domenica 31 agosto 2014

Le Intuizioni Morali Innate come i Cinque Sensi: la Psicologia di Paul Bloom conferma la Filosofia del Liberale Adam Smith sul Senso Morale che Guida le Nostre Decisioni. Studiare gli Occhi dei Bimbi per capire la Natura Umana e i suoi Limiti.


di LELE JANDON
"BUONI SI NASCE" è il titolo italiano
del nuovo libro dello psicologo americano.

Nasciamo già dotati di una natura morale per fare il bene del nostro prossimo (familiari e membri del nostro gruppo) e privi di forza morale verso gli estranei.
Veniamo al mondo con una mente che non è una tabula rasa, bensì armata d’intuizioni preziose (Darwin le chiamava “emozioni morali”) che l’Evoluzione (secondo alcuni scienziati credenti, sotto la guida divina) ci ha dato per orientarci verso la compassione (attiva) per i nostri vicini che soffrono, la gratitudine per chi è gentile, la gioia di leggere e ascoltare le storie ove vincono i buoni, la rabbia e la condanna dei malvagi (gl’imbroglioni e gli scrocconi): questi sentimenti (che ci rendono orgogliosi) costituiscono dei piccoli, grandi fondamenti innati, inconsci ed automatici che ci guidano ad essere compassionevoli verso il nostro prossimo che significa appunto vicino e familiare. Quest’inconscio cognitivo ci guida cioè verso il bene: termine (della filosofia) morale che, tradotto scientificamente, significa collaborazione spontanea e cooperazione e, col liberale illuminista scozzese del Settecento Adam Smith, “generosità, umanità, gentilezza, compassione, amicizia reciproca e stima”. 
FONDATORE DELLA PSICOLOGIA. Secondo Bloom,
il grande filosofo liberale fu il primo psicologo moderno.
Questa è la sua prima opera (1759) ed egli l'ampliò ed aggiornò
sino alla morte (1790). Per lui l'etica nasce dalla "simpatia"
(nel senso greco del termine: la compartecipazione alle
gioie e alle sventure).







Quest’intuito ci guida altresì a condannare il male: tradotto nel linguaggio della scienza, i profittatori, gli scrocconi.
E se la Psicologia intuizionista di Jonathan Haidt conferma la tesi del filosofo liberale David Hume: “La Ragione è al servizio delle Passioni” (Trattato sulla Natura Umana, 1740, http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html), la Psicologia intuizionista di Paul Bloom e la serie di  esperimenti (da lui fatti o citati) coi bambini (la durata dello sguardo e le loro preferenze) dimostrerebbero la tesi di un altro grande filosofo illuminista scozzese (nonché grande amico fraterno di Hume): Adam Smith (Teoria dei Sentimenti Morali, 1759) che pensava come Thomas Jefferson che il nostro senso morale sia come i cinque sensi, parte integrante della nostra natura.  Essi hanno già delle capacità morali, sia pure limitate: sanno intuire ed indicare i buoni e i cattivi. Poi, come illustrano gli stadi di sviluppo morale dello psicologo Lawrence Kohlberg, evolviamo maturando ragionamenti morali universalizzabili. 
E tale fondamentale bontà innata è un adattamento dell’Evoluzione biologica perché fare il bene è socialmente utile a tutti, come intuì già Adam Smith due secoli prima di Darwin. Possediamo altresì dei limiti (come il disgusto omofobico) che vanno corretti con l’uso della ragione.
INTUIZIONISTA: Paul Bloom, psicologo dell'età evolutiva.
E’ la tesi del libro di Paul Bloom, psicologo dell’età evolutiva di Yale, nel suo nuovo libro “Buoni si nasce. Le origini del bene e del male” 
(traduzione di Sara Prencipe, Codice edizioni, Torino 2014, titolo originale “Just Babies. The Origins of Good and Evil”, 2013): un sottotitolo che ricorda quello del primo libro che argomenta questa tesi, quello dell'ex biologo di Harvard Marc Hauser “Menti Morali. Le origini del bene e del male” (il Saggiatore, Milano 2007, tit. orig. Moral Minds: How Nature Designed Our Universal Sense of Right and Wrong, 2006), che infatti Bloom stesso aveva recensito nell'articolo "The Chomsky of Morality?" pubblicato su Nature (numero 443, pagg. 909 – 910, leggibile online all'indirizzo: 
http://www.yale.edu/minddevlab/papers/bloom&jarudi.pdf)
L’autore, canadese di Montréal, ha già pubblicato in italiano “Il bambino di Cartesio. La psicologia evolutiva spiega che cosa ci rende umani” (il Saggiatore, Milano 2005, titolo originale Descartes’ Baby: How the Science of Child Development Explains What Makes Us Human, 2004): anche questo con un’orribile copertina.
Anch’egli, come il collega Jonathan Haidt, del quale condivide la teoria delle nostre sei intuizioni politiche innate, è un intuizionista, ed anche lui, come il suo connazionale, spiega i risultati degli esperimenti alla luce della teoria dell’Evoluzione; ma a differenza di Haidt egli mette in guardia dal credere che siamo irrazionali: la ragione, che ci porta alla ricerca d’imparzialità, è stata fonte decisiva di progresso morale.
Il libro che abbiamo recensito lo scorso gennaio sul blog:
Bloom si dichiara concorde con la sua teoria dei sei princìpi
morali, ma dice  che va approfondita la dimensione del
valore della famiglia (limite della psicologia contemporanea).  
Il volume è importante anche per il suo dialogo fra la psicologia morale e la filosofia morale: le intuizioni del grande filosofo Adam Smith (il quale oltreché economista e filosofo dell’economia merita di essere ricordato come filosofo morale nonché, dice Bloom, fondatore della psicologia morale contemporanea), si sono rivelate vere. Bloom ricorda che molti dei migliori psicologi morali hanno avuto una formazione filosofica: i loto metodi e teorie attingono dalla filosofia etica.
Oggi un leader spirituale come Matthew Fox argomenta che “abbiamo bisogno della compassione non perché vogliamo essere altruisti, non per ragioni filosofiche o teologiche, ma perché vogliamo sopravvivere” (“Compassione”, Claudiana, Torino 2014, pag. 5): una prospettiva concorde con la teoria scientifica di questo libro che recensiamo.

Va fatta una premessa a scanso di equivoci: quando nel libro si parla di sensibilità innata contro il male, ci si riferisce alle trasgressioni morali, non alle trasgressioni socio-convenzionali, come ben distingue Elliot Turiel (The Development of Morality, New York 2006, pagg. 789 – 857). Infatti solo alcune di queste sono intuizioni morali: alcune convinzioni morali sono delle usanze apprese, perché diverse fra cultura e cultura, come già spiegato dallo scrittore Erodoto, il primo reporter della storia che aveva scritto che le abitudini sono relative (“l’usanza è regina”) e che tutti siamo assolutisti (“tutti crediamo che le nostre Tradizioni e la religione che ci hanno insegnato siano le migliori in assoluto”).








LE ECCEZIONI alla REGOLA:
I Sociopatici sono come Ciechi Nati
Finiscono sempre Male: sono senza Paura
Per Noia o Crudeltà si fanno scoprire

GLI PSICOPATICI FINISCONO PER VENIRE SCOPERTI:
infatti, non sono frenati dalla paura. In foto: i Premi Oscar
Jodie Foster ed Anthony Hopkins nello psico-thriller "Il silenzio
degl'innocenti
", del Premio Oscar Jonathan Demme. 
Da queste intuizioni innate, inoltre, sono esclusi, naturalmente, per un difetto biologico, i sociopatici (della cui sintomatologia – la menzogna, la mancanza di rimorso, paura, senso di colpa e di compassione- potete leggervi il mio saggio http://lelejandon.blogspot.it/2014/02/senza-rimorso-colpa-o-pieta-come.html) i quali, “a causa di alcune sfortunate combinazioni di geni, del ruolo dei genitori e di particolari esperienze personali” sono privi di sentimenti morali: sono come ciechi dalla nascita: se anche gli provate ad argomentare la morale, la risposta sarà “non m’importa”. Per loro la vita è più complicata: mentre noi siamo guidati dai nostri sentimenti morali inconsci, loro devono continuamente scervellarsi su ciò che gli altri normali si aspettano, e poiché sono insensibili alla paura finiscono per soccombere agl’impulsi negativi/autodistruttivi (facendo cose terribili per avidità, crudeltà o noia) e vengono smascherati e catturati.
Ci sono altresì dei limiti, come nel caso, già citato da Haidt (cfr. la mia recensione http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html) su due fratelli adulti e consenzienti che fanno l’amore (protetto da ambo le parti) di cui non si riesce a rendere conto dell’immoralità perché non c’è oggettivo danno. C’è poi il caso dell’omofobia: il disgusto omofobico sarebbe un errore dell’evoluzione. E vari altri esempi di cui fa l’elencazione completa l’antropologo Richard Shweder: cose che, a seconda delle culture, sono neutre, lodevoli o spaventose: matrimonio combinato o per amore, democrazia, pene corporali etc. A proposito di relativismo culturale, Bloom rivolge questa critica agli antropologi: essi esagerano le differenze culturali a scapito delle rassomiglianze, per un semplice motivo: il voler stupire con delle novità e venire così volentieri pubblicati (pag. 10). Una “negligenza professionale” la chiama Maurice Bloch (e Bloom ne avrà anche per i colleghi psicologi, come vedremo!).

ADAM SMITH
Intuì la Gioia di Condividere i Piaceri col Prossimo:
"La Condivisione è una forma di Compassione"
Compassione Necessaria ed Universale 

Enfant prodige, manifestò le sue eccellenti doti sin dalle scuole
elementari, quando iniziò a studiare il greco antico ed era forte
in matematica.
Fu allievo del filosofo morale Francis Hutcheson (1694 - 1746)
alla Glasgow University e
divenne a sua volta professore di varie materie filosofiche
all'Università di Edimburgo e membro della Royal Society.

Sarà bene rinfrescare la distinzione fra una serie di termini:

1)    empatia che, secondo Adam Smith (1723 – 1790), che non usava questo termine, coniato nel 1919 su calco del tedesco Einfühlung (“sentire dentro”), bensì la parola "simpatia", è quell'intelligenza tale per cui é “come se entrassimo nel corpo di qualcun altro, e diventassimo in una certa misura la sua stessa persona”.

