domenica 12 ottobre 2014

“Ri-creare un Senso di Comunità e una Religione Civile”: i Professori Fortuyn, Haidt e De Botton contro l’Alienazione Sociale delle Metropoli Europee


 di LELE JANDON


In Europa, viviamo in metropoli che rassomigliano sempre di più ad aeroporti e “non luoghi” mentre dovremmo creare spazi che col loro scenario e le loro regole ci facciano provare “emozioni affratellanti” (Haidt), una “gioiosa immersione nello spirito collettivo” (de Botton). Con la perdita dello spirito religioso (le persone attive in una comunità religiosa sono più generose, fanno più volontariato e sono più felici creando un’eccedenza di capitale sociale che va a beneficio anche di estranei, dicono gli studi americani), si perde anche un’istituzione che trasmetteva dei valori comuni e si viene dunque a creare un “vuoto psicologico” (Pim Fortuyn), una solitudine che è ben difficile colmare con istituzioni alternative. Domina l’individualismo, aumentano i suicidi perché si perde la gioia di vivere: l’uomo è nato per vivere in società e in relazione.
Un sociologo olandese (Pim Fortuyn) ne “La società orfana” ed un filosofo svizzero (Alain de Botton) in “Del buon uso della religione”, analizzano questo vuoto e mancanza di gioia derivati dalla secolarizzazione (non rimpiazzata da una religione civile) ed uno psicologo politico americano (Jonathan Haidt) in “Menti tribali” mostra i benefìci collettivi delle comunità religiose. Secondo Fortuyn, vanno riformate le religioni e secondo de Botton i laici possono prendere ispirazione da cristianesimo, ebraismo e buddismo per ricreare spazi e tematiche per rispondere a questi bisogni eterni dell’anima cui sinora han saputo dare risposta solo le fedi. Con “creatività”, direbbe Padre Matthew Fox, il teologo post-denominazionale a cui interessa far risvegliare, più che la “religione”, una sana, adulta ed appassionata spiritualità da adulti.


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Nei Paesi europei, la tendenza generale della società è verso un’autonomia sempre maggiore dell’individuo” (e all’individualismo) “che a sua volta porta a una minor disponibilità alla solidarietà” (Matthew Fox direbbe “compassione”) “tutto questo si traduce in un aumentato isolamento e nel deterioramento dell’integrazione sociale”, cioè del senso di Comunità. 


Così lo psicologo americano Daniel Goleman nel suo classico “Intelligenza emotiva” (Rizzoli, Milano 2014, collana “La Grande Biblioteca della Psicologia”, pag. 7, titolo originale americano Emotional Intelligence, 1995) vede i limiti culturali del nostro Continente dalla prospettiva di un Paese che, invece, oltre ad un forte patriottismo, ha una società civile organizzata in comunità religiose, associazionismo, charity, colleges, ed una tradizione di senso di vicinato. In Europa vengono meno istituzioni come chiese, Stato e scuola, e la persona, ridotta ad individuo, si ritrova “orfana”, come diceva il sociologo Pim Fortuyn.
Il filosofo greco Aristotele, nella Politica, riferendosi alla piccola realtà delle città-stato (di poche migliaia di abitanti), definiva così il senso dello stare insieme: 

“Poiché, come si può constatare, non esiste città che non sia una Comunità e non c’è Comunità che non sussista in vista di un certo bene (del resto, ciascuno compie ogni azione in funzione di qualcosa che gli appaia buono), è indubbio che tutte vanno in cerca di un qualche bene, ma soprattutto perseguirà la Comunità che, per essere sovrana fra tutte e comprensiva di tutte, cercherà il bene che sovrasta tutti gli altri. Si tratta di quella che noi chiamiamo Città o Comunità politica” 

(corsivo mio). Ma, oggigiorno, non tutti fanno parte di una Comunità: cristiana, o ebraica, o scolastica.
E allora, in quest’analisi sociale, vorrei mettere insieme, da un punto di vista neoaristotelico (sottolineando cioè la natura sociale ed insieme politica degli esseri umani), le analisi contenute nei libri fondamentali di tre studiosi di tre àmbiti diversi: “Menti tribali. Perché le brave persone si dividono su politica e religione” dello psicologo intuizionista americano Jonathan Haidt (Codice Edizioni, Torino 2013), “Del buon uso della religione. Una guida per i non credenti” del filosofo svizzero Alain de Botton (Guanda, Parma 2011) -entrambi corredati da bellissime immagini-, e “La società orfana. Trattato religioso-sociologico” del sociologo olandese Pim Fortuyn (1948 – 2002, edizione italiana a cura dell’associazione culturale “Carlo Cattaneo”, Pordenone 2007, prima edizione olandese Bruna, Utrecht 1995).

 Come vedete, i tre libri contengono la parola-chiave “religione”, nel senso etimologico latino di “legame” sin dal titolo. Il mio saggio vuole mirare proprio a questo: suggerire di cercare una religione civile che in Italia manca.
A quali esperienze religiose fanno riferimento i tre professori? Lo psicologo morale statunitense parla soprattutto di studi fatti negli Stati Uniti (il Paese più religioso dell’Occidente ricco di varie denominazioni cristiane), ove vi è una reale laicità (separazione fra Stato e Chiesa), a differenza di Paesi concordatari come l’Italia che hanno prodotto i tre diversi fenomeni degli atei militanti (che attaccano tutte le fedi in nome della “Scienza”, spaventosamente al singolare), i sedicenti cattolici non praticanti (che si definiscono cattolici per tradizione e senza convinzione) e, terzo ma nondimeno importante, i sinceri cristiani che non vivono la dimensione ecclesiale della loro fede (ossia non frequentano confessioni e attività parrocchiali) perché non si riconoscono in varie posizioni del Vaticano; il filosofo zurighese fa riferimento alle denominazioni cristiane, all’ebraismo ed al buddismo (l’Islam fa caso a sé ed è escluso dalla sua analisi); il sociologo di Rotterdam faceva riferimento al cattolicesimo, del quale era uno spirito profondamente critico.
Vediamo allora chi sono, e quali suggerimenti possono dare alle nostre società contemporanee per riorganizzarsi in forme nuove e creative per dare vita ad una società più coesa, forte e felice.


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Lo Psicologo, il Filosofo, il Sociologo:
Tre Approcci che concordano nel riconoscere il Bene delle Fedi Occidentali


Jonathan Haidt ed Alain de Botton sono due atei liberali: l’uno psicologo sociale (con precedente laurea in filosofia), professore di Leadership etica alla Stern School of Business della New York University, l’altro filosofo che ha studiato ad Harvard ed ha fondato la School of Life di Londra (con un forte taglio psicanalitico, che valorizza i bisogni psicologici soddisfatti dai rituali delle fedi cristiane ed ebraiche donde suggerisce di trarre ispirazione e ricreare, anche in forme innovative). De Botton ha recentemente scritto un intervento sul “Financial Times” ove spiega perché noi filosofi facciamo la differenza nei cda e negli hotel grazie alla nostra attenzione alla dimensione umana.
Una rappresentazione della "Festa dei Vicini", una Tradizione in Francia.

Pim Fortuyn era un professore di sociologia all’Università di Rotterdam, poi leader fondatore di un partito, ed era un cattolico solitario che è stato capito tardi dopo un cammino di riflessione collettiva in Olanda (il suo assassino è stato liberato da poco).
Analizzerò questi loro tre libri (che valorizzano i lati positivi della dimensione religiosa e della natura sociale dell’essere umano) alla luce di due affermazioni del filosofo greco allievo di Platone, Aristotele, che definiscono la natura umana: la prima (“Politica”, 1252 a) è che “l’essere umano è per natura fatto-per-vivere-in-una-Comunità” (zoon politikon); la seconda è che lo scopo della politica è l’eudaimonia, ossia la piena realizzazione, la riuscita delle potenzialità dell’essere umano, compresi i suoi bisogni spirituali innati. Entrambe queste componenti sono oggi negate e/o minacciate da utopismi cosmopolitici e da individualismo dilagante ed è urgente recuperare un’antropologia filosofica secondo natura (Fortuyn usa spesso l’espressione: tornare ad una “misura umana”).

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1) IL SOCIOLOGO: PIM FORTUYN
Il sociologo che ha denunziato la Crisi Culturale d’Olanda 
nel saggio “La società orfana


Ho già parlato delle analisi di Pim Fortuyn, uomo politico ucciso barbaramente da un nativo olandese per le sue idee critiche nei confronti del multiculturalismo (che, ribadiamo con Giovanni Sartori di “Pluralismo, multiculturalismo e estranei”, Rizzoli, Milano 2000, distrugge la polis, nella forma liberal sinora sperimentata in Europa, che è in antitesi col pluralismo) in tutt’e tre le puntate del mio reportage da Amsterdam (http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/amsterdam-la-storia-gli-eroi-i.html, http://lelejandon.blogspot.it/2014/02/pim-fortuyn-theo-van-gogh-ayaan-hirsi.html,    http://lelejandon.blogspot.it/2014/03/senza-identita-la-paura-di-essere-se.html).
Sarebbe bello che i nostri sociologi avessero anche solo un po’ di quell’immaginazione sociologica (così brillante nelle analisi di Fortuyn rivelatisi profetiche in questo periodo), che secondo Charles Wright Mills (1916 – 1962) dev’essere il motore di ogni ricerca (“The Sociological Imagination”, 1959, edizione italiana “L’immaginazione sociologica”, il Saggiatore 1962, traduzione di Q. Maffi). Il principale cancro da lui denunciato nel suo libro, poco letto e molto frainteso, è il relativismo culturale e la crisi di un’identità nazionale. Omosessuale dichiarato, diceva di sé e della sua chiesa che si ostina a condannare l’omosessualità e crea con certe sue posizioni divisioni sociali e politiche: 

“Continuo a dirmi cattolico, nonostante frequenti ormai di rado le case di Dio della mia Chiesa. La Chiesa è troppo fossile e troppo di rado indica la direzione nella mia esistenza. Devo arrangiarmi, ed è un’impresa ardua e solitaria” (pag. 184).


