venerdì 21 febbraio 2014

Senza Pietà. Come riconoscere i Sociopatici. Domenica al Cineforum del Guado dopo "Strangers on a Train" del Premio Oscar Hitchcock


di LELE JANDON


Torna il Maestro del Brivido al Cineforum Gay del “Guado”. Domenica vedremo ed analizzeremo un thriller psicologico ricco di suspence col divo gay Farley Granger per la regia del Premio Oscar Alfred Hitchcock, alle ore 15.30. Storia di un uomo che si ritrova la vita sconvolta dall'incontro con  uno psicopatico. Ma chi sono, i sociopatici, quelli che ai tempi di Psycho” (1960) di Hitchcock eran detti “psicopatici” e dei quali ho già accennato nel mio articolo http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/allenare-lattenzione-muscolo-della.html)? Lupi travestìti da agnelli: sfasciano coppie (attraverso seduzioni e maldicenze, pel solo gusto di distruggere: sono incapaci d’amare), sfasciano negozi e attività altrui (mediante denunce, pel puro gusto di rovinare le persone: non son capaci di progetti a lungo termine, né di sentirsi parte di una comunità sociale). Esercitano sofisticate forme subdole di mobbing contro i sottoposti, illudono le persone di amarle per poi divertirsi a mollarle in malo magari al telefono, inducono persino al suicidio.
Una scena del thriller "Psycho" (1960) di Alfred Hitchcock.
E attenzione: non sono necessariamente violenti, anzi, i più furbi di loro sanno che conviene farsi degli amici (che magari circondano di regali) per non essere riconosciuti e andare in prigione.   Sono mine vaganti che indossano la maschera giusta per ogni occasioni (pur potendo tradirsi con delle gaffes: incapaci di comprendere il sarcasmo, si danno alla fuga quando qualcuno manifesta emozioni forti, odiano chiacchierare e preferiscono la Tv ad una festa). Non hanno un Io, una personalità, un’identità, eppure possono crearsi articialmente un personaggio e addirittura avere fascino e fans. Cresciuti senza il naturale amore dei genitori e senza la fiducia verso di loro, divengono incapaci di autentica intimità e per loro il sesso è solo usa e getta, impersonale, come un massaggio o un hamburger del fast food. La visione e l’analisi di questo film sarà l’occasione di parlare di questa categoria di persone che possiamo incontrare: se abbiamo già trattato il tema della Creatività, come essenza della nostra umanità e come senso della vita (cfr. il mio Blog http://lelejandon.blogspot.it/2013/12/il-segreto-della-felicita-e-la.html  e http://lelejandon.blogspot.it/2013/10/gay-power-is-creativity-also-when-you.html), stavolta tratteremo il tema della distruttività insensata come essenza della disumanità.


IL PLOT del LIBRO e del FILM
“Cerco il Partner in Crime per un “Delitto Perfetto”: una “Coppia di Delitti” commessi da due “Sconosciuti” uno per l’altro…”

Ecco la trama del film e del libro dond’è ispirato. campione di tennis Guy (Farley Granger di “Nodo alla Gola” da noi visto al Cineforum Gay del “Guado”) odia sua moglie e vorrebbe liberarsene in qualche modo…
Per caso, un giorno in treno si ritrova davanti, suo malgrado, Bruno, un suo ammiratore che lo riconosce ed attacca bottone.
Questo fan si mostra molto ben informato sia sulla vita professionale che privata di Guy e, dopo che questi ha rivelato una sua debolezza (l’odio per la moglie), gli fa una proposta indecente: io potrei far fuori tua moglie, tu mio padre. I sociopatici, infatti, cercano subito le debolezze del prossimo per i sfruttarle a proprio vantaggio (o talvolta per il solo gusto di rovinare le persone).Insomma, Bruno è alla ricerca di un perfetto partner in crime per compiere uno scambio di omicidi, una “coppia di delitti” (Patricia Highsmith, “Sconosciuti in treno”, traduzione italiana di Ester Danesi Traversari, Bompiani – Corriere della Sera, Milano 2012, pag. 49 e 94) sarebbe un “delitto perfetto” (“Sconosciuti in treno”, pag. 64 e 111), come nell’omonimo capolavoro di Hitchcock: nessuno saprà mai che i due si siano mai conosciuti ed entrambi avranno un alibi.
Guy non pensa che il suo compagno di viaggio parli sul serio, sinché sua moglie viene strangolata in un lunapark.
Guy viene interrogato dalla polizia e, dal momento che non ha un alibi verificabile, viene sorvegliato.
Bruno (che si rivelerà essere un alcolizzato) non tarda a far sapere a Guy che si attende di vedersi ricambiato il “favore”…
Guy rifiuta di vederlo, ma Bruno lo ricatta: “E se io dicessi che mi hai pagato…”


E’ il primo romanzo della Highsmith, l’autrice della serie di Mr Ripley,
la regina del noir e del thriller psicologico


Patricia Highsmith (1921 – 1995), al suo esordio, fu onorata di vedere scelto il proprio romanzo (di cui leggeremo alcuni passi) che non aveva avuto un gran successo di lettori. Nata da genitori divorziati pochi giorni prima che lei nascesse, verrà cresciuta da una nonna. In un romanzo ha anche tratto ispirazione dal suo rapporto di amore-odio per la madre, che, secondo lei, avrebbe tentato di abortirla.
Si è laureata al Barnard College in lettere.
Ha vissuto dal 1963 sino alla morte in Europa, soprattutto in vita ritirata nella sua casa ad Aurigeno, nel Canton Ticino (anche se non per ragioni fiscali: ha sempre mantenuto la cittadinanza americana). E’ diventata la regina del thriller psicologico e del noir ed in particolare famosa per la serie di romanzi (inaugurata nel 1955 con “The Talented Mr. Ripley”) con protagonista il sociopatico Tom Ripley, portato anche al cinema da Anthony Minghella nel film coi Premio Oscar Matt Damon e Gwyneth Paltrow.
I suoi romanzi sono ricchi di riferimenti sottintesi e sofisticati all’omosessualità dei suoi personaggi.