Una banconota con l'effige di Adam Smith (1723 – 1790),
il grande filosofo illuminista scozzese padre del liberalismo. 
2)    Il contagio emotivo come quando vediamo il video Baby laughing histerically at ripping paper su YouTube, oppure quando, esemplifica Adam Smith, leggiamo ad alta voce una poesia o un libro ad un altro: ci fa piacere vedere in lui la sorpresa. Il grande filosofo aveva così spiegato già il piacere di noi contemporanei di condividere le nostre scoperte, come anche il piacere di chi, scrivendovi qui, su questo blog, condivide ciò che studia e pensa. Anche Padre Matthew Fox, nella sua Teologia della Gioia, insiste sulla compassione come condivisione. Per Platone, vorrei poi ricordare, amicizia è koinonia (condivisione). Si spiega così anche una delle gioie di essere genitori: provare di nuovo esperienze come andare allo Zoo o mangiare il gelato come se fosse la prima volta.
Le storie che più ci appassionano, scrive Bloom,
sono quelle che riguardano il bene e il male: vogliamo vedere i cattivi puniti e i buoni ricompensati (pag. XII, Prefazione). 
Thomas Jefferson aveva ragione, dice Bloom, quando scrisse che “Il senso morale, o coscienza, è parte integrante dell’uomo come lo sono le sue braccia e le sue gambe”, tesi condivisa da altri liberali illuministi come Adam Smith nel suo “Teoria dei sentimenti morali, ove descrive l’empatia, la compassione e l’immaginazione morale (concetto ripreso dalla filosofa Martha Nussbaum) come universali umani: “Sono chiaramente presenti nella natura umana alcuni princìpii che lo rendono partecipe delle fortune altrui, che rendono per lui necessaria l’altrui felicità, nonostante non ottenga altro che il piacere di contemplarla” (come dice Matthew Fox: “Abbiamo bisogno della compassione perché vogliamo sopravvivere”) 
“Di questo genere è la pietà o compassione, l’emozione che proviamo per la miseria altrui, quando la vediamo, oppure siamo portati ad immaginarla in maniera molto vivace. Il fatto che spesso ci derivi sofferenza dalla sofferenza degli altri è troppo ovvio da richiedere esempi per essere provato; infatti tale sentimento, come tutte le altre passioni originarie della natura umana, non è affatto prerogativa del virtuoso o del compassionevole, sebbene forse essi lo provino con più spiccata sensibilità”.
Le lacrime sono un adattamento (e non un
incidente biologico come pensava Darwin)

Come dicevo dall’inizio, il presupposto metodologico della Teoria di Bloom è la Teoria dell’Evoluzione (che, ricordiamo, non fu solo di Darwin, ma anche di ): talvolta Darwin sbagliava, come quando sosteneva che le nostre lacrime agli occhi non fossero altro che un accidente dell’evoluzione, e non un adattamento, mentre il neuroscienziato olandese (Ad Vingerhoets) ha dimostrato nel suo bellissimo libro Why Only Humans Weep: Unrevealing the Mysteries of Tears che sono parte integrante del nostro bagaglio di compassione innata che ci aiuta a ottenere la pietà del nostro prossimo. A proposito, strano che Bloom non lo citi.
  
Gli Appunti di Darwin sul figlioletto:
c’è già il Senso di Colpa e la Vergogna
Tesi confermata dagli esperimenti moderni
 
Charles Darwin col figlio: lo scienziato britannico
scrisse una delle prime biografie infantili,
Biographical Sketch of an Infant (1877).
Charles Darwin (in “A Biographical Sketch of an Infant”, articolo pubblicato su “Mind”, 2, pagg. 285 – 294, nel 1877) condivide gli appunti di 37 anni prima presi osservando lo sviluppo del figlioletto (William), ove aveva annotano prima le reazioni fisiche e poi le “emozioni morali”: “l’espressione melanconica” che dimostra “comprensione simpatetica” dinanzi alla nanny che finge di piangere, l’autocompiacimento quando dona un pezzetto di pane alla sorellina, il senso di colpa e vergogna (“un contegno stranamente innaturale”) quando il padre scoprì che aveva preso delle zollette di zucchero che gli era stato detto di non prendere. A tal proposito, mi viene in mente l’osservazione di Sartre (1905 – 1980) nel suo libro di antropologia filosofica “L’essere e il nulla” (1943) ove scrive che è proprio lo sguardo degli altri (che mi sento addosso) che suscita in me emozioni come la vergogna (“con l’apparizione di altri sono posto in condizione di portare un giudizio su me stesso come un oggetto, perché come oggetto mi manifesto ad altri (…) La vergogna è, per natura, riconoscimento. Riconosco di essere come altri mi vede” (traduzione di Giuseppe del Bo, il Saggiatore, Milano 1991). Che esista già il senso di colpa è confermato dalla psicologa Charlotte Buhler nel 1935: un adulto fa divieto al bimbo di toccare un giocattolo; tutti i bambini, quando l’adulto esce, prendono il giocattolo e quando il grande torna tutti i piccoli di 18 mesi (solo il 60% dei bimbi di 16 mesi) arrossiscono e mostrano imbarazzo e spavento. A 21 mesi, tentano di riparare al guaio: rimettendo il giuoco a posto. A 2 anni, tentano di giustificare la disubbidienza, dicendo che il giocattolo era loro!
Il libro della psicologa è citato da Bloom.
Come Jonathan Haidt (http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html), anche Bloom crede nella visione conservatrice (mostrata dal mito greco di Gige narrato da Platone nella “Politéia”) per cui “le persone normali si comportano abbastanza male se pensano che non saranno ritenute responsabili delle loro azioni”, ma è altresì vero che vi “in molte circostanze, per essere buoni non abbiamo bisogno della minaccia di essere puniti, perché comportarsi in modo egoista o crudele può essere intrinsecamente sgradevole” (pag. 31), come dimostra la risposta alla domanda “per quanti soldi strangoleresti un gatto?” (115 mila dollari).
E Bloom prova ad argomentare, con un’elencazione di esperimenti, come i due grandi liberali avessero ragione.
Gli psicologi e i colleghi citati da Bloom hanno creato delle scenette con dei pupazzi e li hanno mostrati a dei bambini di pochi mesi od anni ed hanno scoperto che questi bimbi.
E’ la conferma della tesi di Adam Smith che ben prima di Charles Darwin aveva intuito che la collaborazione è resa possibile dai nostri sentimenti morali ed è socialmente utile: “Tutti i membri della società umana hanno bisogno dell’assistenza degli altri, e allo stesso modo sono esposti a reciproche offese. Quando la necessaria assistenza è reciprocamente fornita dall’amore, dalla gratitudine, dall’amicizia e dalla stima, la società è fiorente e felice”.

Secondo Darwin, in un’ipotetica guerra fra due tribù immaginarie, una collaborativa e l’altra no, vincerebbe la prima; secondo una teoria alternativa, comunque d’ispirazione darwiniana, la collaborazione e l’altruismo si evolvono perché i buoni puniscono i cattivi e premiano i buoni.
I bambini piccoli sono più difficili da studiare dei ratti da laboratorio: le neuroimmagini, che pure (come la spettroscopia nel vicino infrarosso, ci dicono le aree esatte del cervello ove sono in corso processi cognitivi) non sono adatte perché o sono pericolose o i soggetti devono stare a lungo immobili.
PSICOLOGIA DELL'ETA' EVOLUTIVA. Alcuni sperimentatori
interrogano con dei bambini. 
Negli Anni Ottanta s’incomincia a tenere come metro la durata dello sguardo (looking time, il tempo di osservazione): se vedono qualcosa di diverso dal solito, fissano più a lungo l’oggetto, se invece vedono la stessa cosa ripetutamente, s’annoiano e guardano altrove (tale tedio si chiama habituation), e questo ci dice che sanno avevano altre aspettative. Con tale metodologia, si sono scoperte le seguenti dotazioni innate del bambino:
 La psicologa Elisabeth Spelke di Harvard ha studiato
per trent'anni i bambini ed è convinta innatista. 
1La fisica ingenua: mostrando ai piccoli dei trucchetti di magia (ad esempio, rimuovendo i sostegni di un cubo che, anziché cadere, rimase sospeso a mezz’aria; facendo scomparire oggetti che poi riappaiono altrove), la psicologa di Harvard Elisabeth Spelke ha scoperto che essi percepiscono che violano la norma (le leggi fisiche): i bambini di 4 mesi dimostrano di possedere già il principio di permanenza (“un oggetto tolto alla vista permane, esiste ancora”), il principio di coesione (“due superfici appartengono allo stesso oggetto se sono connesse” cioè anche se composto di diverse parti, un oggetto è considerato come un pezzo unico), il principio di continuità e solidità (“un oggetto si sposta su un cammino continuo e senza ostacoli”), il principio di contatto (o di causalità: “un oggetto può influenzare il comportamento di un altro oggetto se entra in contatto con esso”).



I bimbi guardano più a lungo ciò che li sorprende: ciò
che non si aspettano. Con questo metro si è scoperto
che posseggono già delle intuizioni di matematica, fisica
e psicologia. 
La matematica ingenua: come (aggiungo io dai miei studi di filosofia) avevano intuito Platone e Cartesio, nasciamo con un naturale senso geometrico. I bambini piccoli san già contare a mente ciò che non si conta per mano, come il popolo brasiliano dei Munduruku (7mila persone in 22 villaggi che san contare sino a 4, per quantità superiori usano la parola "molti": si sono adattati ad un piccolo ambiente ove le capacità di calcolo non sono utili per la sopravvivenza. E si rifiutano d'imparare a contare perché significherebbe sacrificare altre facoltà come la capacità di orientamento, necessarie per vivere nella foresta).
Socrate nel dialogo “Menone” (82 b – 86 c) dimostrò che esistono concetti innati interrogando un bambino schiavo ignorante che riesce a risolvere un problema di geometria!) Karen Wynn (la moglie di Paul Bloom e sua collaboratrice) scopre che hanno già delle intuizioni matematiche, sanno per così dire contare mentalmente il numero di marionette e sono stupiti se spariscono;
3La psicologia e sociologia ingenua (una cui branca è, potremmo dire, la psicoeconomia) i bambini hanno aspettative sulle intenzioni, gli obiettivi e le espressioni degli adulti e a 4 mesi sanno attribuire credenze anche false.

’ E' questa categoria d’intuizioni, le intuizioni morali legate alle emozioni, che interessano al nostro, il quale ha condotto a Yale degli esperimenti con sua moglie (Karen Wynn) e pubblicati su “Nature”: sono situazioni di interazioni “sociali” che, verosimilmente, i bambini non hanno ancora visto. Strano che Bloom dimentichi qui il quarto punto, che aggiungiamo noi:
Per gli esperimenti sui bambini, si usano delle marionette
che simulano delle scenette. 

Il linguaggio ingenuo: secondo la teoria della grammatica universale del linguista del MIT Noam Chomsky, nasciamo già con delle competenze linguistiche sul modo di strutturare le frasi corrette per cui intuiamo quando c’è un errore grammaticale (anche se non sappiamo spiegare perché). Ascoltando i nostri nipotini, fratellini, figlioletti, notiamo che non producono mai frasi interrogative malformate in inglese. I bambini di madrelingua italiana sanno già che il soggetto può essere omesso nelle frasi, mentre quelli anglofoni sanno già che il soggetto va sempre espresso. 
Adoperando dei cartoni animati, in cui un oggetto aiutava un altro ad infilarsi in un passaggio o lo bloccava, i bambini preferivano la situazione collaborativa. 
La stessa preferenza confermata nel caso di animazioni con figure geometriche (una palla rossa che tenta di salire su una collina: un quadrato giallo e la spingeva su aiutandola, mentre un triangolo verde si metteva davanti e la spingeva giù, ostacolandola. Quando la palla s’avvicina all’elemento ostacolante, i bimbi fissano più  a lungo: evidentemente, si aspettano che la situazione è più complicata.
In una variante della palla, lo sperimentatore metteva dinanzi al bimbo l’aiutante e l’ostacolatore per vedere chi avrebbe preso.