Fortuyn e de Botton: “Urge una Leadership etica. 
Il buon Leader è Padre e Madre insieme”


“Le chiese (…) non sono riuscite a tenere in vita la tradizione (…). Invece di ascoltarci, e rispettarci, i responsabili della chiesa hanno imboccato la strada di un magistero dottrinario e dogmatico, incapace di vedere la tradizione come fenomeno culturale vivo. Costoro sono i rappresentanti della Chiesa morta. All’interno della Chiesa cattolica olandese questa corrente dottrinaria era ed è rappresentata da esponenti come Adrianus Simonis e Johannes Gijsen, entrambi a contraddire nei fatti la loro funzione di vescovo, che implica che essi siano pastori di tutte le pecore del gregge loro affidato. Non capendo che il vescovo è innanzitutto un servitore e deve quindi gettare ponti verso tutti coloro che appartengono alla comunità della loro Chiesa. Strani fanatici, che trascurando ogni coscienza religiosa abbandonano da solo il proprio popolo. Per evitare ogni malinteso, coscienza religiosa non significa affatto che chi riveste una carica ecclesiastica non abbia il dovere di conservare e trasmettere la tradizione. Ma al giorno d’oggi ciò può avvenire solo nella libertà. Occorre sedurre alla fede, come un abile amante. Questi esponenti della chiesa sono in fin dei conti profondamente peccatori. Peccano contro la funzione che rivestono, ma ancora di più peccano contro l’amore universale per il prossimo.” (pagg. 87 – 88).

Così Fortuyn definisce la leadership morale necessaria nelle istituzioni: 

Un vero Leader è padre e madre allo stesso tempo. Stabilisce la legge e vigila sulla coesione del gruppo. Il Leader abile è il buon pastore della Bibbia. E’ colui che stabilisce norme e al contempo getta ponti. E’ severo e misericordioso” (“La società orfana”, pag. 269).

Dunque Fortuyn dice di superare il patriarcato maschilista, che è una malattia della religione cattolica che non coinvolge le donne. Il sacerdote, l’educatore, il Papa, deve ricordarsi di essere anche madre.
Due padri gay col Presidente Barack Obama. Secondo un recente studio,
i cervelli dei neobabbi omosessuali presentano attivazione di entrambi
i circuiti cerebrali dei padri e delle madri, quello cognitivo ed emotivo.
Fortuyn scriveva proprio che le istituzioni maschiliste
come la chiesa cattolica devono riscoprire il lato materno:
"Dio è padre e madre insieme".  


Una ricerca di neuroscienze (diretta dalla neuropsicologa Ruth Feldman, già docente a Yale) dell’Università israeliana Bar – Ilan (e pubblicata su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) ha ripreso a casa loro tre gruppi di 89 persone appena diventate genitori per la prima volta nelle cure parentali e poi gli ha fatto rivedere in laboratorio le immagini mentre venivano sottoposti a risonanza magnetica funzionale (fMRI). Come controllo (baseline), gli han anche fatto vedere un video ove non comparivano i loro figlioletti.
PADRI GAY MATERNI E PATERNI INSIEME.
La neuropsicologa israeliana Ruth Feldam ha condotto
l'esperimento sui papà omosessuali. 

Le 20 neomadri etero, nel rivedere sé stesse, attivano l’area dell’amigdala (il cervello emotivo che risponde inconsciamente, quindi in maniera viscerale, ai segnali anche non verbali dei piccoli e prova una grande ricompensa nella vista del bambino) 5 volte di più che nella baseline.
I 21 neopapà attivano le aree cognitive (il solco temporale superiore) che, per esempio, permettono di comprendere le ragioni del pianto dei bébé.
Si tratta di due forme diverse di entrare in empatia coi loro figli.
Il terzo gruppo, quello dei 48 neobabbi gay (che crescono i loro figli, avuti grazie alla maternità surrogata, senza ausilio di una donna e quindi prestano le cure primarie nell’àmbito di una coppia impegnata, convivente o sposata), sviluppa entrambi i percorsi cerebrali: quelli dei padri etero e quelli delle madri etero. Sono materni e paterni insieme.
Ma hanno una marcia in più: emerge in loro l’aggiunta di una maggiore interconnessione dei due emisferi cerebrali. Una genitorialità più completa, dunque. I maschi gay che allevano i figli senza madri presentano livelli di attivazione delle aree dell’intelligenza emotiva pari a quelli delle madri che hanno recato in grembo con successo il proprio bambino (grazie a gravidanza, parto ed allattamento).
Grazie alla plasticità e sensibilità del cervello, più tempo un uomo (gay od etero) dedica come padre al proprio figlioletto, più sviluppa le aree che le donne hanno sviluppano grazie a queste tre esperienze fisiche.
Ora il prossimo step sarebbe di fare un altro esperimento in cui si studia il cervello di questi soggetti prima e dopo la nascita del bambino, per vedere se vi siano mutamenti dovuti all’esperienza o se ci fosse già una predisposizione ad una genitorialità così materna.
Insomma, altro che “voglio la mamma”, come predica un ex deputato del partito democratico.

Un partito che si fa rappresentare da una ministra della salute senza laurea la quale diffonde affermazioni pseudoscientifiche sulle famiglie omogenitoriali in Tv. Un partito che, dinanzi ad un Occidente ove 19 Stati (e 32 degli USA) hanno riconosciuto matrimoni ed adozioni ai gay,  si ostina a dire No a matrimoni ed adozioni per i cittadini omosessuali.
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Anche Alain de Botton spiega che urge una leadership etica (la materia da lui insegnata). Le persone a cui si rivolge coi suoi scritti e la sua università sono persone che si sentono limitate ed incomplete (dal punto di vista dei loro bisogni spirituali, negati, rimossi o insoddisfatti). De Botton, però, invita a scoprire un sano senso dei propri limiti umani:

“I suggerimenti di cui avremmo bisogno non solo molto complessi: perdona il prossimo, non arrabbiarti per ogni sciocchezza, prova a immaginare le cose dal punto di vista altrui…Se pensiamo di non avere bisogno di brevi promemoria diretti allora significa che ci stiamo aggrappando a una visione di noi stessi troppo sofisticata. Sarebbe molto più saggio accettare che siamo entità piuttosto elementari bisognose di essere guidate con semplicità e fermezza” (pag. 65).

Nelle nostre società “la nostra rovina sta nell’incapacità di sfruttare al meglio la libertà che i nostri predecessori ci hanno garantito, al prezzo di enormi sofferenze, più di trecento anni fa” (questo concetto del ricordare, attraverso lo studio della storia patria, con quanto sangue si sono conquistate le libertà civili, torna spesso nel libro di Pim Fortuyn).
Poi, prosegue de Botton, servono modelli di virtù, dei “santi laici” che non siano sempre e solo cantanti o stelle del cinema, bensì personaggi come Lincoln o Churchill (pag. 83).

L’Emergenza Educativa: abbiamo spersonalizzato la Scuola,
e i  ragazzi sono orfani senza Maestri

I ragazzi di oggi crescono senza autentiche guide, né in famiglia né a scuola, né in politica. Nel suo libro “La società orfana” (pagg. 145 – 153), Pim Fortuyn analizza l’emergenza educativa così evidente anche in Italia, ove regna il silenzio degl’intellettuali dinanzi alla mancanza di valori di un governo che si propone di riformare la scuola: la scuola non è più una Comunità e l’istruzione non è più formazione (Bildung, paidéia), cosa che “si realizza nel rapporto personale” (pag. 145). Magari, aggiungiamo noi con un esempio concreto, gli alunni più studiosi vengono ascoltati per lo stesso numero cronometrato di minuti di quelli che fan scena muta, per un malinteso senso di egualitarismo e buonismo verso chi non fa il suo dovere di studente. Coloro i quali avrebbero più cose da dire, ed insegnare ai compagni col buon esempio, vengono interrotti persino in sede di esame all’Università, perché i docenti han tema di essere accusati di fare “discriminazioni” verso i più bravi e meritevoli.
Nel caso olandese, a causa della Legge Mammut (dei cristiani e dei socialisti, tollerata dai liberali, proprio come in Italia la riforma Berlinguer delle sinistre fu colpevolmente tollerata dal centrodestra), tutti i gradi d’istruzione olandesi non trasmettono che nozioni, spiega Fortuyn. Persino l’insegnamento è diventato pedagogia, una metodologia senza contenuti, come una scatola vuota: si pensi, per fare un esempio italiano, alla mancanza di cultura di tutti i futuri “giornalisti” che sono usciti dalle facoltà di (cosiddette) “scienze della comunicazione”. I ragazzi olandesi, prosegue Fortuyn (docente universitario), sono ignoranti nella storia nazionale e quindi crescono senza un’identità,

“allevati come orfani” ed “ignari di cosa significhi aver avuto una guida e formare una comunità” (pag. 152). 

