aiuta il cast a capirla e ad interpretarla nelle prove. E sarà lei, la prof che ha sempre e solo letto ma mai scritto in vita sua, a diventare creativa scrivendone il nuovo finale affinché sia approvato dal preside (sicché sarà come se lei e il suo ex allievo l’avessero scritta a quattro mani)! Anche in questo film ritornano i seguenti temi:


- La Creatività: la professoressa non solo per la prima volta scrive qualcosa, il finale dell’opera (perché il preside non accetta il finale originale), ma, dopo quest’esperienza, introduce nuovi metodi d’insegnamento per stimolare i suoi ragazzi e ragazze (proponendo come còmpiti per casa agli allievi di scrivere un finale diverso alle trame dei Classici letti in classe).

- Il peccato di Proiezione: quando i genitori proiettano sui figli le loro speranze ed ambizioni, anziché lasciarli andare per la loro strada e seguire liberamente le loro aspirazioni, commettono un imperdonabile errore provocando infelicità, frustrazioni e nevrosi (nel caso del giovane, tale ansia è somatizzata da un’ulcera di evidente origine nervosa).

- Le nevrosi del mondo moderno popolato di pantofolai annoiati e teledipendenti (come rischia di diventare il ragazzo del film nullafacente dinanzi al pc quando riceve la telefonata della prof con la proposta che gli cambia la vita) derivano tutte, come ha mostrato nei suoi studi Otto Rank dalla “sindrome dell'artista fallito” (artiste manqué).

-       lo Stato di Flusso (Flow) di cui parla il filosofo ungherese contemporaneo Mihaly Csikszentihalyi: quando la prof chiede alla studentessa che ha il ruolo da protagonista se non sia stanca, lei le risponde che le prove sono impegnative ma che ciò le piace.

-       il ruolo dell’educatore che, diceva il professor Pim Fortuyn “sfida l’allievo” ("La società orfana", cit., pag. 147) proprio come la prof, ed “è padre e madre insieme”: nel caso del giovane, la prof sostituisce il padre che non gli dà il sostegno morale e pratico del quale ha bisogno per realizzare la sua opera sulla scena. I giovani hanno bisogno d’insegnanti così, e di simili incoraggiamenti.

- Un altro bel film sul tema è "Il lato positivo" (di David O. Russell, USA 2012), la storia di un bel ragazzo sofferente di disturbo bipolare (Bradley Cooper) da poco lasciato dalla moglie. La sua vicina di casa (il Premio Oscar Jennifer Lawrence) gli propone di affiancarla nel preparare un duetto per una gara di ballo che i due prendono molto sportivamente e che finirà per diventare una vera e propria "dance therapy" che cambierà entrambi.











Nessun commento:

Posta un commento