Indovinate? Sceglievano l’aiutante. Scelta confermata anche con l’introduzione, da parte degli psicologi, di un terzo personaggio, neutro: i bimbi già di 3 mesi non solo lo vogliono afferrare, ma lo fissano. La moglie di Bloom crea una nuova situazione simile per tradurre, in un linguaggio comprensibile ai bambini, i concetti di aiuto e ostacolo, bene e male: un pupazzo che afferra il coperchio di una scatola e lo apre, mentre un altro saltava sopra e la teneva chiusa; oppure: uno che giuoca a palla, che poi gli scappa di mano, un pupazzo gliela ridà e un altro la prende e scappa: i bambini di 5 mesi preferiscono il personaggio buono. Benché lo stesso Bloom conceda ai suoi critici di non essere riuscito a dimostrare il valore morale della comprensione che guida la scelta dei bambini, sottolinea che sono comunque giudizi disinteressati: non sono situazioni che riguardano i bambini stessi. 
L’Empatia Adattamento evolutivo: guida la Compassione
"Le sette opere di misericordia" del pittore fiammingo
Peter Brueghel (1564 - 1638). Le 7 opere di misericordia corporale sono
contenute nei vari libri della Bibbia ebraica: la compassione come solidarietà
attiva è il valore principe dell'Ebraismo. 

La famosa teoria di Rizzolatti (nemmeno citato per nome, si cita invece Gallese), la "teoria del sistema dei neuroni specchio", è bella chiara e lineare, ma insufficiente a spiegare il linguaggio o il complesso ragionamento morale/sociale o l'imitazione: i macachi rhesus non hanno tali facoltàMa a noi, taglia corto Bloom, non interessa la neuroanatomia o la neurofisiologia, bensì il ruolo dell’empatia nell’Evoluzione da un punto di vista della psicologia evoluzionistica: così come gli altri istinti hanno una funzione (la fame ci spinge a trovare il cibo, la rabbia ad essere aggressivi contro una minaccia), l'empatia, per Bloom, è un adattamento funzionale nato per motivare la compassione e l’altruismo.

Esiste sia la Compassione senza Empatia
(salvare per dovere chi che annega)
sia l’Empatia senza Compassione
(vedo un dolore ma distolgo lo sguardo e vado via)
Noi diciamo: empatia cognitiva vs empatia emotiva

La maggioranza dei giovani senzatetto di New York
sono omosessuali che sono stati cacciati di casa.
L'arcivescovo di New York Timothy Dolan si è rifiutato
di aiutare una ONG che si occupa di questa realtà. 

Ma è complesso: a volte io posso scegliere di empatizzare. L’empatia è una scelta morale e non una causa. Ed è influenzata da cosa pensiamo dell’altro.
Secondo, non è necessaria l’empatia perché nasca la compassione: come nell’esempio del filosofo Peter Singer, quando vedo una bimba che sta annegando in un lago e ci sono solo io, mi tuffo e la trascino fuori. Ma non è che io mi identifico e mi sento soffocare. Così come, esemplifica lo psicologo Steven Pinker, se una bimba trema di paura perché un cane abbia, non è che io tremo insieme a lei, ma la consolo e proteggo, semplicemente.
Come esiste compassione senza empatia, così esiste empatia senza compassione: io posso vedere una scena di una persona che soffre e scegliere di voltarmi dall’altra parte. Mi viene in mente la frase ironica di uno scrittore: “Ci sono persone così sensibili che dinanzi al dolore degli altri fuggono perché non possono sostenerlo”. Se posso fare un esempio io, mi viene in mente l’arcivescovo di New York Timothy Dolan che ha negato il suo aiuto ad una ONG che si occupa dell'assistenza agli homeless gay: egli sicuramente avrà empatizzato con la situazione di senzatetto di questi ragazzi (spesso afroamericani) sbattuti fuori di casa dai loro genitori snaturati, ma non ne ha compassione perché evidentemente il suo giudizio morale sul loro stile di vita impedisce di compatirli. Se posso esprimermi con altri termini forse più chiari, qui Bloom distingue quella che in due altri saggi del blog abbiamo definito empatia cognitiva ed emotiva (http://lelejandon.blogspot.it/2014/02/senza-rimorso-colpa-o-pieta-come.html
http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/allenare-lattenzione-muscolo-della.html). 

La Morale non si riduce a Compassione!
Ad es., la Polizia non può cedere dinanzi
ad un Criminale: prima i Doveri Morali
Ci sono casi in cui non si può cedere alla compassione
bisogna onorare altri princìpii morale come il rispetto
della legge eguale per tutti. 


Bloom distingue anche la morale dalla compassione.
Facciano attenzione le anime belle che le confondono: “Immaginate un criminale che supplichi un poliziotto di lasciarlo andare; il poliziotto potrebbe provare compassione, ma non cederebbe, perché ha altri princìpii morali da onorare” (pag. 39).





Quel Giuoco di Sguardi fra Genitori e Figli
Il Bimbo non ha mai visto lo Specchio, 
ma sa già d’Istinto come imitare l’Adulto
I bambini, più crescono, più imparano a consolare. Ma
abbiamo esempi di bimbi piccoli che già ci provano:
come il bambino di 14 mesi che accompagna il bimbo
che piange dalla propria mamma! 

I bambini sono molto sensibili e poiché non han mai visto uno specchio, la loro imitazione (come quando gli facciamo le boccacce e loro fan lo stesso) dev’essere un istinto sapere già che quella cosa che ha dentro la bocca corrisponde a quella dell’altro che gli sta facendo le linguacce. Questo meccanismo potrebbe essersi creato per rinforzare il legame genitori/figli che infatti, spesso, si rispecchiano, sovente inconsciamente, nelle reciproche espressioni (cfr. C. Trevarthen, “The Concept and Foundations of Infant Intersubjectivity”, in Intersubjective Communication and Emotion in Early Ontogeny, a cura di Stein Braten, Cambridge University Press, New York 1998, pagg. 15 – 46).
Che già i bambini provino compassione lo dimostra il fatto che essi, quando vedono qualcuno piangere, non solo tendono a piangere a loro volta, ma non distolgono lo sguardo dalla persona sofferente (segno di empatia senza compassione): i bimbi di un anno l’accarezzano e le danno buffetti affettuosi (M. L. Hoffman, Empathy and Moral Development: Implications for Caring and Justice, Cambridge University Press, New York 2000). 
Karen Wynn, psicologa di Yale,
è moglie e collega di Paul Bloom. 

Come negli altri primati (dice Frans de Waal ne La scimmia e l'arte del sushi. La cultura nell'uomo e negli altri animali, Garzanti, Milano 2002) le femmine mostrano più empatia e compassione.

Più sono grandi, più i bambini imparano a consolare, per quanto maldestramente (come il bimbo di 14 mesi che accompagna il bimbo piangente dalla propria mamma, non dalla sua!); i piccoli tendono a consolare sé stessi: come i ratti, che dinanzi alla chance di premere una levetta per por fine alla scossa elettrica che fa male ad un loro conspecifico, si ritirano in un angolino squittendo e contorcendosi pel disagio.



I Bimbi si offrono d’aiutare: spontaneamente La Collaborazione è un Istinto adattativo

I bambini ti sorprendono pel loro aiuto spontaneo: come han raccontato vari psicologi, c’è chi prende le pantofole pel papà che ritorna a casa, chi usa il rastrello o la paletta, o ci son bimbi che si offrono di aiutare a pulire la casa o aiutano gli adulti ad afferrare un oggetto che non riescono a raggiungere o ad aprire una porta se han le mani occupate.
E’ degno di nota che non vi è suggerimento neanche con lo sguardo da parte dell’adulto. La sfida allora per noi adulti è: qual è la motivazione di tale gesto? Ottenere approvazione (e quindi la collaborazione sarebbe un adattamento per captatio benevolentiae, proprio come la loro attrattiva fisica, con le loro guanciotte piene e i loro occhioni grandi che ce li rendono subito simpatici)? O rendere felice l’adulto, insomma un’attenzione genuina?
Risulta poi che essi sian più inclini ad aiutare chi abbia già aiutato qualcun altro in precedenza anziché ai ricercatori dispettosi.
Un esempio mio di collaborazione spontanea: Daniela, 35 anni, milanese, mi racconta che il figlioletto Francesco di 3 anni si offre spontaneamente di aiutarla a medicarla dove è stata operata di melanoma, e le dice: “Mi aiuterai quando da grande vorrò fare il medico?”.

I Bimbi non condividono cogli Estranei?
Sono perfettamente normali

La condivisione col prossimo, che è una manifestazione di compassione, incomincia già dal(la seconda metà del) primo anno di vita ed aumenta esponenzialmente negli anni seguenti. (Non condividere cogli estranei è perfettamente normale e naturale: il bias (l’errore metodologico) di chi pretende di dimostrare una presunta gentilezza verso presunti estranei consiste semplicemente nel fatto che quei ricercatori presenti agli esperimenti maldestri non sono estranei ma interagiscono col bimbo già prima in un “riscaldamento” che inficia il risultato proprio perché familiarizzano!).

I Bambini più Grandi pensano la Generosità come Proporzionalità

Su quello che Jonathan Haidt chiama “Principio di correttezza/inganno” e “Principio di libertà/oppressione” abbiamo già parlato nel blog (http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html) ed infatti Bloom cita il medesimo esempio: il movimento di protesta di Occupy Wall Street (citato anche da Matthew Fox nel suo libro “Compassione”, Claudiana, Torino 1014, pag. 88).
Benché gli esperimenti che pretendono di dimostrare una tendenza all’equità nella “distribuzione delle risorse” secondo Bloom siano inficiati dall’influenza dei contesti scolastici delle scuole della classe media ove “il concetto di eguaglianza è costantemente inculcato nella mente dei bambini” (pag. 53), tuttavia vi sono esperimenti che mostrano che i bambini indicano i pupazzetti che fanno doni a tutti equamente come buoni: di nuovo, con la misurazione della durata dello sguardo, guardano più a lungo la scenetta ove la suddivisione è iniqua. Ma attenzione: i bambini non sono per l’egualitarismo che nega il merito individuale. Infatti, quando due individui, finito di giocare, riordinano insieme, e la ricercatrice li ricompensa in modo iniquo, la guardano più  a lungo (segno di stupore), così come fissano di più quando la ricercatrice ricompensa due personaggi di cui uno ha riordinato e l’altro è rimasto a giocare (segno che non se l’aspettavano un premio eguale per meriti diversi). Quando c’è un numero dispari di risorse, i bambini buttano via il premio (ad esempio la quinta gomma) piuttosto che darne una in più a qualcuno, ma se si aggiunge la frase “Dan ha fatto più lavoro di Mark”, quasi tutti mutano idea: la danno a Mark. Esperimenti condotti dallo stesso Bloom dimostrano che i bambini più grandi pensano alla generosità in termini di proporzionalità (un individuo che possiede 3 oggetti e ne regala 2 è più gentile di chi ne ha 10 e ne dona 3). Comunque, per coloro i quali ancora sognano il comunismo e se lo immaginano come uno stato di natura, Bloom ricorda che le piccole società ove regna l’egualitarismo sono egualitarie solo fra maschi adulti  mentre sono gerarchiche (patriarcali) verso mogli e figli, sono basate solo su caccia e raccolta, e sono estremamente violente verso donne, uomini e gruppi rivali. Inoltre, come spiega l’antropologo Christopher Boehm (in Hierarchy in the Forest: The Evolution of Egalitarian Behavior, Harvard University Press 1999) qui gli uomini sono eguali solo per tema che nessuno abbia troppo potere su di lui, tantoché adoperano lo scherno per demoralizzare chi osasse montarsi la testa, magari perché caccia in maniera più abile (come fra i Boscimani !Kung del Kalahari, in Africa) o perché chiede ad un altro di lavorare per lui (come fra gli Hazda). Noi, invece, abbiamo avuto chi si è preso troppo potere come Hitler, Stalin e Tito perché le nostre società non sono così piccole.