Invece, “un buon docente” è un educatore che 

“sfida l’allievo ad identificarsi con lui e ammirarlo oppure a contrastarlo e respingerlo. Entrambi gli atteggiamenti sono formativi” (pag. 147) 

anzi si susseguono: 

“attraverso un doloroso processo l’allievo si affranca dal maestro e va per la sua strada. Trascorso qualche tempo, ed avendo accumulato esperienza autonoma in questa sua Alleingang solitaria, l’allievo saprà riconoscere il valore del vecchio maestro e apprezzare, con un giudizio reso equilibrato dall’esperienza, ciò che questi ha significato. Da quel momento l’allievo è indipendente e maturo per essere a sua volta maestro. Rimane un talento concesso a pochi. Ecco perché la maggior parte di noi ricorda per tutta la vita quell’uomo o quella donna che ha avuto il talento di aprire il nostro cuore e la nostra anima, e conquistarli” (pagg. 147 – 148). 

Che tipo era Fortuyn come prof? Egli era soprannominato “Il Macellaio” perché rispediva via dopo cinque minuti chi non aveva studiato. Il suo esame, dopo una verifica preliminare della bibliografia, consisteva in una disputa accademica studente-vs-prof ove Fortuyn premiava l’originalità e il pensiero critico (quello che il poeta greco Esiodo chiamava noéin heautò, il “pensare da sé”, quel pensiero esplorativo di cui parla anche Jonathan Haidt nel suo libro, di contro alla tendenza al pensiero confermativo di chi non vuole valutare il punto di vista degli altri). Anche in questo Fortuyn era controcorrente, come sarebbe stato in politica. A suo tempo, Fortuyn dichiara di essere stato trattato da persona al collegio Mendel diretto dai frati agostiniani, che egli ricorda come autentici “padri”.
Anche il filosofo de Botton invita a recuperare un ideale di formazione e non solo istruzione, citando il filosofo liberale John Stuart Mill (1806 – 1873) il quale diceva che “Il fine delle Università è produrre esseri umani capaci e istruiti”, scopo di cui parla anche la star philosopher Martha Nussbaum nel suo “Cultivating Humanity. A Classical Defense of Reform in Liberal Education” (Harvard University Press 1997), come vedremo. Eppure, dice de Botton, anche i laureati in materie umanistiche risultano “eticamente confusi”, nonostante nei bei Commencement speeches, cioé i discorsi pronunziati alle cerimonie di apertura degli anni accademici identifichino l’istruzione liberale con l’acquisizione della saggezza e conoscenza di sé (“prendi consapevolezza di te stesso”, diceva il motto del tempio di Apollo a Delfi citato spesso da Socrate nei dialoghi di Platone). E la tragedia è che, “quando si sentono chiedere perché la gente dovrebbe disturbarsi a studiare storia o letteratura, trovano la domanda impertinente, e spesso non rispondono” (pag. 97): insomma, non sanno giustificare (logon didonai, “render ragione”, direbbe Platone) il perché abbiano scelto di fare studi classici. (L’altra sera mi è capitato di sentire un critico letterario che ha scritto un volume di ottocento pagine e la giornalista gli chiedeva perché valga la pena studiare Ovidio oggigiorno: il suo lungo tergiversare senza colpire nel segno è durato dieci minuti e non avrebbe convinto nessun ragazzo!).
E poi de Botton dice una cosa che mi sta a cuore, ed è attuale in una società, come quella italiana, che legge troppo poco e dove è disgustoso vedere l’abitudine diffusa degli studentelli universitari che studiacchiano su libri fotocopiati, peraltro illegalmente:

“Dovremmo essere pronti a scambiare alcuni dei nostri tascabili, che si disintegrano così facilmente, con volumi che grazie al loro peso, alla ricchezza dei materiali, all’eleganza dei caratteri e alla bellezza delle illustrazioni proclamano il desiderio che il contenuto prenda stabilmente posto nel nostro cuore” (pag. 125).

Osservazione a cui noi aggiungiamo, come diceva Cicerone (106 – 43 a.C.), che “una casa senza libri (libri belli, ben tenuti, anche vissuti e colorati e sottolineati!) è come un corpo senz’anima”.


Le Chiese recuperino il ruolo di Padre amorevole: 
il Buon Pastore è Padre e Madre”

Il sociologo di Rotterdam illustra poi ne “La società orfana” i dati di una società sempre più atea come frutto di questa deprivazione dei padri nelle chiese: negli anni Cinquanta, il 40% degli Olandesi era cattolico, ed il 28% apparteneva alle chiese riformate minori e il 18, 4 % risultava senza legami con nessuna chiesa pag. 171), nel 1993 il 40% era senza chiesa (aumento del 22%), il 32% cattolico (regresso dell’8%) e il 15% riformato-olandese (regresso del 13%). Il punto è che

La crescente secolarizzazione crea parecchi problemi per quanto riguarda la formulazione, il mantenimento, la trasmissione e la revisione di un sistema collettivo di norme e valori” (pag. 172). “A rendere orfana la società olandese ha contribuito molto la mia generazione, ma anche le Chiese hanno svolto un ruolo fondamentale. Non v’è dubbio che per il ripristino delle norme e valori collettivi, senza i quali una società non può essere tale, il ripristino del ruolo del Padre è condizione necessaria. Ritengo che per motivi storici le Chiese siano un elemento irrinunciabile a questo fine. Ma dovranno riformarsi profondamente. E’ possibile?” (pagg. 176 – 177). “Le chiese dovrebbero poter svolgere un ruolo importante e di stimolo. L’unica cosa che manca è che recuperino il ruolo del Padre amorevole. In questo modo possono contribuire a far sì che anche l’uomo moderno, nel mondo globalizzato di oggi, torni a vivere la propria comunità come comunità di esseri umani. Si tratta di una condizione necessaria per la sopravvivenza della specie umana in generale, e della comunità olandese in particolare” pag. 183)

A giudicare dal fatto che non vi è nessun mutamento a livello di dottrina nell’attuale Papato (pillola, amore gay), si direbbe che no, nel cattolicesimo non si è ancora questo ruolo di padre amorevole. Nulla di nuovo sotto il sole.


2) IL FILOSOFO: ALAIN de BOTTON

I “NONLUOGHI”
“Regna l’anonimato: sparito il buon vicinato, le nostre città sono come mega aeroporti”

NON LUOGHI. Le città europee
rassomigliano sempre di più ad aeroporti. 

Anche secondo il filosofo svizzero Alain de Botton (figlio di ebrei atei) le religioni rispondono ad un bisogno 


“che la società laica non è riuscita a soddisfare particolarmente bene: il bisogno di vivere insieme, come comunità e in modo pacifico” (pag. 10, capitolo I: “Saggezza senza Dottrina”). “L’errore dell’ateismo moderno è quello d’ignorare gli aspetti delle religioni che rimangono apprezzabili anche dopo che i loro dogmi vengono confutati”(pag. 10). “Diversamente dalla religione, l’ateismo adotta un atteggiamento di fredda insofferenza verso i nostri bisogni.”

 (pag. 151)“La società laica si è impoverita. La sfida che si presenta agli atei consiste nel separare idee e rituali dalle istituzioni che se ne sono appropriate senza averne diritto” (pag. 12)
“E’ giunto il momento di liberare i nostri bisogni spirituali dalla patina religiosa che li ricopre, anche se paradossalmente è lo studio delle religioni a fornire la chiave per riscoprire e riformulare questi bisogni” (pag. 13) “Parte della nostra alienazione sociale è attribuibile alle numerose sfaccettature della nostra personalità che non provano alcun interesse per i valori comunitari” (pag. 49), 

come le personalità che hanno in odio ogni discorso intorno alla dimensione religiosa.
Per dipingere il quadro desolante della nostra società, il pensatore elvetico adopera esempi tratti dalla quotidianità.
Per cominciare, sono passati i tempi in cui c’erano “rapporti di buon vicinato: nella società moderna, una delle perdite più sentite è quella del senso di comunità” (pag. 19) e ciò provoca “alienazione sociale” (ibidem). Tantoché, aggiungiamo noi per riportare all’attualità italiana, a Torino l’Atc (ente pubblico che gestisce le case popolari), in collaborazione col Nucleo Prossimità della Polizia Municipale, ha introdotto corsi di formazione di buon vicinato che insegnano non solo ad evitare i comportamenti scorretti più diffusi (camminare senza pantofole, musica alta, pattume cestinato in maniera errata), ma anche ad organizzare la “Festa dei vicini”. Nell’ultima puntata di “Desperate Housewives”, un serial che ha appassionato milioni di spettatori coi suoi valori di amicizia, solidarietà e umanità fra vicine di casa, la Signora MacClansky spiega ai giurati in Tribunale:

“Wisteria Lane (l’isolato ove si svolgono le avventure intrecciare delle casalinghe protagoniste e dei loro mariti, ndr) non è solo un agglomerato di case, è una Comunità”.

La "Festa dei Vicini" in Francia si svolge nel cortile oppure in strada. 

In Italia, a differenza per esempio dei nostri cugini francesi (presso cui esiste la Fête des Voisins), troppo spesso all’interno persino dello stesso condominio non ci sono autentici rapporti personali (ci si saluta in ascensore, sulle scale, ci si vede alle assemblee di condominio). 

Ciascuno di noi, in maniera creativa, di sua iniziativa, può organizzarne una nel proprio condominio o quartiere: per rompere il ghiaccio. Se non altro perché a tutti, prima o poi, un piccolo favore torna utile e una visita fa piacere, e sapere che si può fare affidamento reciproco fra vicini aumenta la qualità della vita quotidiana.
De Botton si serve di un’icastica, efficacissima immagine adoperata anche da un filosofo conservatore contemporaneo come il francese Alain Finkielkraut quando fa notare che le nostre città stanno diventando come grandi aeroporti

“Gli spazi pubblici in cui incontriamo le altre persone- il treno dei pendolari, i marciapiedi affollati, i terminal degli aeroporti- cospirano per proiettare un’immagine umiliante della nostra identità, e minano la nostra fede nell’idea che ogni persona sia il centro di una complessa e preziosa individualità”, 

spiega il membro dell’Académie française (pag. 21). 
Anche lo scorso inverno, si è parlato nel nostro Blog dell'opportunità
offerta da Halloween. 

Mi torna in mente il neologismo creato da un altro francese contemporaneo, l’antropologo Marc Augé, “Nonluoghi(con riferimento a spazi senza storicità, anonimi e frequentati da gente freneticamente in transito che non si relazionano, come alberghi, grandi magazzini e, appunto, aeroporti, cfr. “Non-Lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité”, 1992).
E allora gli architetti prendano spunto dalla religione: “Il cattolicesimo crea un senso di comunità innanzitutto con uno scenario” (pag. 25) ove “viene da pensare che quelle persone” riunite a cantare nella Messa “non hanno niente a che vedere con la gente che incontriamo nei centri commerciali o qualche tetra fermata della metropolitana” (pag. 28). Tutti abbiamo bisogno di questa “gioiosa immersione nello spirito collettivo” (pag. 30). Ma dove, per chi non crede e dunque in chiesa non mette piede se non ai funerali?

Il Ristorante “Agape”, versione laica dell’Eucaristia
L’idea dal nome greco evangelico dell’amore fraterno
Qui, come a Messa, ci si può sedere accanto a uno sconosciuto
Matthew Fox: una Comunità forte richiede Riti forti 

Non certo nei ristoranti, che sono fatti per attirare le persone in un unico spazio ma “non hanno strumenti per incoraggiarle, una volta entrate, a fare conoscenza” (pag. 34). 

RITO COLLETTIVO. La cerimonia di Ognissanti al Skogskyrkogården di Stoccolma



E allora, “possiamo immaginare un ristorante del futuro, il ristorante Agape” (dal nome greco dell’amore fraterno, parola-chiave dei Vangeli) che “dovrebbe avere la porta sempre aperta, e richiedere un modesto contributo per l’accesso” e dove si può sedersi al tavolo con perfetti sconosciuti, come nell’Eucaristia della Messa. Chi si siede, troverebbe un manuale con le regole della conversazione per parlare per intervalli di tempo specifici di argomenti predefiniti, come nelle domande rituali dell’Haggadah ebraica fatte al piccolo della casa. Sulle emozioni “affratellanti” della religione parleremo col terzo pensatore che prendiamo in analisi qui, Jonathan Haidt. Scrive Matthew Fox della sua creazione di nuovi rituali durante le sue "messe cosmiche":


"L'edificazione di anime forti e di comunità forti richiede dei rituali altrettanto forti": "Un esempio della forza che possiede il dolore collettivo è rappresentato dall'esperienza del Maafa, in cui le comunità nere trasformano le chiese in navi di schiavi e rivivono il passaggio intermedio, seppellendo gli antenati dispersi in mare durante il commercio degli schiavi e onorandone la memoria. Il rituale è il luogo naturale in cui gli artisti possono riunirsi, in cui possono lasciar andare le ferite e l'esibizionismo e in cui possono diventare donatori nei confronti della comunità più estesa" ("Creatività", cit., pag. 221)

“Psicanalisti, rivedete il vostro stile sciatto
E istituiamo una Giornata del Perdono”
Halloween è una festa di origine cristiana celtica che
piace molto ai bambini italiani: alcuni insegnanti elementari
la fanno festeggiare. Poiché consiste anche nel passare casa
per casa dai vicini, è una maniera per sviluppare una cultura
di buon vicinato che troppo spesso non è presente in Italia.

Un rituale dell’Ebraismo che merita di essere imitato, secondo de Botton, è quello del Giorno dell’Espiazione (o Yom Kippur) ove ciascuno può contattare tutti coloro che ha fatto arrabbiare, che ha umiliato, respinto o tradito e mostrare pentimento. Faccio un altro esempio io: qui a Milano, durante la Giornata della Cultura ebraica, abbiamo approfondito il tema dello Shabbat, il giusto riposo. In una metropoli stacanovista ove spesso, a causa del troppo lavoro, non si ha nemmeno un po’ di tempo per sé ed i propri familiari neanche di domenica, è utile riscoprire la saggezza ebraica che invita alla cura di sé e della propria dimensione spirituale.

Nel mio articolo (http://lelejandon.blogspot.it/2013/12/il-segreto-della-felicita-e-la.html)  relativo al libro di Padre Matthew Fox “Creatività” (Campo de’ Fiori, Roma 2013), nel  porre il problema dell’elaborazione del dolore del lutto e nel cogliere la sua esortazione a creare nuovi rituali religiosi che tocchino il cuore (visto anche che il confortare attivamente le persone in lutto è una delle opere di misericordia spirituale della Bibbia ebraica), proponevo un mio esempio personale: la romantica cerimonia luterana di commemorazione collettiva dei morti al lume di candela la notte di Ognissanti presso il bosco Skogskyrkogården di Stoccolma, la capitale della Svezia.
Nel romanzo dello scrittore americano, il
protagonista fa notare alla sua analista di non
avere l'autorevolezza per esercitare la professione
dal momento che nel suo studio regna l'assenza
dei romanzi: è la lettura che sviluppa quella
che la filosofa americana Martha Nussbaum
chiama "l'immaginazione narrativa". 
Alla psicanalisi, poi, manca la componente rituale del sacramento della confessione cattolica: gli analisti dovrebbero ripensare tutti i dettagli, dall’arredamento alla maniera di vestire (pag. 255); a me viene in mente un bellissimo passo del romanzo (donde è stato ispirato l’omonimo film da me presentato al Cineforum del Guado) “Un giorno questo dolore ti sarà utile” (“Someday This Pain Will Be Useful to You”, Adelphi, Milano 2007, pag. 83, capitolo 7) dello scrittore americano Peter Cameron, ove il protagonista, un ragazzo profondo, anticonformista ed introspettivo, chiede alla sua analista, da cui l’ha mandato sua madre, con quale autorevolezza si ponga se non dimostra una minima cultura letteraria (che, secondo la filosofa Martha Nussbaum, sviluppa la capacità dei cittadini democratici dell’immaginazione narrativa, la capacità di mettersi nei panni del nostro prossimo): 

“Come mai non ha neppure un romanzo?”
“Cosa?” ha fatto.
Con la testa ho indicato la libreria dietro di lei.
“Non c’è narrativa sugli scaffali. Mi chiedevo perché”.
Si è voltata a controllare come se le avessi detto una bugia. Poi ha detto: “Perché me lo domandi?”
“Deve proprio farmi una domanda? Non può soltanto rispondere?”
“Siamo nel mio studio” ha detto “nel posto in cui lavoro. E tengo i libri inerenti alla mia professione”.

Ma anche i romanzi sono parte integrante di una professione come quella dell’analista! Non solo i saggi di Freud e Jung.

Vorrei proporre un altro esempio personale dai miei studi classici: l’esame di coscienza che il filosofo stoico dell’antica Roma Seneca (4 a.C. – 65), come dice nel “De ira” (III, 36), praticava ogni sera senz’autocensure:

“L’animo dev’essere convocato ogni giorno alla resa dei conti (…) C’è usanza più bella di questa, di esaminare un’intera giornata? Che sonno segue quest’inchiesta su sé stessi, quanto tranquillo, quanto profondo e libero (…) Quando han portato via la lucerna e mia moglie, che conosce la mia abitudine, tace, io scruto l’intera mia giornata e controllo tutte le mie parole ed azioni, senza nascondermi nulla. Perché dovrei temere uno qualunque dei miei errori se posso dire: “Vedi, questo, di non farlo più. Quello, lo hai rimproverato con eccessiva franchezza, quindi non lo hai corretto ma offeso.”

BUONGIORNO PRIMAVERA. La preghiera
rituale del birkat ilanot nell'ebraismo loda
Dio per la bellezza della Creazione. 