Un'Offerta troppo bassa suscita la nostra Indignazione Morale:
si vede dalla Faccia e dalle Neuroimmagini

Gli studiosi di economia cognitiva (detta anche psicoeconomia) hanno progettato giuochi semplici ed ingegnosi, come il Giuoco dell’Ultimatum (che avviene una sola volta): si sceglie a caso un proponente od un ricevente. Il proponente viene data una somma (es. 10 dollari) e lui sceglie se darne una parte o mano alla controparte (che potrà accettare o rifiutare: nel caso rifiuti, nessuno dei due potrà tenere i soldi). Se si crede ancora alla teoria economica classica (secondo cui noi siamo attori perfettamente razionali, e pensiamo solo al nostro utile: la massimizzazione del profitto), il proponente dovrebbe offrire il meno possibile e il ricevente accettare (1 dollaro è meglio di niente). Invece no! (Succede solo cogli studenti di economia, appunto). I non economisti offrono di solito metà o poco meno di metà: evidentemente sanno che un’offerta troppo bassa viene rifiutata (punendo così lo spilorcio). Ci siamo evoluti, spiega Bloom, per avere relazioni economiche ripetute, e non per transazioni anonime e uniche: siamo programmati per reagire all’offerta tirchia come se fosse la prima di una serie: possiamo osservare lo sdegno sia sui volti dei riceventi (contratti in un’espressione di disprezzo e disgusto, sia nei loro cervelli (con le neuroimmagini): sono attive elettricamente le aree associate all’emozione primaria della rabbia. (Vorrei aggiungere che questi dati dovrebbero far riflettere certi imprenditori italiani che, facendo offerte di lavoro e stipendio indegne ai candidati italiani, hanno concorso, con la loro insipienza, a generare la disoccupazione e la depressione economica).


Il bias del Giuoco del Dittatore:
voler apparire generosi
(cosa che non siamo con gli Estranei)
 
PREMI NOBEL. Il Premio Nobel per l'Economia
Daniel Kahneman col Premio Nobel per la Pace Obama. 
Allora, poiché questo esperimento la generosità è spiegabile con la paura che l’offerta sia rigettata (quindi comunque per una razionalità), lo psicologo israeliano Daniel Kahneman (Premio Nobel per l’Economia) ha ideato il Giuoco del Dittatore: viene data una somma al partecipante che può dare ciò che vuole ad un estraneo anonimo e può tenersi ciò che vuole. Se fosse vero, come pensa l’economia classica, che siamo agenti egoisti, non daremmo niente. Invece i più fra le persone donano il 20%: questa generosità, a differenza del precedente giuoco, non è motivabile dal timore della ripicca. Secondo alcuni, sarebbe questo innato senso di equità, ma, obietta Bloom, non succede che se troviamo 20 dollari per strada ne doniamo 10 al primo che passa. 
Il film del Premio Oscar Ron Howard, coi Premi Oscar
Russell Crowe e Jennifer Connelly,
è ispirato alla vita del matematico Premio Nobel per l'Economia
John Nash, che contribuì alla teoria dei giuochi. 

Il bias è la pressione sociale: i partecipanti sanno di prender parte ad uno studio sull’onestà e la gentilezza e non vogliono passare per stronzi (immaginate di giocare in Tv) e, benché lo scenario sia anonimo, tuttavia chi partecipare può sospettare che non sia così e dunque non si comporta in maniera naturale.
Lo psicologo Jason Dana ha perfezionato il giuoco del dittatore dimostrando che non abbiamo poi tanto questo senso di generosità cogli estranei: i partecipanti, cui venivano dati i dieci dollari, potevano scegliere se giocare come nel giuoco del dittatore descritto sopra oppure  tenere 9 dollari e lasciare il giuoco. E venivano avvertiti che, nel secondo caso, il (mancato) ricevente non l’avrebbe mai saputo. 
IL VERO JOHN NASH. Il grande
matematico americano è nato nel 1928.
Se fossimo perfettamente egoisti, giocheremmo per tenere l’intiera somma, che è meglio di 9 dollari.1/3 si tiene i 10 dollari. Come quando, teorizza Bloom, nel vedere un mendicante, anziché passare dritto decidiamo di evitarlo attraversando la strada, per non sentirci in obbligo.
Secondo me, questi esperimenti sono capziosi e non hanno un grande senso perché risulta evidente che nasciamo per instaurare relazioni anche economiche di tipo personale, e non con perfetti estranei come in questi giuochi.
L’economista John List ha creato una variante: al Dittatore eran dati 10 dollari, al ricevente 5. Il Dittatore poteva scegliere quanto donare: la cifra media donata era 1,33 dollari. Ad un secondo gruppo fu detto che poteva donare ciò che voleva, ma che poteva anche prendere un dollaro dall’altro: la somma media donata scese a 33 cents. Ad un terzo gruppo fu detto che poteva dare quanto voleva e che poteva prendere all’altro sino a 5 dollari: in media furono dati 2,48 dollari. Stavolta, il poter prendere fa la differenza perché la variante peggiore non è più non dare nulla, ma portare via tutti i soldi all’altro, e uno può pensare: non voglio apparire stronzo.
Il Giuoco dei beni pubblici è un altro test di psicoeconomia che dimostra quanto sia un istinto (che si nutre dell’empatia verso le vittime) la punizione altruistica (una logica intuita anche dai bambini piccoli): puniamo chi non ci danneggia direttamente (magari attraverso il pettegolezzo, che non ci costa nulla) perché così facendo, istillando il timore della punizione, facciamo comportare gli altri in maniera corretta e li scoraggiamo dal comportarsi in maniera scorretta. Come già intuì Adam Smith (nella solita "Teoria dei Sentimenti Morali") il colpevole “deve essere spinto a pentirsi e a dispiacersi proprio per quell’azione”. “Tutti gli uomini –scrisse il grande filosofo liberale- anche i più stupidi e irriflessivi, detestano la frode, la perfidia e l’ingiustizia, e provano piacere nel vederle punite. Ma pochi hanno meditato sulla necessità della giustizia per l’esistenza della società, per quanto ovvia tale necessità possa sembrare”. Si pensi (volendo fare noi un esempio) a come rimangono impuniti in Italia gli assassini che uccidono le persone quando sono ubriachi al volante. Gl’istinti moralizzanti dei bambini talvolta si riflettono nella violenza (che ha il suo picco nei due anni di età) ma anche nel pettegolezzo: essi vanno a riferire i torti a chi di dovere affinché costui venga punito, per il piacere di mostrarsi buoni agenti morali, e liberarsi dei costi potenziali della vendetta personale.
Per verificare se anche i bambini piccoli provano desiderio di vendetta e giustizia, a Bloom piacerebbe tanto poter fare questo esperimento che però il comitato etico di Yale non gli lascia fare: mostrare ai piccoli un personaggio buono ed uno cattivo (uno aiuta qualcuno a salire lungo il fianco di una collina e l’altro gli blocca la strada), poi li mettiamo entrambi dinanzi al bimbo che ha in mano un pulsante che, se premuto, farà contorcere il personaggio come se avesse subito una scossa elettrica: il bimbo toglierà il dito quando a gridare è il buono? E continueranno a premerlo col personaggio malvagio? Un esperimento è comunque stato fatto con bimbi già in grado camminare: coi pupazzi che giocano a palla. Uno la passa all’altro che gliela ripassava a sua volta e poi a un terzo che se la prendeva e scappava via. Alla domanda su chi meritasse un premio e chi punire togliendogli il premio, i bambini sanno indicare il buono e il cattivo. Ma non sappiamo se abbiano un impulso a ricompensare e punire e soprattutto sono già troppo grandi e potrebbero già aver appreso, osservando gli adulti, questi concetti.
(Dalla punizione altruistica sono escluse le società con scarso senso civico "come l’Arabia Saudita o la Grecia", ma potremmo aggiungere quelle parti del Sud Italia ove padroneggiano le mafie, ove esiste la punizione antisociale: chi è punito dalla punizione altruistica, lungi dall’essere in imbarazzo, è arrabbiato e si vendica contro chi l’ha attuata).

La Teoria della Coalizione: c’interessa la Razza così come la Divisa o la Lingua per riconoscere i potenziali Estranei
Noi prudenti. Gli scimpanzé invece aggrediscono le altre tribù
 
LE DIVISE CONTANO. Il rugbysta inglese
George Burgess. 
La nostra empatia e compassione si limita al cerchio dei familiari e membri del nostro gruppo. Gli estranei c’ispirano paura, disgusto ed astio, eppure anche le culture che non hanno il concetto di viaggio elaborano codici di ospitalità. Non siamo cioè al livello degli scimpanzé che, racconta la famosa primatologa Jane Goodall, quando s’imbattono in un gruppo più piccolo di un’altra tribù, uccidono il cucciolo e lo divorano, tentano di accoppiarsi con la femmina e aggrediscono il maschio. Sulla base del calcolo della durata dello sguardo (i bambini guardano di più ciò che gli piace), i bimbi mostrano una preferenza, adattativa, verso le persone familiari: ma è qui il seme del razzismo?
Noi adulti, quando vediamo un volto, registriamo tre cose: sesso, età, razza. Ma dal punto di vista evolutivo che utilità adattativa ha questo terzo elemento? Esso non è intrinsecamente interessante, ma conta solo nella misura in cui:
1) si fonda sulla coalizione: nelle società dei nostri antenati, già dal colore della pelle si poteva subito capire chi erano i gruppi nemici, proprio come quando riconosciamo i membri della squadra avversaria nei giuochi dal colore delle divise. Abbiamo biologizzato la razza, scambiando le coalizioni per diverse specie, e il razzismo è un epifenomeno dell’”effetto familiarità” (mere exposure effect: la ripetuta esposizione ad uno stimolo neutro lo rende familiare e dotato di positività). 
La primatologa Jane Goodall con uno dei suoi scimpanzé
Tale ipotesi è confermata dagli esperimenti di Kurzban che ha usato il memory confusion paradigm: si chiede di ricordare una lunga serie di volti e frasi attribuite a tali facce (con tratti somatici di varie razze), e la gente finisce per far confusione. Così si verifica ciò che resta davvero impresso come significativo per noi. Ne risulta che ci si ricorda comunque della razza. In una variante, presentarono queste facce da ricordare suddivise in due gruppi con egual numero di bianchi e neri con delle divise dai colori molto diversi. Secondo Pratto e Sidanius, le società generano gerarchie su tre fattori: sesso, età e una terza variabile (razza o religione o etnia o clan). Infatti, i bambini sono attenti anche alla lingua, come mostra il passo dei Giudici (12: 5 – 6) della Bibbia ebraica, ove la tribù dei Galaaditi, per accertarsi che nessun abitante di Efraim, la città conquistata, attraversasse i loro posti di blocco, imposero a chi chiedesse di passare di pronunziare la parola shibboleth (poiché il dialetto efraimita non aveva il suono sh i fuggiaschi avrebbero pronunziato sibboleth e i Galaaditi li avrebbero smascherati e uccisi): nella Seconda guerra mondiale, nel Pacifico, i soldati americani ai posti di blocco intimavano ai soldati che s’avvicinavano di pronunziare la parola Lollapalooza: i giapponesi faticano a dire il suono “l”. Così i bambini ricevono i doni di chi parla la loro lingua, e preferiscono giocare con chi ha la sua stessa madrelingua, se non altro perché è più facile. E preferiscono chi parla senza inflessione. Le ragioni quindi sono pratiche.
2) Oppure, l’importanza della razza ha senso per favorire ciò che ci rassomiglia perché è più probabile che abbia più geni come i nostri, sono più consanguinei.


NON SIAMO RAZZISTI NATI
In età prescolare non ci si cura della Razza
Nelle Scuole Miste meno Pregiudizi: Teoria del Contatto
     La Lingua più importante del Colore della Pelle 
Due compagni di scuola alle Sidwell, l'istituto quacchero
frequentato anche dalle figlie del Presidente Obama. 

Negli anni Settanta, si scopre che, dinanzi a due immagini di un bambino nero ed uno bianco, alla domanda su chi fosse quello buono, anche i neri rispondevano quello bianco: fu un esperimento citato anche nella sentenza del caso Brown v. Board of Education che pose fine alla segregazione razziale. La psicologa Frances Aboud ha criticato l’assurdità (ed il bias, cioé l'errore di metodo) dell’esperimento: i bimbi sono posti dinanzi ad un aut aut e non possono rispondere che la razza non conta. Tuttavia, in successivi esperimenti, posti dinanzi a immagini ambigue (un bimbo triste dinanzi ad un’altalena con un bimbo in piedi a fianco: a volte l’uno era bianco e l’altro nero, e viceversa), sono gli stessi bambini a tirare fuori l’elemento razza, ma solo quei bambini che frequentano scuole all white. Non quelli che frequentano scuole miste. E’ l’ipotesi di contatto: il contatto sociale riduce il pregiudizio.
La lingua è più importante della razza: quando ai bambini di 5 anni è chiesto di scegliere come amico un bianco o un nero, preferiscono il bianco, ma se devono scegliere fra un bianco con accento e un nero senz’accento, è quest’ultimo che preferiscono.
I bambini di tre anni non scelgono più bianchi che neri: i pregiudizi s’insinuano in sèguito e solo in certi ambienti. “Potremmo avere un’inclinazione naturale a favorire alcuni gruppi rispetto ad altri, ma apparentemente non siamo razzisti nati”.
Due psicologi sociali, Muzafer Sherif (di origine turca) e Hanri Tajfel, entrambi arrestati per essersi opposti al nazionalsocialismo, hanno ricercato il fattore minimo necessario per dividere le persone: il primo invitò nel 1954 due gruppi di bambini del primo anno delle medie ad un campus estivo in America: dormivano in posti diversi senza sapere dell’esistenza dell’altra “coalizione”. 
Jessica Chastain e il Premio Oscar Octavia Spencer nel film "The Help",
il bellissimo film tratto dal bellissimo romanzo di Kathryn Stocket,
scrittrice di Jackson che dichiara di aver scritto il libro per il rimpianto
di non aver mai osato chiedere alla sua tata di colore, prima che morisse,
come ci si sente a essere la domestica nera in una famiglia di bianchi.
La Chastain interpreta il fantastico personaggio di Celia Foot, una signora
gentile che stringe amicizia con la sua tata Minny. 

Lo scienziato si fingeva custode del campo e organizzò un primo contatto: i due gruppi enfatizzavano le loro usanze, uno divenne sboccato (usando parole come “negri”, anche se erano tutti bianchi!) contro gli altri e l’altro ostentava con orgoglio un linguaggio educato.

 Il primo gruppo vinse alcune gare e per ripicca gli avversari rubarono la bandiera e la bruciarono, gli altri si vendicarono distruggendo la capanna dei rivali mentre questi erano a cena e rubarono il premio. Fase due dell’esperimento: come far collaborare i due gruppi. Introducendo una tubatura rotta è una causa comune che li ricongiunge.
Un'altra scena del film "The Help": è la storia di Eugenia, 23enne appena uscita
dal college, aspirante scrittrice, nel Mississippi degli anni Sessanta.
Di idee integrazioniste, decide di raccogliere, in gran segreto, le storie delle
domestiche di colore che prestano servizio, fra ingiustizie quotidiane, nelle
case dei bianchi. Con quest'opera, la ragazza vorrebbe far sì che le cose cambino
in una società in cui regna la segregazione razziale e i neri non possono nemmeno
sposarsi con i bianchi. 

Ma possono nascere coalizioni anche senza tutto questo apparato (bandiere, linguaggio comune, etc)?
Tajfel chiese ad alcuni adulti di classificare dei dipinti astratti, poi diceva a metà del gruppo che aveva preferito Klee e all’altra metà che aveva preferito Kandinskij. Quando pii veniva loro chiesto di distribuire denaro ad altri amanti dell’uno o dell’altro pittore, davano di più al gruppo cui appartenevano. Il punto è che i bambini in età prescolare non si curano della razza, e in alcune scuole miste nemmeno i più grandi (pag. 105): sarà poi l’ambiente e l’esperienza o le leggi a dirci come fare distinzioni (come le leggi Jim Crow che, emanate fra il 1876 ed il 1965 dai singoli stati, hanno introdotto negli Stati Uniti la segregazione razziale, cfr. il romanzo di Kathryn Stocket, "The Help", pagg. 208 - 209 dell'edizione italiana economica Mondadori, Milano 2014, prima ediz. 2009). 
Jessica Chastain, Octavia Spencer e Mike Vogel in "The Help". 
Ad esempio, se a New York vedo una donna nera con un passeggino con dentro un neonato bianco indovino che è la babysitter, mentre non ne sono certo se vedo una signora bianca con nel passeggino un bébé bianco. L’esperienza quotidiana mi porta a fare quest’intuizione. E’ naturale ed inevitabile che noi umani usiamo categorie e categorizzazioni, dice Gordon Allport ne “La natura del pregiudizio”. 


Nel film "The Help" interpreta Aibileen, una tata a servizio in una famiglia
di bianchi razzisti, che si prende cura della piccola Mae Bo, facendo le veci
della madre spesso assente, fredda, anaffettiva e troppo presa da eventi mondani.
All'epoca, i domestici neri non mangiavano nemmeno coi padroni.

Spetta poi all’intelligenza della ragione sapere discernere ed evitare di colpevolizzare subito qualcuno per il colore della sua pelle.
Le persone a cui si chiede quali gruppi guadagnano o delinquono di più, dan risposte molto precise (Jussim, 2012): mi viene in mente una serie d'interviste Tv agli elettori dell'UKIP su quali fossero gl'immigrati che davano problemi: essi rispondevano che a dare problemi erano per la maggior parte i romeni ed i bulgari. Ma siamo anche guidati da un princìpio di equità, benché restino controverse leggi come le quote (affirmative action, forma di discriminazione cosiddetta positiva) e i blind reviewing (revisione anonima dei compiti onde evitare pregiudizi sui candidati) se non altro perché sono in contraddizione fra loro (l’uno si basa sulla razza, e, dovendo sottostare a queste quote di legge, deve preferire un candidato di una razza piuttosto che di un'altra; il secondo metodo, al contrario, la ignora).

Le Razze sono come grandi Famiglie
E Noi preferiamo ciò che è Familiare
(cioè chi condivide i nostri Geni e Valori)
perché è un Vantaggio Riproduttivo
Viola Davis nel ruolo della tata Aibeleen nel film "The Help".

Bloom scommette che fra cent’anni saremo ancora qui a parlare dei nostri pregiudizi di gruppo.
Ciò perché:
1) Noi siamo, secondo la Teoria della Coalizione sopra esposta, orientati a creare(in fretta) coalizioni: il semplice fatto di pensare qualcuno come membro di un out-group  (per esempio per una guerra) influenza i nostri sentimenti: nella Seconda guerra mondiale, agli americani sono diventati odiosi i giapponesi (prima considerati innovatori) e simpatici i cinesi (prima giudicati scaltri). Nella Guerra Fredda, i russi (giudicati coraggiosi per aver aiutato l’America contro Hitler) diventarono crudeli. Bloom critica come semplicistici test come quello che si vede nell’episodio 5 della prima stagione di Lie to me, mentre sono rivelatori di un reale disagio ad interagire con una razza diversa la misurazione del tempo di reazione, la conduttanza cutanea e l’attivazione dell’amigdala. Ciò perché
2)    le differenze esistono (come verso gli studenti universitari asiatici che in America hanno più forza di volontà, disciplina e risultati migliori, come spiega Daniel Goleman in Intelligenza Emotiva).  “Si può rendere l’argomento un tabù, ma senza un lavaggio del cervello non è possibile riprogrammare il cervello delle persone per cancellare ciò che sanno” (pag. 113).
Bloom cita però solo i pregiudizi positivi, allora citiamo uno negativo: per esempio l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg ha detto alla comunità afroamericana che se il NYPD ferma più spesso i cittadini di colore non è per "razzismo" ma perché, statisticamente, i crimini sono compiuti in maggioranza da afroamericani.
3)    Perché consideriamo familiari, e li favoriamo, persone che hanno condividono i nostri geni che li rendono inclini ad avere caratteristiche distintive: i gruppi umani sono come grandi famiglie. Famiglie che, naturalmente, condividono lingua, cibi e alcuni valori comuni. E i vincoli più saldi sono quelli familiari. I totalitarismi han tentato, invano, di sostituire la famiglia con lo Stato o la Chiesa. Il senso di appartenenza ci dà felicità, non vogliamo che la nostra cultura e la nostra lingua si estinguano. Insomma, “i vantaggi della nostra natura campanilistica superano il prezzo da pagare”.

Il Disgusto di Base è un Adattamento:
c’impedisce d’ingerire Cibi Pericolosi
 
Paul Rozin (Università della Pennsylvania) è uno psicologo e biologo
che ha studiato a fondo il disgusto.
Oltreché di compassione verso chi soffre, rabbia contro gl’imbroglioni e gratitudine verso chi è gentile, noi nasciamo anche per sviluppare (non subito) un disgusto fisico verso una serie di cose
(o persone) potenzialmente pericolose/contagiose. 
Ma il disgusto è un caso a sé stante.
Partiamo dal disgusto di base (core disgust) studiato da Paul Rozin. Il disgusto fisico.
Com’è noto, i bambini non hanno ancora disgusto delle loro feci, come spiegava già Freud: Rozin offrì “feci di cane” (in realtà burro di arachidi e formaggio dall’odore pungente) per vedere la reazione dei bimbi ed i più le han mangiate. 
L'espressione del disgusto fisico (yuck face) in cui
storciamo il naso e serriamo la bocca suggerisce
che sia nato per impedirci di mangiare cibi pericolosi. 