Un rituale del filosofo pagano che il cattolicesimo ha ricreato a modo suo nel confessionale nella forma di un sacramento e di un colloquio con un padre spirituale. Credo che questo fare un bilancio della propria giornata (nella preghiera per i credenti, e nella forma di un autoesame laico per chi non crede) sia utile e ci dia una migliore autoconsapevolezza dei nostri limiti, dei nostri sforzi e dei nostri obiettivi. E visto che abbiamo citato il trattato di Seneca sull’ira, restando in tema, in una società litigiosa come quella italiana possiamo cogliere l’invito di de Botton a riscoprire il momento del thé che non è solo una tradizione inglese bensì un rito per i buddisti zen che aiuta a darsi una sana calmata (pagg. 126).
Quando arriva la Primavera, l’esortazione dell’ebreo de Botton è di cogliere la bellezza del rito ebraico che le dà il benvenuto (ed è in perfetta sintonia con la teologia della gioia della spiritualità del Creato del teologo interdenominazionale Matthew Fox): 


“Quand’è primavera, l’ebraismo ci coinvolge con una forza che Wordsworth o Keats non hanno mai avuto: ai primi boccioli sui rami, i fedeli si radunano all’aperto con un rabbino e insieme recitano il birkat ilanot, preghiera rituale del Talmud che loda la mano che ha creato il bocciolo (Talmud, Berakhot, 33:2):

“Che tu sia benedetto, Signore Nostro Dio, Re dell’Universo/che nel Suo mondo non ha lasciato alcuna mancanza,/ e l’ha riempito con le creature e gli alberi più belli,/per dare piacere a tutta l’umanità” (pagg. 260 – 262).

La Trasgressione che conferma la Regola:
la Festa dei Folli nel Medioevo Cristiano
Riscopriamo il dionisiaco: Carnevale e Halloween
Padre Matthew Fox: “Riscopriamo il fare Festa insieme”
Jandon: “Riscopriamo la Gioia di cantare assieme”

  Da almeno un paio di decenni (penso ad una città ormai senza gioia come Milano), non solo abbiamo perso la tradizione del Carnevale ma non siamo nemmeno mai riusciti a farci troppo coinvolgere dalla festa importata dall’America (e di origine religiosa: che affonda le sua radici nel cristianesimo celtico) di Halloween, che riteniamo roba da bambini. Eppure, dovremmo riconoscere che il nostro lato infantile (anche nella forma dell’eros saltuariamente come ludus, come giuoco) è una parte integrante della nostra natura umana. 


Allora mi pare davvero di attualità che de Botton ci ricordi come nel cristianesimo medievale, esistesse la Festa dei Folli, ove i preti giocavano a dadi sull’altare, facevano pipì giù dalle torri campanarie eccetera: era una parodia sacra, l’eccezione che riconferma la regola (di tutto il resto dell’anno). Nel 1445 la facoltà di Teologia di Parigi spiegò ai vescovi di Francia che era un evento “psicologicamente” necessario “dimodoché la follia, insita in noi come una seconda natura, possa esprimersi liberamente almeno una volta all’anno” (Capitolo II: “Comunità”, pag. 57).

 In tal senso, mi viene alla mente la saggezza cristiana del cattolico Erasmo da Rotterdam (1466 – 1536) ne “L’Elogio della Follia” (pag. 108 della mia edizione Bompiani – Corriere della Sera, collana "I Classici del Pensiero Libero", Milano 2010): “Senza follia non vi è nulla di dolce nella vita”. Per essere persone equilibrate sarà bene recuperare la componente del dionisiaco (che nella cultura greca antica si esprimeva in specifiche feste religiose) se non vogliamo essere uomini iper-razionalisti ad una sola dimensione (l’apollineo). 
"Lotta fra Carnevale e Quaresima" (1159) del pittore olandese
 Pieter Bruegel il Vecchio (1525 - 1569), Kunsthistorisches Museum, Vienna.

Come diceva Hegel (1770 – 1831) nell’”Estetica” (edizione italiana a cura di Nicolao Merker, traduzione di N. Merker e Nicola Vaccaro, Einaudi, Torino 1997, volume I, pag. 266), dobbiamo saper accogliere le contraddizioni dentro di noi, e riscoprendo la solarità mediterranea, essere capaci di ospitare sia l’apollineo sia il dionisiaco:

"L'animo dell'uomo è grande e vasto, ad un vero uomo appartengono molti Dèi, ed egli racchiude nel suo cuore tutte le potenze che sono sparse nella cerchia degli Dèi; tutto l'Olimpo è raccolto nel suo petto”.

Perciò, esorta de Botton,

Concediamo al caos un posto d’onore almeno una volta all’anno, troviamo un’occasione in cui essere momentaneamente sollevati dai due maggiori fardelli della vita laica: l’obbligo di essere razionali e fedeli. Sarebbe bello uscire per andare a una festa, fare allegramente sesso con degli sconosciuti e il mattino dopo tornare dai nostri partner, che nel frattempo avranno fatto altrettanto; sapremmo entrambi che non c’era niente di personale che è stata la festa dei folli a farci agire così” (pag. 57).

Come dice Padre Matthew Fox, “un Paese che non sa fare festa non è capace di compassione” che è “la capacità di gioire delle gioie degli altri”, non solo partecipare al dolore degli altri.
In Italia, come ci raccontano i nostri genitori o i nostri nonni e come sa chi ha almeno quarant’anni, si usava cantare insieme (Battisti per esempio) riuniti intorno ad un falò sulla spiaggia o in un picnic in un bosco. Invece si vede la gioventù di oggi spesso intenta in un chiacchiericcio in piedi (che non si capisce cos’abbia così tanto da dirsi), oppure si vedono i ragazzi isolati (dal parco alla palestra) nel loro ascolto con le cuffiette, anziché aperti agli altri, come dire: “Non rompetemi, sto ascoltando la mia musica, lasciatemi in pace”. Considerato anche il dato che ormai sempre più giovani rifiutano l’idea di andare in chiesa anche la domenica, oggigiorno non si fa più esperienza del mettersi a cantare insieme spontaneamente. E questa è una triste perdita per la nostra cultura individualistica contemporanea.

De Botton e Goleman: l’eccesso d’informazioni
a cui siam sottoposti ci toglie Concentrazione

Sia nel mio articolo sulla Spiritualità del Creato (intitolato “Il Segreto della Felicità è la Creatività, Essenza dell’Umanità”, http://www.lelejandon.blogspot.it/2013/12/il-segreto-della-felicita-e-la.html) sia nel mio articolo “Allenare l’Attenzione, Muscolo della Mente” (http://www.lelejandon.blogspot.it/2014/01/allenare-lattenzione-muscolo-della.html, recensione all’ultimo saggio dello psicologo Daniel Goleman) ho citato questo passo di de Botton che illustra (per farvi un esempio concreto di una mia iniziativa) una delle ragioni per cui ho fondato il mio Cineforum (che comprende i seguenti momenti: buffet, presentazione, visione, pausa di nuovo al buffet e dibattito con scheda di approfondimento) a Milano:

“La società laica ci lascia sin troppo liberi. Associa la ripetizione a una povertà punitiva e ci mette dinanzi a un flusso incessante di nuove informazioni, spingendoci quindi a dimenticare tutto. Per esempio, siamo tentati di andare al cinema a vedere un film appena uscito che ci commuove e suscita in noi un parossismo squisito di sensibilità, dolore e eccitazione. Usciamo dal cinema giurando di riesaminare la nostra intiera esistenza alla luce dei valori illustrati sullo schermo, e di abbandonare il nostro atteggiamento decadente e superficiale. Eppure la sera seguente, dopo una giornata d’incontri e seccature, la nostra esperienza cinematografica è ormai sulla via dell’oblio, proprio come molte altre cose che ci hanno colpito, ma poi abbiamo subito scartato” (pagg. 118  e 120).

Non a caso, i cineforum (sia pure in maniera orientata, controllata e inadeguata per sviluppare spirito critico e pensiero creativo) sono spesso organizzati dalle parrocchie: un luogo comunitario.
Il Cineforum gratuito ideato da Lele Jandon 
Il mio appuntamento mensile riscuote un grande successo soprattutto fra i non credenti i quali mi dicono di trovare in questo pomeriggio di emozioni e riflessioni e amicizia un momento unico nel suo genere in cui approfondiamo tematiche spirituali.
Più in generale, nella nostra società d’individui iper-connessi, che non riescono a staccarsi dal controllare l’ultimo messaggino persino al lavoro o la domenica o durante le vacanze, per de Botton (e Goleman) il bombardamento d’informazioni (e pseudo notizie) che non sappiamo selezionare con “filosofia” ci rende meno intelligenti perché incapaci di concentrazione tanto che Giovanni Sartori dice che è a rischio la specie Homo Sapiens Sapiens perché dalla cultura scritta siamo passati all’Homo videns (http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/allenare-lattenzione-muscolo-della.html):

“Uno dei disastri dell’epoca moderna è che l’accesso alle informazioni, ormai senza precedenti, ci ha privato della capacità di concentrarci a lungo su qualcosa” (pag. 232)

perciò dobbiamo ricreare gli spazi per il tempo libero dedicato alla riflessione, la scholé greca e lo Shabbat ebraico, e su questo devono lavorare sia gli architetti sia, per quanto concerne le nostre vacanze, gli operatori del turismo affinché le nostre ferie siano feconde:

“Abbiamo bisogno di agenti di viaggio psicologicamente acuti, capaci di analizzare attentamente i nostri problemi e proporci come mete parti del mondo che potrebbero curarci” e proporci “una visita a un santuario locale laico” (pag. 240).