Solo contestualmente al toilet training, il bambino impara che è pericoloso: è possibile che questo disgusto basilare sia un adattamento per impedirci d’ingerire cibi pericolosi (patogeni e parassiti), emergerebbe spontaneamente ad un certo livello dello sviluppo perché se emergesse troppo precocemente i bambini non riuscirebbero a fare nulla, infastiditi dai propri escrementi. La parola, dal latino, significa “gusto cattivo” e la particolare espressione facciale (yuck face) corrisponde proprio al tentativo di non sentire l’odore e impedire l’accesso in bocca; il senso di nausea che l’accompagna serve per inibirci a mangiare; le donne incinte ne sono particolarmente sensibili proprio nel periodo in cui il feto è sensibile alle sostanze tossiche e la corteccia insulare anteriore (coinvolta nel gusto e nell’olfatto) è attiva quando vediamo immagine disgustose. Ci disgusta l’odore di un estraneo che non si lava perché ci suggerisce malattie contagiose. Darwin descrive il proprio disgusto nel vedere il proprio cibo toccato da un selvaggio nudo “anche se le sue mani non sembravano sporche”. Poi noi siamo tentati di usare la retorica del disgusto nei confronti di chi disprezziamo moralmente (“mi fai schifo”). Chi è più sensibile al disgusto è politicamente più severo verso l’immigrazione.

IL DISGUSTO OMOFOBICO
Perché alcune pratiche sessuali ci disgustano? Fu un incidente biologico, una confusione. La morale non c’entra
(L’Etica riguarda Giustizia e Cooperazione)
Il giurista americano Richard Posner ha dichiarato di aver
mutato idea sull'omosessualità scoprendo il dialogo
Simposio di Platone. Sopra, in foto, l'affresco della Tomba
del Tuffatore a Paestum rappresenta una scena di simposio.

Le pratiche sessuali che disapproviamo sono le stesse che consideriamo (alla sola idea) disgustose.
Per esempio, l’omosessualità è disgustosa per la maggioranza del mondo e sino alla sentenza del caso Lawrence v. Texas del 2003 13 stati degli USA avevano leggi antisodomia. Un sondaggio del 2012 segnala che il 42% degli americani la trova immorale. Persino Jefferson (che abbiamo citato sopra assieme ad Adam Smith per la sua intuizione che abbiamo un senso morale come un sesto senso) aveva fatto un ddl in Virginia per castrare gli omosessuali e amputare la cartilagine del naso delle donne lesbiche, paragonando questo atto allo stupro. “Jefferson era misericordioso per gli standard dell’epoca. La sua proposta fu rifiutata perché non abbastanza dura” (pag. 128)! E passò la linea della pena di morte. 
Secondo la filosofa del diritto Martha Nussbaum,
non possiamo fondare i nostri giudizi sul disgusto fisico
come nel caso del disgusto omofobico. 
Dal punto di vista evolutivo, l’omosessualità esclusiva non reca danno, a differenza del nostro naturale disgusto verso l’incesto: ci sono alte probabilità che il bambino erediti due copie di un allele che (innocuo da solo) in coppia diventa deleterio. Ma siamo disgustati persino nella situazione immaginata da Jonathan Haidt (vedasi il mio articolo  http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html).
Secondo Rozin, sebbene il disgusto si sia originato per difendere il corpo, si è poi evoluto come difesa dello spirito: ci disgusta ciò che ci pare minacciare la nostra immagine di noi stessi “da tutto ciò che ci ricorda la nostra natura animale”, come aveva già scritto anche la filosofa Martha Nussbaum (Hiding from Humanity, 2004: su questo tema, la negazione della nostra natura animale,  torneremo con un articolo ad hoc sui diritti degli animali). Bloom discorda: teorie troppo cerebrali (non si è “disgustati” da un cadavere, per esempio), anche se giustamente i due studiosi hanno ragione quando dicono che c’entra il desiderio di purezza. I riti di purità sono parte di molte religioni. Il sesso è disgustoso perché coinvolge i corpi e i fluidi innescano la nostra reazione di disgusto di base. Associamo il concetto di pulizia e sporcizia persino alla lingua: un linguaggio è sporco, le intenzioni pure etc. Ad alcuni soggetti fu chiesto di recitare una scenetta in cui facevano circolare una voce malevola contro qualcuno usando o la segreteria telefonica o l’email: i primi (che avevano usato la bocca), dovendo scegliere un dono, preferivano il colluttorio; i secondi (che avevano usato le mani) i disinfettanti: l’idea di pulizia allevia il senso di colpa e vergogna (effetto Macbeth). Si pensi al concetto di pulizia etnica: si giustifica l’espulsione di un gruppo col pretesto che contamina la purezza della nazione.
Quelle società che condannano pratiche come l’omosessualità non sono più forti: questo disgusto non è un adattamento e queste intuizioni legate al disgusto sono inutili o dannose. Non solo perché, a differenza di altri atti (l’omicidio, lo stupro) non si riescono a fornire valide ragioni morali ma anche perché, se guardiamo alla storia di questo genere di disgusto, vediamo il disgusto antiebraico da parte dei nazisti (che essi animalizzavano chiamandoli ratti o insetti viscidi) e il disgusto contro i matrimoni interraziali (miscegenation): é la “malattia del disgusto”, come la chiama Martha Nussbaum, che produce disumanizzazione ed ha permesso la Shoah, su cui torneremo in prossimi articoli ad hoc.
Secondo lo psicologo di Berkeley
Elliot Turiel, la morale riguarda
la giustizia, i diritti ed il benessere:
non c'entra nulla col disgusto omofobico
che non può essere in alcun modo un criterio
etico. 
Come lo spieghiamo, allora, alla luce dell’Evoluzione, questo difettoso orientamento che ancora molti hanno? Per Bloom “la nostra reazione alle trasgressioni sessuali potrebbe essere un incidente biologico, ma non la sentiamo diversa da altre risposte morali che si sono evolute come forme di adattamento”, cioè le nostre intuizioni morali, anche perché il caso ha voluto che le religioni le abbiano santificate.
Non è qualcosa che ha a che fare con la morale.
La morale, dice lo psicologo di Berkeley Elliott Turel, concerne la giustizia, i diritti e il benessere.
Jonathan Haidt la definisce (nel suo libro “Menti Morali” che abbiamo recensito qui ) come “un insieme interdipendente di valori e istituzioni che agiscono per tenere a freno o regolare l’interesse personale e rendere possibili le società cooperative”.
Invece qui respingere i gay come persone malate o disgustose è immorale ed irrazionale: dobbiamo allora abbandonare questi istinti antisociali usando la razionalità (pag. 141).
Come s’è detto, la familiarità è importante. Ed è importante la famiglia. E’ grave, denunzia Bloom, che l’indice del Moral Psychology Handbook non abbia una voce per madre, figlio, famiglia: “per capire la natura morale dell’uomo è necessario comprendere la peculiarità di certe relazioni” (pag. 144).

Non siamo Consequenzialisti come Bentham (lo sono semmai i Sociopatici): per noi contano i Princìpii e le Persone
La Nostra Avversione Adattativa
a colpire un Estraneo senza Provocazione

Il Premio Oscar Christian Bale
nel thriller "American Psycho".
Gli psicopatici, dice Bloom,
fanno sempre una brutta fine
a causa della loro mancanza di paura
dei rischi. 

Oggi i filosofi morali si dividono in due campi:
1)    consequenzialisti: giudicano le azioni sulla base delle conseguenze (es. vago: torturare un criminale affinché con la sua confessione dia dati utili per salvare innocenti), come l’utilitarismo di Bentham e del suo allievo John Stuart Mill;
2)    i deontologisti: dal greco δέον -οντος (dovere) sostengono la necessità di rispettare princìpii più ampi (la dignità di ognuno), anche se provocano conseguenze peggiori (un male ad un maggior numero di persone) come l’imperativo categorico di Kant: la maggioranza di noi lo è perché c’ispiriamo a dei princìpii intuitivi.
Un modo di “fare filosofia” è creare dei problemi di fantasia e sottoporli: i filosofi hanno escogitato dilemmi morali artificiosi come il carrello ferroviario impazzito:
1)    La Leva: un carrello di un treno viaggia fuori controllo lungo un binario e sta per investire 5 persone legate ai binari; io posso azionare una leva che farebbe deviare il carrello su un altro binario ove c’è…un’altra persona. Il treno, dunque ucciderà comunque qualcuno: o 5 persone od una. 5 contro 1: cosa scelgo? I più (compresi i bambini di 3 anni) scelgono di sacrificare una persona e salvarne 5.
2)    Il Ponte: stavolta io sono su un ponte che s’affaccia sul binario vicino ad un uomo grasso. Se lo spingo giù dal ponte per farlo finire sui binari (NB: io sono troppo esile per fermare il carrello, perciò non è prevista l’opzione che sia io a saltar giù). Anche qui 5 contro 1. Che faccio: spingo l’uomo pingue o non faccio nulla? Per i più, è meglio non far nulla.
La casa di Norman Bates (che fa da set al thriller "Psycho"
del Premio Oscar Alfred Hitchcock) si può
vedere durante il Tour al Parco degli
Universal Studios Hollywood, in California. 