Oggi i laici sentono magari senza consapevolezza la mancanza di luoghi di ritiro spirituale che non siano terme e hotel di lusso, che danno “distrazione mentale” ma non soddisfano i bisogni dell’anima di ritrovare un’unità di anima-e-corpo. Anche Matthew Fox fa delle considerazioni sul tempo ed invita a riscoprire il tempo sospeso: io vedo gente, turisti per caso, che in vacanza seguitano a navigare su Internet, non rinunziano a “stare in contatto” coi loro contatti virtuali, non riescono più a ritrovare la libertà che ha il viaggiatore che sa lasciare in albergo l’orologio e abbandonare il cellulare in hotel.
Il filosofo cattolico Pascal (1626 – 1662) direbbe “divertissment” inteso non come sano divertimento, come gioia dell’anima, bensì nel senso etimologico (latino, da devertere) di qualcosa che distoglie, distrae l’uomo dalla ricerca in sé stesso e dunque lo aliena da sé, una dissipazione di energie (cfr. “Della necessità della scommessa”, edizioni Studio tesi, 1994, pag. 59 e “Pensieri”, 171). Ecco perché, da Presidente dell’Associazione italiana “Amici della Spiritualità del Creato” ho organizzato, per il mese di agosto, un secondo ritiro spirituale in un monastero della Toscana, aperto a tutti coloro i quali desiderano approfondire la teologia di Padre Matthew Fox attraverso giuochi, seminari, attività, come abbiamo fatto a Sezano (Verona).  San Bernardo (1090 – 1153), ricorda de Botton, diceva che gli esseri umani si dividono in corpus, animus (mente) e spiritus (corrispondenti, aggiungiamo noi, al greco soma psyché e nous) e che un buon alloggio dovrebbe prendersi cura di tutte e tre queste componenti. Il buddismo ha impiegato mille anni a perfezionare la meditazione che placa ciò che chiama le nostre “menti scimmie” (pag. 139). Come Padre Fox (di cui analizzo il libro “Creatività” in due articoli del mio Blog) e come Pim Fortuyn, anche de Botton critica l’istruzione dominante, mentre i Greci – ricorda- sono stati i primi a paragonare i libri a medicine e a valorizzare la retorica e la ripetizione, utili per far restare bene in mente i concetti. Le tre religioni esaminate hanno una sapienza nel rendere più efficaci le idee a noi “esseri sensoriali”: “queste tecniche meritano di essere studiate e adottate”.
Il culto tipicamente cattolico della Madonna (come Demetra in Grecia, Venere a Roma e Iside nell’antico Egitto) rivela la componente infantile dell’uomo, che va vista con misericordia: “Le rassomiglianze che le accomunano sono troppe per essere frutto del caso: qui ci troviamo di fronte a figure che si sono evolute non da radici culturali comuni, ma in risposta a bisogni universali della psiche umana”.  Ma l’orgoglio ateo nega il bisogno di tenerezza e la fragilità umani. “Sarebbe utile se anche i nostri artisti laici, di tanto in tanto, creassero opere incentrare sull’amore genitoriale” (pag. 155) e ciò dovrebbe valere anche per via della progressiva scomparsa dei ruoli di padre e madre, come diceva Fortuyn.
Un limite dell’ateismo odierno è che a causa delle grandiose scoperte della tecnoscienza, si tende ad un progressismo troppo ottimista, ad un pregiudizio positivo verso il futuro, mentre sarebbe saggio riscoprire un po’ di sano pessimismo della ragione. Infatti, le persone credenti risultano più equilibrate, ed è un’ironia che proprio i laici siano creduloni (nel mito del progresso).
Il libro di Giobbe della Bibbia ebraica ricorda agli atei che viviamo immersi nel Mistero (come ebbe a scrivere il filosofo non credente Norberto Bobbio, 1909 – 2004, in un famoso articolo su “La Stampa”).

L’arte oggi: o non è Arte o non è valorizzata dalle gelide didascalie nei musei. Camille Paglia: “Artisti, recuperate
La dimensione spirituale!”
De Botton: “Ripensiamo i Luoghi e i Viaggi”

PENSIERO LIBERO. Camille Paglia è uno dei più
originali e raffinati intellettuali americani. Insegna all'Università
delle Arti di Philadelphia (Pennsylvania): della Città
dell'Amore fraterno abbiamo parlato nel nostro Blog su "Philomena".

De Botton e Fortuyn si ritrovano nel porre il problema della (cosiddetta) arte contemporanea.
Noi milanesi lo conosciamo bene, visto che abbiamo dovuto subire il dito medio di Cattelan (laurea honoris causa in sociologia!) in Piazza della Borsa. Scrive l’olandese: “Mai come nell’arte dei nostri giorni si è vista tanto spesso tanta ingrigita vacuità, bruttezza e solitudine” (“La società orfana”, pag. 267): non abbiamo più, spiega il sociologo, un artista autentico che ci indichi una direzione. “La noia domina”, dice, anche in letteratura: gli scrittori non sanno affrontare le tematiche di attualità (pag. 268). 
Lele Jandon allo Staatliche Museum di Berlino. 


L’arte, spiega il filosofo de Botton, ha un’origine religiosa ed è stata brava la Francia rivoluzionaria che dopo aver separato Stato e Chiesa ha fondato il Louvre: un Tempio laico dell’Arte (saccheggiando le chiese cattoliche del Paese e, durante le campagne di Napoleone, i monasteri e le cappelle di tutta Europa). Il problema è che le gelide didascalie dei musei non ci aiutano affatto a capire il senso profondo delle opere d’arte. Ragion per cui io, personalmente, quando torno da un viaggio, sul mio Facebook e sul mio Blog cerco di eviscerare proprio il significato intimo delle opere che hanno colpito i miei occhi e il mio cuore, più che raccontare di cosa sono fatte e altri particolari per addetti ai lavori) al fine di condividere la gioia della bellezza. Secondo il reverendo Matthew Fox, dopo l'industrializzazione "sono stati molti gli artisti moderni a scadere nel ruolo in cui la cultura li riduceva, un ruolo fatto di arte per amore dell'arte" (come nel decadentismo di Wilde, art pour art), "arte per amore del capitalismo, arte per amore della fama. Questi abbandonarono il significato profondo dell'arte, che è l'arte per amore della comunità" ("Creatività. Dove il divino e l'umano si incontrano", Fazi, Roma 2013, pagg. 86 - 87, titolo originale americano "Creativity. Where the Divine and the Human Meet", USA 2002). Anche secondo il medico inglese Tom Kitwood (di cui citeremo la teoria olistica per la cura delle persone che convivono con l'Alzheimer in un Cineforum ad hoc) nota che


"Fra le più grandi opere letterarie, musicali ed architettoniche, non poche sono state quelle con un tema o una motivazione cristiana. (...) Ben poche opere d'arte che meritino un tal nome provengono da una struttura di laicismo dichiarato forse perché esso limita e lega lo spirito dell'uomo" ("Che cos'è l'umano?", edizioni G.B.U., pag. 110)


Lo stesso vale per la filosofia, secondo il filosofo liberale Fichte (1762 - 1814) nel "Sistema della dottrina morale" (1798): 

"Il dotto non conduce le sue ricerche esclusivamente per sé stesso, né è semplicemente per sé stesso che egli apporta correzioni e fa nuove scoperte. Egli fa questo per la Comunità, ed è solo per questo che la sua ricerca diviene qualcosa di morale ed è solo così che egli, all'interno del suo specifico àmbito di ricerca, diviene una persona che adempie ad un dovere e che serve la Comunità"



Lele Jandon, Staatliche Museum, Berlino. 
Così de Botton descrive le facce di chi ha appena “visitato” un museo, senza strumenti: “rassomigliano ai partecipanti delusi di una seduta spiritica fallita” (“Del buon uso della religione”, pag. 186).
Sulla stessa linea un’altra atea, la sociologa ed antropologa americana (con radici italiane) Camille Paglia:

“Benché io sia atea, non posso non notare che l’umanesimo laico si sia infilato in un vicolo cieco: sinché gli artisti non recupereranno la propria spiritualità, l’arte non rivivrà. Per me l’arte è una religione, una filosofia che ho appreso da Baudelaire ed Oscar Wilde. Ma nel mondo artistico “religione” suona come una parola blasfema: questo è il motivo per cui gran parte dell’arte contemporanea è vuota e insensata. Tutto il mondo oggi è aggressivamente preso d’assalto da immagini intermittenti e messaggi intrusivi sul web o sul proprio smartphone. Io adoro Internet, ma siamo di fronte a una grave crisi culturale: le giovani generazioni sono invase e imprigionate da questo eccesso, da questa proliferazione d’immagini, e stanno perdendo la capacità di pensare, ragionare e giudicare. Il mio libro “Seducenti immagini. Un viaggio nell’arte dall’Egitto a Star Wars” (il Mulino, 2014) è nato proprio per rallentare, focalizzare e disciplinare lo sguardo, rieducare l’occhio attraverso la contemplazione dell’arte: bella, equilibrata e complessa.” (Intervista rilasciata alla “Domenica” de “Il Sole 24 Ore”, domenica 23 marzo 2014, pag. 22).

Ecco, la Paglia la pensa proprio come Giovanni Sartori: da Homo Sapiens ci stiamo tramutando in Homo Videns. La suddivisione meramente cronologica nei musei non ha senso e ci fa perdere il senso delle opere (pagg. 213 – 214) sicché dobbiamo ricreare, “reinventare gli spazi” (pag. 214).

Il filosofo cita per definire l’Arte Hegel (1770 – 1831), il quale scrisse nell’”Estetica” che essa è “l’apparire sensibile dell’Idea". Il teologo hegeliano Vito Mancuso (nel bestseller "L'anima e il suo destino", Raffaello Cortina editore, Milano 2007, pagg. 100 - 101), rifacendosi appunto ad Hegel nella sua definizione di vera Arte, scrive: 

"I grandi non sono grandi perché hanno inventato qualcosa che prima non c'era, ma perché hanno visto e scoperto una realtà che c'era da sempre. Per questo la grande musica, la grande pittura, la grande letteratura, la grande filosofia non passano mai, perché sono una traccia reale dell'eterno. (...) E per questo motivo la vera cultura è anche universale e parla a tutti perché, non dicendo nulla di originale, ma toccando veramente l'ordine eterno dello spirito assoluto (in modo, questo sì, del tutto nuovo e originale), tocca per ciò stesso il cuore di tutti"


“Abbiamo bisogno dell’arte perché siamo estremamente smemorati”

scrive de Botton, e abbiamo bisogno di 


“un’opera d’arte che ci afferri attraverso i sensi” 

e che magari ci ricordi che 


“l’amore è al centro della nostra umanità” (pag. 189). “Gli atei potrebbero trarre ispirazioni dai cicli mariani e prendere in considerazione l’idea di affidare ad artisti contemporanei il compito di ritrarre I sette dolori dell’essere genitori, I dodici dolori dell’adolescenza o I ventuno dolori del divorzio” (pag. 194): “Rabbia adolescenziale, depressione post partum, crisi di mezza età: i nuovi cicli laici della sofferenza potrebbero incentrarsi su queste fasi” (pag. 196). 

Il filosofo esorta a 


“rafforzare il concetto che essere umani è soprattutto condividere la vulnerabilità alle disgrazie” (pag. 198): “dipendiamo dagli artisti per orchestrare momenti di compassione, per sollecitare regolarmente la nostra solidarietà” (pag. 200). 

In queste parole riecheggiano tre pensatori a me cari: Aristotele, il filosofo greco che nella “poetica” definisce la tragedia come la narrazione di “cose che possono accadere”; il teologo americano  Matthew Fox che indica nella condivisione una delle tappe fondamentali della sua teologia della gioia (la Via Positiva); la filosofa liberal Martha C. Nussbaum che nella suo apologia degli studia humanitatisNot for Profit. Why Democracy needs the Humanities” (Princeton University Press 2010), indica lo scopo della liberal education (istruzione classica) proprio nel far sviluppare nei giovani l’empatia e l’immaginazione narrativa (imaginative empathy). Anche qui, quando si chiede ai critici d’arte o ai curatori di mostre quale sia il senso dell’Arte, danno risposte vaghe. Invece de Botton, che di arte s’intende, dice: lo scopo dell’arte è “incoraggiare la repulsione verso il male e suscitare l’amore verso il bene” (pag. 204). Il filologo tedesco Jaeger diceva nella “Paidéia. La formazione dell’Uomo Greco” (Bompiani, pag. 89) che 


“i valori (…) non divengono….d’efficacia suggestiva se non in quanto eternati dall’arte”.

E devo aggiungere una postilla alla considerazione di de Botton secondo cui 


“in campo artistico, poche dottrine si sono rivelate dannose come il precetto romantico che la grandezza debba implicare una costante originalità a livello tematico” (pag. 209): 

il fatto che questa filosofia abbia generato la moderna cultura della droga per cui molti cadono nella tentazione di sperimentare droghe varie al fine di creare cose nuove provando sensazioni nuove.

Il filosofo concorda col teologo Padre Fox: “L’ecocidio? 
Colpa dell’antropocentrismo. 
Dobbiamo guardare in altro modo le Stelle”

Il teologo statunitense Matthew Fox vede nello skyline pieno di grattacieli delle moderne metropoli americane soprattutto un’idea di dominio e di adorazione del Potere negativa (ed invita a recuperare la nostra giusta dimensione di terrestrità, di contro all’antropocentrismo che vede l’uomo al centro del cosmo), 

“Se Dio è morto, gli esseri umani- a loro grande discapito- rischiano di occupare il centro della scena dal punto di vista psicologico. Immaginano di essere padroni del proprio destino, calpestano la natura” (pag. 175).

E a proposito del ruolo della prossemica in architettura, il filosofo svizzero invita anche chi si occupa d’architettura a creare nuovi edifici tali che ci restituiscano il giusto senso delle proporzioni, e farci guardare noi stessi nella giusta prospettiva “cosmologica” senza umiliarci, e a dedicare Templi a specifiche virtù, come la Gentilezza o la Riflessione (pag. 226) per abbellire certe città industriali inguardabili, come Manchester e Leeds.

***
3) LO PSICOLOGO: JONATHAN HAIDT

L’Errore di Metodo degli Atei Militanti:
dimenticano che l’Uomo è Essere Sociale
Il libro dello psicologo americano è stato recensito nel mio Blog

E per completare il quadro dell’analisi dei limiti delle nostre società contemporanee, concludiamo col contributo dello psicologo sociale Jonathan Haidt. Fortuyn parlava del “vuoto psicologico” che il progressivo venir meno del senso di comunità reca con sé: e allora vediamo il parere proprio di un grande psicologo qual è Haidt. Innanzitutto, spiega, vari specialisti di alcune discipline, fanno un gravissimo errore di metodo: parlando “in nome della scienza” (che fra l’altro si esprime al plurale!), psicologi e biologi si limitano a sottolineare le false credenze delle religioni; sociologi, antropologi e teologi invece sanno cogliere i “fatti sociali” e le relazioni sociali, seguendo il buon esempio del grande sociologo Emile Durkheim (1858 – 1917).
Volontari ad una soup kitchen, mensa gratuita pei poveri. 

Per esempio, una studiosa che inizialmente la pensava come Richard Dawkins (le religioni sono “come virus”), dopo aver constatato, dati alla mano, che le persone religiose (cristiane, ebree, buddiste) sono più felici, più generose e più fertili, ha argomentato il suo mutamento di opinione (Susan Blackmore, “Why I No Longer Believe Religion Is a Virus of the Mind”, in “The Guardian”, 16 settembre, cit. a pag. 315 del libro di Haidt). Dawkins di recente ha stupito il suo Paese perché ha difeso il discorso di David Cameron, leader del partito conservatore eletto col programma della Big Society, che rivolto ad una platea di associazioni cristiane diceva che gl’inglesi devono dirsi orgogliosi di appartenere ad una Nazione cristiana, ove i cristiani si distinguono per attività di volontariato come le soup kitchens (le mense per i poveri:  http://www.lelejandon.blogspot.it/2014/04/lorgoglio-di-riconoscerci-come-una.html).

"La Religione é come il Football:
crea Emozioni Affratellanti"


Come ricorderete, Alain de Botton poneva il problema della mancanza di momenti di fratellanza, e proponeva il ristorante aperto a tutti e chiamato col nome greco dell’amore fraterno (un valore che, ricordiamo, è incluso anche nel famoso motto della Rivoluzione e della Repubblica francese: la Fraternité). Se colleghiamo questo vuoto psicologico all’emergenza educativa europea, possiamo trarre ispirazione da quanto osserva Haidt nelle scuole private americane: i rituali tribali che ogni sabato mattina si svolgono nei colleges degli Stati Uniti, cioè le partite di football ove gli studenti indossano la stessa cravatta, cantano la stessa canzone ogni qual volta la loro squadra segna un punto, fanno vivere “emozioni condivise affratellanti” (pag. 314): è uno sport che “attira studenti migliori e maggiori donazioni da parte degli ex alunni”.

L’origine delle religioni ricorda il senso del mito di Gige della “Repubblica” di Platone
Il liberale Locke: la Fede garanzia di Fedeltà ai Patti

Haidt fornisce una spiegazione in chiave evoluzionistica della genesi e sviluppo delle religioni: esse sarebbero “innovazioni culturali che si diffusero nella misura in cui rendevano i gruppi più coesi e cooperativi” (pag. 325): “Non c’è bisogno di un sociologo per sapere che le persone si comportano in modo meno etico quando pensano che nessuno possa vederle: questo era il punto di vista di Glaucone” (il personaggio che dialoga con Socrate nella “Repubblica” di Platone, ricordate?, di cui ho parlato nel mio articolo su questo Blog intitolato “I Liberali-Conservatori hanno più Capitale Morale”, http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html): “Creare divinità che possono vedere tutto si rivela un’ottima soluzione per ridurre gl’inganni e le violazioni dei giuramenti” (pag. 326). Il filosofo liberale illuminista John Locke (1632 – 1704) scrisse nella sua “Lettera sulla Tolleranza” (“A Letter Concerning Toleration”, 1689) che “per un ateo, né la parola data, né i patti, né i giuramenti, che sono i vincoli della società umana, possono essere stabili o sacri; eliminato Dio, anche soltanto col pensiero, tutte queste cose cadono”. Per un altro psicologo evoluzionista, Paul Bloom, la morale precede la religione e la religione non fa altro che codificarla (http://lelejandon.blogspot.it/2014/08/le-intuizioni-morali-innate-come-i.html).