Non è bizzarro questo contrasto di risposte? Eppure, a conti fatti, l’esito è quantitativamente identico: salvo 5 persone e ne sacrifico una. Evidentemente, sono le diverse emozioni a fare la differenza. Ma quale? E’ possibile che “abbiamo sviluppato una specifica avversione” (che “ha un senso adattativo”) “ad aggredire un altro senza provocazione” (pag. 165). Anche al di là della morale, è pericoloso e dunque svantaggioso: potremmo fallire e restare uccisi (nel tentativo di difesa dell’altro e nella vendetta della famiglia).
Joshua Greene ha usato le neuroimmagini e ha scoperto che solo le persone neurologicamente sane (non i sociopatici) distinguono fra i casi 1 e 2 (come sopra), invece per gli psicopatici (in quanto privi di emozioni morali) sono equivalenti: lungi dall’essere un dilemma morale, esso è “come un problema matematico”. Secondo Koenigs, sia chi ha la corteccia prefrontale ventromediale danneggiata (quindi simile agli psicopatici) sia gli universitari borderline tende più a scegliere di spingere l’uomo giù dal ponte: come se fosse meno inibito ad uccidere con le proprie mani. Alcuni studiosi stuzzicano i consequenzialisti dicendo che ad esserlo risultano gli psicopatici, non i normali! (Jonathan Haidt, in “Menti morali”, cita anche l’ipotesi, a posteriori, che avendo pochi amici, Bentham, fondatore dell’utilitarismo, fosse affetto da sindrome di Asperger: http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html).
Greene ha poi scoperto che se invece di spingerlo giù dal ponte, le persone normali potessero azionare una leva che apre una botola sotto i suoi piedi, la gente sarebbe più propensa a sacrificare l’uomo: ad ucciderlo. Ecco allora evidente che è l’idea di toccare l’uomo che suscita (io direi) la nostra inibizione naturale ad uccidere.
Ne scopriamo delle belle quando introduciamo il fattore “razza”: è giusto sacrificare un individuo con un nome afroamericano per salvare 100 membri della New York Philarmonic? E’ giusto salvare uno con un nome bianco per salvare 100 membri della Harlem Jazz Orchestra? “I conservatori si dimostrano imparziali, i liberals invece no: sono più inclini a uccidere una persona bianca per salvarne cento nere piuttosto che il contrario” (pag. 152).
Secondo Bloom sono decisioni astratte, queste cui sono sottoposti i soggetti sperimentali di simili test: essendo astratta (basata su persone sconosciute) ci sono dunque scarse emozioni come quando, nel mondo reale, noi non biasimiamo mica chi non fa l’elemosina.
Bloom mette in guardia dal fare confusione fra le due discipline: filosofia e psicologia. La filosofia ci dice come dovremmo diventare per migliorare come umanità. La psicologia fa una storia naturale dell’evoluzione che incomincia con piccoli gruppi non con la globalizzazione! I nostri istinti sociali si sono evoluti per interagire con persone che vediamo frequentemente, “non con estranei anonimi” (pag. 154): “la logica della selezione naturale impone che i nostri impulsi altruistici debbano essere discriminatori: esiste un forte vantaggio riproduttivo nell’essere inclini a favorire gli amici e la famiglia rispetto agli estranei” (pag. 155), i buoni si sono riprodotti di più.
Ma come, di preciso? E’ oggetto di dibattito: la nostra natura punitiva si è evoluta perché quei gruppi che hanno membri che puniscono gl’imbroglioni stanno meglio oppure perché chi punisce è più attraente e più incline a sopravvivere e riprodursi? Quel che è certo è che “tutti i vantaggi evolutivi delle origini della morale sottolineano l’importanza della comunità, dell’amicizia e soprattutto della consanguineità” (pag. 155).
A livello individuale, la nostra vita morale si sviluppa contestualmente ai legami particolarmente forti che sbocciano fra genitori e figli: noi umani abbiamo l’infanzia più lunga ove siamo particolarmente vulnerabili.

PSICOECONOMIA. Paul Zak
è un neuroeconomista americano
autore di "The Moral Molecule". 
Ossitocina: la Molecola della Morale
Prodotta dalla Madre, origina i Sentimenti
di Amicizia e Generosità del Figlio

Che alcuni aspetti del nostro senso morale (dei quali alcuni, si è detto sopra, sono innati) si sviluppino nel contesto della relazione madre-figlio, lo suggeriscono gli effetti di un ormone: l’ossitocina. Prodotta anzitutto per facilitare le contrazioni durante il travaglio e stimolare i capezzoli per indurre la produzione del latte, ha altri effetti psicologici: in circolo nel nostro corpo, ci rende rilassati, sereni ed amichevoli; nei giuochi di psicoeconomia (vedi sopra) siamo più generosi, ma (annusando uno spray all’ossiticina si è scoperto che) siamo più gentili col nostro gruppo e desiderosi di screditare i membri degli altri.




Jonathan Haidt, intuizionista come Bloom: 
abbiamo 6 Princìpii Morali/Politici
Bloom: tutto OK ma io parto dalle Persone e dalle Famiglie

L’antropologo Richard Shweder ha ideati la teoria secondo cui esistono tre tipi di etiche:
- L’etica dell’autonomia (kantiana, direi), dominante in Occidente, che si concentra sui Diritti
- L’etica della Comunità (direi di Destra) che si concentra sul Dovere
- L’etica della divinità (tipica delle società come India e mondo islamico).
Lo psicologo Jonathan Haidt ha approfondito questa triade e (come ho illustrato nella mia recensione dedicata al suo libro “Menti tribali” http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html) sostiene che siamo dotati di sei coppie d’intuizioni morali: protezione/danno, correttezza/inganno, lealtà/tradimento, autorità/sovversione, sacralità/degradazione, libertà/oppressione. I liberali conservatori “tendono a concentrarsi su tutte le coppie allo stesso modo” (pag. 158).

La Famiglia è la Forma Originaria della Morale, poi viene la Comunità (come Adattamento). E gli Estranei? Non esiste
alcuna Forza Morale Naturale verso di loro
LEGAMI VISCERALI. La famiglia è la cellula della morale.
La gentilezza verso i familiari, secondo Bloom, emerge
direttamente attraverso la selezione naturale. 

Bloom si dice “favorevole a quest’approccio” che però ha il limite di non spiegare adeguatamente la famiglia e gli amici.
- Bloom invece parte proprio da qui, dai legami degl’individui e ribadisce ancora una volta: “Innanzitutto ci sono i familiari. La gentilezza nei confronti dei familiari è la forma originaria della morale ed emerge direttamente attraverso la selezione naturale. Dal momento che condividono i nostri geni, è, in fin dei conti una gentilezza verso noi stessi” (pag. 158).  E a differenza degli altri animali, biasimiamo chi non onora il padre e la madre e i genitori snaturati.
- Solo in un secondo momento vengono i sentimenti verso i membri del nostro in-group (tribù o comunità) che “si sono evoluti come forme di adattamento in virtù del vantaggio per tutti della cooperazione."

- “La forza che guida la morale nei confronti degli estranei è…inesistente. Non possediamo né un altruismo naturale nei loro confronti né un desiderio innato di essere gentili con loro” (pag. 160): ecco perché i più distolgono lo sguardo da chi fa l’elemosina o si trova sdraiato per strada. Non fanno parte del mio in-group (famiglia, amici, colleghi, compagni di giuoco).
Né devono scandalizzare quei politici che vogliono i respingimenti degl’immigrati clandestini africani anziché l’accoglienza. Chi invece (come i criminali nazisti) ha giustificato il genocidio hanno tentato di persuadère i membri della propria nazione che quegl’individui (come gli Ebrei, che erano parte integrante del loro in-group) sono in realtà degli estranei: “gli Ebrei non sono veri Tedeschi”. Quando vogliamo rafforzare i legami di un gruppo, creiamo delle famiglie fittizie, come i gay senzatetto di New York descritti dalla scrittrice Rachel Aviv (nel suo articolo “Netherland”, pubblicato sul New Yorker, 10 dicembre 2012, pag. 64).

LE INTUIZIONI dei GRECI
Il gran Viaggiatore Erodoto: l’Abitudine è Regina 
E Aristotele: il Virtuoso fa il bene per Abitudine
Siamo Noi o Dio a guidare l’Evoluzione?

CI PIACCIONO LE STORIE OVE VINCONO I BUONI.
Lo psicologo evoluzionista americano Jonathan Gottschall
è intervenuto alla rassegna "Jewish and the City" quest'anno.
 Paul  Bloom (che tuttavia non lo menziona in "Buoni si nasce")
scrive che sin da bambini mostriamo una preferenza
per le storie dove trionfano i personaggi buoni: un ulteriore
indizio che suggerisce che siamo orientati al bene.  

Non tutti i nostri atti sono però interessati (come certe forme di carità che sono persino un modo per attrarre partner sessuali, come osserva il sociologo Thorstein Veblen, quello che ha teorizzato l’effetto Veblen): e allora come si spiegano i gesti di altruismo?
Bloom è estremamente onesto e corretto quando ricorda che il co-scopritore (con Darwin) della selezione naturale, Alfred Russel Wallace, nell’osservare le facoltà morali superiori degli animali umani, concluse che dovesse esserci un’intelligenza superiore che plasma lo sviluppo della nostra specie (come ricorda anche Padre Matthew Fox nel suo libro sugli angeli, che recensiremo in questo Blog). Ma Bloom non ci crede perché pensa che la mente si riduca al cervello.
I gesti di altruismo senza scopo riproduttivo (cioè non adattative) sono coerenti con l’evoluzione biologica perché la selezione naturale risponde a contingenze momentanee, come ad esempio il desiderio sessuale che non ci porta mica sempre a procreare, ma a godere delle gioie del sesso anche senza un fine procreativo.
Lo stupore di Wallace è come la meraviglia per le lenti: “il perfezionamento della nostra morale è il prodotto dell’interazione e dell’ingegno umano: creiamo degli ambienti che possono trasformare un bambino dotato di una morale limitata in un adulto moralmente maturo” (pag. 170). Come aveva già osservato Aristotele nell’Etica Nicomachea, gli uomini virtuosi hanno trasformato l’impegno a comportarsi bene in un’abitudine automatica sicché fanno sempre la cosa giusta senza doverci pensare (perché è il risultato di una meditazione precedente). Conta molto la cultura, le abitudini culturali, le usanze. Di nuovo torna un’intuizione di un greco antico, Erodoto: “L’usanza è sovrana di tutte le cose”. “la maggior parte di quello che impariamo è inconscio”.

Libri, Sit-Com e il Contatto (a scuola e al lavoro) 
espandono il Cerchio morale (es. verso gay e neri):
amiamo le Storie dove vincono i Personaggi Buoni
Ma anche la Ragione ha un ruolo nel Progresso
 
Per la filosofa e giurista americana Martha Nussbaum
i buoni libri sviluppano la nostra immaginazione narrativa. 
Noi possiamo, come dice il filosofo Peter Singer, “espandere il nostro cerchio morale” o “cerchio di simpatia” (l’insieme degl’individui di cui c’importa) anche se non ci dà vantaggio materiale: con quali forze?


1)     Il contatto (la Teoria del Contatto citata sopra che riduce i pregiudizi razziali): ad esempio poliziotti bianchi affiancati a partner neri, scuole miste.


2)     L’immaginazione narrativa di cui parla la filosofa Martha Nussbaum (l’immaginazione morale di cui parla Mary Richards, citata da Matthew Fox in “Compassione”, pag. 41). Per esempio Bloom non aveva mai pensato ai detenuti in isolamento e solo dopo averne letto in un articolo ha mutato punto di vista.  Oliver Twist di Dickens ha sensibilizzato sullo sfruttamento dei bambini nell’Ottocento; La capanna dello zio Tom ha offerto ai bianchi la prospettiva dei neri; la televisione ha offerto personaggi gay e neri simpatici, in serial come i Robinson.  Vorrei aggiornare quest'intuizione della Nussbaum con un nuovo dato apparso recentemente su Science: lo psicologo Emanuele Castano (della New School for Social Research di New York) ha dimostrato che chi legge dei buoni libri (con raffinate descrizioni psicologiche) affina la propria intelligenza emotiva: risulta più bravo ad intuire i pensieri dell'interlocutore anche solo guardandolo negli occhi.
      Anche la buona televisione amplia il nostro cerchio morale: “La sit-com è la forza maggiore che soggiace al cambiamento morale avvenuto negli ultimi trent’anni negli Stati Uniti” (pag. 178), come ho spiegato nell'analisi del mio blog http://lelejandon.blogspot.it/2013/04/la-nobile-gara-fra-francia-inghilterra.html.
IL RUOLO della TELEVISIONE contro L'OMOFOBIA.
Uno dei personaggi del serial "Brothers and Sisters"
è gay: le situation comedies made in USA hanno fatto entrare
nelle case americane anche le vicende delle persone gay
ed hanno dato un grande contributo contro l'omofobia.
Ricordo che la stessa Nussbaum in un suo libro aveva citato il caso del giurista Richard Posner il quale mutò idea intorno all’amore gay leggendo da adulto il Simposio di Platone. Ma lo stesso Posner fa notare che anche i dittatori erano grandi lettori; ma resta che le persone con più intelligenza sociale leggono più romanzi di chi legge saggi. Chi ha un lieve autismo, legge meno narrativa dei normali. Ma Nussbaum ribatte che i nazisti non leggevano i libri giusti (di qui la polemica di chi vede in questa prospettiva una forma di moderna censura contro certi classici).
“Le teorie sul cambiamento morale devono poter spiegare perché le storie che narrano un’apertura agli altri abbiano più fortuna di quelle crudeli,  e perché siamo più motivati a creare innanzitutto personaggi buoni” (pag. 178).
Nel popolare telefilm col Premio Oscar Sally Field
"Brothers and Sisters", che racconta delle vicende di una
famiglia numerosa dell'upper class di Los Angeles,
uno dei protagonisti è gay (sopra, a sinistra).
Anche le serie televisive possono
ampliare il nostro cerchio morale perché sviluppano la
nostra immaginazione narrativa nei confronti di
persone che magari non abbiamo mai avuto modo
di conoscere. 
Veniamo al ruolo della religione: è un incentivo o no alla morale? Secondo il giurista neozelandese Jeremy Waldron, l’espansione del nostro cerchio morale ha origine negl’insegnamenti della Bibbia ebraica: nei precetti della Torah, nei sermoni dei profeti e nella poesia dei salmisti. Infatti, le istituzioni benefiche e il movimento dei diritti civili americani sono stati fondati sulla fede e sostenuti da leader religiosi. A quegli atei militanti, come Christopher Hitchens (1949 – 2011), che sostengono come la religione sia violenta e intollerante, Bloom risponde che questa è una domanda cui non si può rispondere perché la maggioranza delle persone sono credenti e ciò rende difficile separare l’influenza della religione dagli altri aspetti  che concorrono alla nostra visione morale (pag. 180). Possiamo però rispondere alla domanda se i credenti siano più morali dei non credenti e la risposta è che sono più generosi nelle opere di carità (anche verso le associazioni benefiche non religiose), come hanno mostrato Robert Putnam e David Campbell, già citati da Jonathan Haidt http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html). 
Quel che conta è che frequenti una Comunità religiosa e vi partecipi: un ateo coinvolto nella vita sociale della congregazione (ad es. attraverso il coniuge) tende a fare più volontariato di uno che prega da solo (Putnam e Campell, American Grace: How Religion Divides and Unites Us, Simon & Schuster, New York 2010, pagg. 467 e 473).
LA COMUNITA' RENDE GENEROSI.
Chi frequenta una Comunità
religiosa (anche se ateo, per esempio
attraverso il marito o la moglie) è più generoso. 
Ma attenzione: è possibile, come pensa Robert Wright (L’evoluzione di Dio) che la fede rifletta una morale, non la determini: dipende dalla situazione culturale esterna che può restringere (come in caso di guerra) od espandere il cerchio morale. Può essere che la fede comunque rafforzi la credenza di una società incline ad odiare un certo gruppo, ma resta il fatto che gli atei non possono non riconoscere che anche chi è orientato alla compassione può trovare sostegno nelle Scritture. (Qui è quello che Haidt chiama “pensiero confermativo”: cercare conferme a quello che è già un nostro orientamento). Come ricorda anche Vito Mancuso, la regola aurea c’è in tutte le religioni: “fa agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” (l’ebreo Gesù), “ciò che non è buono per te non lo fare al tuo prossimo, questa è tutta la Torah, il resto è commento” (riassume il rabbino Hillel), “Ciò che non vuoi che sia fatto a te, non farlo agli altri” (Confucio). Secondo il filosofo Peter Singer, questa logica dell’imparzialità (delle religioni come del filosofo Adam Smith che teorizza uno spettatore imparziale), che è alla base dei sistemi legali e giudiziari, nasce dal bisogno di render ragione (Platone direbbe: logon didonai) delle proprie azioni ad altri esseri razionali, e cita il liberale David Hume (il quale fu fra l'altro grande amico fraterno di Adam Smith, ndr)  secondo cui chi vuol dare una giustificazione valida deve “abbandonare la propria situazione personale e scegliere il punto di vista comune con gli altri”: in altre parole, se mi è concesso spiegare meglio di Bloom, la morale deve essere universalizzabile (come direbbe Kant). Per esempio, se io colpisco qualcuno, non è giustificabile se dico “perché mi andava di farlo”, è moralmente accettabile se spiego che “lui mi ha colpito per primo”.

RIVALUTAZIONI
Kohlberg sottovalutò la Morale dei Bimbi
Gli psicologi odierni sottavalutano gli Adulti!
I bambini son meno egoisti di come li descrisse lui nei suoi stadi. Noi meno irrazionali di come ci dipinge la psicologia oggi
Lawrence Kohlberg (1927 - 1987) fu uno
psicologo di Harvard: studiò come i bambini
passano da uno stadio in cui credono nell'interesse
personale ad una fase in cui credono nel principio
di autorità sino ad una fase evoluta in cui sono
in grado di formulare princìpi universalmente validi.

Il bambino piccolo non ha ancora maturato quest’imparzialità razionale, ci vuole tempo, come mostra la teoria degli stadi di sviluppo morale di Lawrence Kohlberg di Harvard che però sottovaluta le capacità morali dei bambini. Prima i bambini pensano sia morale ciò che è nel loro interesse personale (“è buono ciò che mi piace”), poi ciò l’Ipse dixit dei genitori (“è buono perché l’ha detto papà”), ed infine raggiungono lo stadio in cui formulano princìpi universali. Quindi se da una parte Kohlberg è stato superato dagli esperimenti della psicologia contemporanea, dall’altra ha ragione laddove invece gli psicologi contemporanei sono limitati: il ruolo della ragione (e della libertà) nelle nostre decisioni razionali di adulti.
L’imparzialità e l’empatia spesso si rafforzano a vicenda: gl’incoraggiamenti empatici che i genitori fanno ai figli (facendo loro immaginare il punto di vista degli altri a cui han fatto o stanno per fare un torto) vogliono trasmettere proprio questo senso d’imparzialità, il non far sentire il bambino moralmente privilegiato, al di sopra degli altri.
Attenzione: non sempre magari espandere il nostro cerchio di simpatia è socialmente utile. 
IL LINGUAGGIO DI DIO.
Il grande scienziato Francis Collins,
biologo, interpreta la bontà come
un dono di Dio: anche Alfred Russel
Wallace (scopritore con Darwin della
selezione naturale) credeva sia nell'
Evoluzione sia in un Disegno Intelligente
di Dio. Il famoso genetista è stato nel team
che ha decodificato il genoma umano. 
Occorre la ragione che “ha guidato il progresso morale nel corso della storia” anche se, purtroppo “la tendenza attuale in psicologia e nelle neuroscienze è minimizzare le decisioni razionali in favore di sentimenti istintivi e motivazioni inconsce” (pag. 185). Ma attenzione, dice Bloom: ciò non significa che la ragione sia irrilevante. Anzi, l’idea che siamo “schiavi” delle passioni “è confutata dall’esperienza di ogni giorno, dalla storia e dalla psicologia evolutiva” che mostra persino i bambini capaci di fare dei primi ragionamenti morali ed arrivare a concepire princìpii d’imparzialità.
Nella maggioranza delle azioni, le persone sanno dare una giustificazione razionale del perché un atto sia giusto o sbagliato. “Le decisioni morali” dice Bloom (egli vuol dire: razionali e libere) sono tante ma trascurate dagli psicologi a causa del fatto che è scontato, non sarebbero lette nelle riviste che contano. Ciò che spesso viene pubblicato sulle riviste scientifiche e sulla stampa generalista non è come funziona la nostra mente: pensarlo “equivarrebbe a guardare le notizie del telegiornale e concludere che lo stupro, il furto e l’omicidio fanno parte della vita quotidiana di ciascuno di noi, dimenticando che non riportano la grande maggioranza dei casi in cui non accade niente del genere” (pag. 188).
Il libro ha il pregio di svolgere una critica ragionata dei vari errori metodologici di troppi esperimenti e riaffermare il giusto ruolo della razionalità dinanzi ad un attuale trend, quello delle neuroscienze, che pare quasi negare l'esistenza della libertà e della ragione nelle scelte umane. 
Infatti conclude così (pag. 194): “Una parte fondamentale della nostra morale-quasi tutto ciò che ci rende umani- emerge nel corso della storia dell’uomo e dello sviluppo individuale. E’ il risultato della compassione, dell’immaginazione” (morale) “e della nostra straordinaria capacità di ragionare”. Per chi cerca certezze, sappia che il volumetto è pieno di “o forse”, “ma forse”, “presumibilmente”, “potrebbe”, “questo spiegherebbe”, “alcuni studiosi credono…altri sostengono…”: siamo dinanzi a teorie falsificabili della psicologia evoluzionisticaQuesta meraviglia della Natura, questi dati sperimentali che suggeriscono che già nasciamo intelligenti e orientati al bene dovrebbe rallegrare sia i credenti sia i non credenti, dopodiché ciascuno deve sentirsi libero di credere ciò che vuole: non c’interessano le polemiche fra chi crede che questa bontà sia frutto dell’Evoluzione o (anche) della guida di un disegno divino intelligente. Sono entrambe opinioni legittime. Infatti, ricordiamo ancora una volta che quella di Bloom è un’opinione: come ci sono scienziati non credenti come lui, ci sono non meno autorevoli scienziati come il da lui citato Collins che credono nell’Intelligent design.
Infine, qualche rilievo all’edizione italiana: a parte la banale copertina italiana (col diavoletto e l’angioletto), mi tocca segnalare un errore di traduzione: liberals tradotto con “liberali” (pag. 152 e 158), in realtà sono i progressisti (orientati al Partito Democratico americano). Confesso che trovo gli esperimenti basati sui dilemmi artificiosi ed improbabili (da proiezione-prova di un film horror più che da test rigorosamente scientifico) e sono estremamente scettico sulla loro utilità perché mi paiono fuori dalla realtà che è fatta di relazioni vis-à-vis.  Il volumetto, a livello di ricerche, non presenta molte novità (eccettuati gli esperimenti dello stesso Bloom) e (tradendo il titolo italiano per cui pare un libro incentrato sui bambini) dedica una parte centrale davvero sproporzionata alla teoria dei giuochi (degli adulti): ben 48 pagine, contro le 24 pagg. dedicate alla vita morale dei bambini e alle altrettante 24 dedicata alla compassione. Un tema, quest’ultimo, su cui torneremo in maniera approfondita con una recensione del nuovo libro di Matthew Fox, “Compassione": vista stavolta dal punto di vista di un teologo.  


LELE JANDON