Il Dato: i Credenti fan più Beneficienza e Volontariato

In un’epoca in cui, come ho argomentato (proprio citando “La società orfana” di Pim Fortuyn, nel mio articolo http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/amsterdam-la-storia-gli-eroi-i.html) il Welfare State è ormai fallito, la nuova proposta liberale della Big Society (portata avanti da premier liberali come Mark Rutte e David Cameron) in cui si crea una nuova cultura di responsabilità individuale trae forza da questo dato, la generosità delle persone religiose:

“Gli studi sulle donazioni fatte per beneficienza negli Stati Uniti rivelano che le persone che fanno parte del quinto meno religioso della popolazione offrono soltanto l’1,5 per cento del proprio denaro; coloro che fanno parte del quinto più religioso (stimato sulla base della frequentazione di luoghi di culto, non della fede) versano un prodigioso 7 per cento del proprio reddito e la maggior parte di queste offerte è destinata a organizzazioni religiose. Lo stesso vale per il volontariato: le persone religiose si danno molto più da fare dei laici, e gran parte del lavoro volontario è svolto per, o almeno tramite, le rispettive organizzazioni religiose” (pag. 337).

Nel serial "Desperate Housewives" viene mostrato il senso di comunità
generato da una tradizionale cultura di buon vicinato negli USA.
E in “American Grace: How Religion Divides and Unites Us”, i politologi Robert Putnam e David Campbell “hanno rivelato che quanto più spesso le persone partecipano ai riti religiosi, tanto più generose e caritatevoli diventano in generale” (pag. 339).
Lo psicologo Daniel Goleman, nel suo classico “Intelligenza emotiva” (Fabbri editore, Milano 2014, collana “La Grande Biblioteca della Psicologia”, pag. 101, titolo originale “Emotional Intelligence”, 1995), cita l’esperta Diane Tice: preghiera e volontariato si rivelano essere una maniera efficace di mutare il proprio stato d’animo triste e/o depresso (depressione subclinica, quella che l’individuo riesce a gestire da sé, mediante strategie personali). Infatti la Scrittura dice:

“Dio ama il donatore allegro” (2 Corinzi 9: 7)
“Non dimenticate di fare il bene e di condividere con altri, poiché Dio si compiace di tali sacrifici” (Ebrei, 13: 16).


STATO BABYSITTER E UOMO ORFANO (e INFANTE)
Fortuyn e de Botton: “Così lo Stato anonimo e impersonale crea alienazione nell’uomo”
“Non si sente più responsabile del prossimo
ed è strappato al Senso di Comunità”

A proposito di generosità, il filosofo svizzero ricorda come “la beneficienza costituiva parte integrante della vita premoderna” (“Del buon uso della religione”, pag. 22) e spiega bene come uno Stato Leviatano sradichi l’uomo dal senso innato di generosità (cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/08/le-intuizioni-morali-innate-come-i.html) sicché non si senta più responsabile della vita degli altri, del suo prossimo: confrontiamo insieme i passi che analizzano il medesimo fenomeno di spersonalizzazione. Anche il sociologo olandese descrive la storia del Welfare State (Stato del benessere)  e gli effetti psicologici delle sue degenerazioni illiberali che si chiamano in Francia État-providence (Stato-provvidenza), in Germania Vaterstaat (Stato-papà) ed in Italia Stato assistenziale:

De Botton: “Da un punto di vista prettamente finanziario siamo molto più generosi dei nostri antenati, e arriviamo a consegnare la metà delle nostre entrare per il bene comune. Ma lo facciamo senza quasi rendercene conto, tramite l’anonima intermediazione del sistema fiscale; e quando ci soffermiamo a rifletterci, eccoci subito a lamentarci del fatto che il nostro denaro sia utilizzato per sostenere un’inutile burocrazie o per comprare missili” (“Del buon uso della religione”, cit., pag. 22)

Pim Fortuyn: “Il senso comunitario fa parte dell’esperienza di una collettività, non del vissuto di un professionista o peggio di un’organizzazione burocratica. Lo Stato, anonimo e impersonale ha in qualche modo assunto in proprio il còmpito di preoccuparsi della comunità. I membri della comunità, le imprese e le organizzazioni vengono esonerate dal còmpito dietro il pagamento di un ingente contributo, in imposte e oneri sociali. Questo esonero è a sua volta all’origine di un vasto processo di alienazione. Un processo per cui nessuno sente più alcuna responsabilità per il buon funzionamento dei regimi assistenziali, appaltati come sono ad agenzie esecutive anonime e professionalizzate. Queste agenzie si pongono per natura tra i contribuenti e gli aventi diritto alle prestazioni, rompendo in questo modo qualsiasi collegamento tra i due gruppi. Il contribuente non percepisce l’agenzia esecutiva come un prolungamento del suo senso comunitario. (…) Il senso della comunità è stato sostituito da un atteggiamento tecnocratico.” (“La società orfana”, cit., pagg. 81 – 83).

Tim Kitwood: "Lo Stato e la Previdenza Sociale e i loro impersonali agenti, i calcolatori elettronici, per potersi districare tra numeri enormi tendono a trattare la gente come niente altro che cifre. Tutto questo ed altre cause ancora hanno spersonalizzato la nostra esistenza." ("Che cos'è umano?", edizioni G.B.U., pag. 111)

Come si vede, ritorna l’aggettivo “anonimo”, senza nome. Con la scomparsa del verzuiling, cioè della fragmentazione della società in subculture (che, si noti bene a scanso di equivoci, è cosa ben diversa dal multiculturalismo o relativismo culturale che è separazionismo delle culture di diverse religioni, dal momento che l’Olanda è storicamente e culturalmente cristiana) viene progressivamente meno il senso di Comunità, come mostra un esempio tratto dalle cronache quotidiane: “Brevi titoli dei quotidiani lo testimoniano: “Trovata in casa morta da tre mesi” (“La società orfana”, pag. 163).


Chi partecipa (anche da ateo) ad una Comunità 
religiosa é più generoso
Il teologo Mancuso: serve una religione civile


Come ho già accennato nel mio reportage dall’Olanda (http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/amsterdam-la-storia-gli-eroi-i.html), secondo David Sloan Wilson (la cui tesi è condivisa anche da Nicholas Wade nel suo “The Faith Instinct: How Religion Evolved and Why It Endures”, Penguin, New York 2009), Darwin e Durkheim si integrano a vicenda, così come dovremmo integrare l’utilitarismo della filosofia liberale con Durkheim: “Una versione durkheimiana dell’utilitarismo riconoscerebbe che, per prosperare, gli esseri umani hanno bisogno di un ordine sociale e di radicamento.” (pag. 345). Come diceva Platone (Politéia, VII, 537 c7) solo “chi è capace di una visione d'insieme è un autentico filosofo dialettico” (ὁ συνοπτικὸς διαλεκτικός). Il vero è l’intiero, diceva Hegel.
Il dato sorprendente (e che deve farci riflettere seriamente sui rischi d’islamizzazione del nostro continente, come paventato da Fortuyn), è che le religioni si diffondono più velocemente dei geni, e “i geni che promuovono il comportamento religioso tenderanno a diventare più diffusi in ogni generazione, a mano a mano che le società meno coese scompaiono e quelle più unite prosperano”, scrive Wade (pag. 107, cit. a pag. 335 di Haidt). E se c’è chi contrappone fede e ragione, le scienze mostrano l’utilità sociale delle religioni: “La ricerca di Putnam e Campbell mostra che la religione negli Stati Uniti oggigiorno genera enormi eccedenze di capitale sociale, al punto che molto ne trabocca a beneficio degli estranei.” Quel che conta di una persona affinché sia più generosa è che frequenti una Comunità religiosa e vi partecipi: un ateo coinvolto nella vita sociale della congregazione (ad es. attraverso il coniuge) tende a fare più volontariato di uno che prega da solo (Putnam e Campell, American Grace: How Religion Divides and Unites Us, Simon & Schuster, New York 2010, pagg. 467 e 473, citati in Paul Bloom, Buoni si nasce. Le origini del bene e del male, Codice edizioni Torino 2014, pag. 340).
“Quando le società pèrdono la loro presa sugl’individui, consentendo a tutti di fare ciò che vogliono,  il risultato è spesso una diminuzione della felicità e un aumento dei suicidi, come dimostrò Durkheim più di un secolo fa” (pag. 343). (Tutte le persone a me note che si sono suicidate o han tentato il suicidio erano e sono persone non religiose.)  Scrisse il filosofo conservatore Edmund Burke: “essere legati al proprio ambiente, amare la piccola squadra a cui si appartiene nella società è il primo principio di ogni affezione pubblica. E’ il primo di una serie di legami percorrendo il quale giungiamo all’amore per il nostro Paese e per il genere umano”, similmente a quanto scrisse il liberale scozzese Adam Smith (1723 – 1790, del quale parlo nel mio articolo ). Ebbene,

“Robert Putnam ha fornito una pletora di prove a dimostrazione del fatto che Burke e Smith avevano ragione: i suoi studi dimostrano che le religioni rendono gli americani “vicini migliori e cittadini migliori” (pag. 393).

Il grave limite culturale di alcuni pensatori progressisti è il loro non riuscire a cogliere ed apprezzare l’importanza delle relazioni sociali e del buon ordine sociale. In tal senso (da una prospettiva di sinistra) il teologo progressista Vito Mancuso ha scritto varie volte nei suoi articoli su “Repubblica” della necessità di creare nel nostro Paese quella che egli chiama una “religione civile”, una tavola di valori che unisca credenti e non credenti e che ci faccia sentire spiritualmente uniti come società civile: come Big Society.”Le religioni", scrive David Sloan Wilson, "esistono principalmente per consentire alle persone di realizzare insieme ciò che non sono in grado di realizzare da sole”.


© LELE JANDON