FARLEY GRANGER,
il bel divo di “Rope” e di “Senso” di Visconti
si dichiarò gay in un libro col compagno

Un primo piano dell'attore californiano Farley Granger (1925 - 2011).



Farley Granger in "Senso" di Visconti.
Farley Granger (1925 – 2011) è californiano di San José.

Il padre lavorava nell’ufficio di collocamento di Hollywood e così ebbe contatti con degli attori che misero il giovane Farley in contatto con degli agenti cinematografici: ottiene il primo ruolo nel 1943.

Aveva già lavorato con Hitchcock, sempre in un ruolo da protagonista interpretando lo studente assassino (accanto a John Dall) in Nodo alla Gola” (1948, ispirata alla storia vera della coppia gay Leopold e Loeb da noi visto al Cineforum Gay del “Guado”, con un approfondimento sul tema della “folie à deux”). Per lo spettatore moderno è intuitivo che la coppia legata da questa follia a due sia gay, ma Hitchcock deve evitare la legge sulla censura (cfr.  Theodore Price, “Hitchcock and Homosexuality”, Scarecrow 1992).


Il giudizio della critica sulla sua interpretazione in "Stranger on a Train" è unanimemente positivo.
IL COMING OUT. L'autobiografia.

Ha avuto un ruolo (quello del Maggiore Harriman) anche nel western comico di Enzo Barboni Lo chiamavano Trinità (1970) e in Senso” (1954) di Luchino Visconti (1906 – 1976) accanto ad Alida Valli (1921 – 2006) che era stata protagonista del film di Hitchcock “Il caso Paradine” (1947).

Dopo un’ultima apparizione in un film del 2004, nel 2007 ricompare in pubblico per promuovere la sua autobiografia, Include me out, scritta a quattro mani col compagno, Robert Calhoun.

E’ scomparso ad 85 anni per cause naturali. 

****

L’elogio del collega Truffaut:
“Maestro, Lei è Unico nel Suo genere”

François Truffaut (1932 - 1984) intervista Hitchcock. 

Citiamo alcuni passi sui retroscena del film  dal classico “Il Cinema secondo Hitchcock” di Francois Truffaut (edizione definitiva, il Saggiatore, Milano 2008, edizione originale francese “Hitchcock. Editions définitive”, Gallimard, Paris 1993, prima edizione italiana Nuova Pratiche Editrice 1997).

Truffaut: “Credo che se qualcun altro avesse filmato la stessa sceneggiatura non ne sarebbe uscito niente di buono. E’ molto normale, altrimenti come è possibile che tutti quelli che fanno dei thriller credendo di farli come Hitchcock falliscono immediatamente?”
Hitchcock: “La mia più grande fortuna è di avere avuto il monopolio di questa forma di espressione. A nessuno interessa studiarne le regole.” (pag. 162)

Hitch: “Vi spiego perché quelle inquadrature sulle rotaie
che ad un certo punto si sdoppiano…”

REGISTI. Truffaut fu regista attore,
sceneggiatore e produttore francese. 

Nel film vediamo inquadrare le rotaie, così come vediamo spesso inquadrate le porte girevoli nel film “Sliding Doors” del regista Peter Howitt (ispirato ad un’idea del cineasta polacco Krzysztof Kieślowski), col Premio Oscar Gwyneth Paltrow.

Truffaut: “Tutti ammirano molto la tecnica narrativa de “L’Altro Uomo” (che è l’altro titolo con cui “Delitto per Delitto” è noto in Italia, ndr), “le carrellate sui piedi in un senso o nell’altro, poi le inquadrature sulle rotaie. Le rotaie che si congiungono poi si divaricano sono un po’ un simbolo, allo stesso modo delle frecce direzionali all’inizio di “Io Confesso” (il film con Montgomery Clift, ndr); “a lei piace iniziare i film con questo tipo di effetti…”

Hitchcock: “Le frecce direzionali esistono a Québec e le usano per le strade a senso unico. Ne “L’altro Uomo” le immagini delle rotaie erano la continuazione logica del movimento dei piedi; in pratica, non potevo fare altrimenti."
Truffaut: “Ah, sì? Perché?”

Hitchcock: “La macchina da presa rasentava le rotaie perché non potevo alzarmi, non dovevo, non volevo sino al momento in cui i piedi di Farley Granger e di Robert Walker” (i due protagonisti, ndr) “si urtano nello scompartimento.”

Truffaut: “Ah, sì! E’ giusto, perché i piedi che si urtano per caso danno inizio alla loro relazione, Bisognava mantenerla sino a questo punto la decisione di non mostrare i loro volti; ma queste rotaie suggeriscono anche l’idea delle strade che divergono.”

Hitchcock: “Naturalmente; non è un disegno affascinante? Si potrebbe studiarlo molto a lungo”.

Il RETROSCENA: La rischiosa Scena Finale
“Così ho ricreato la giostra che si rompe: un modellino ingrandito sul trasparente...”

Hitchcock: “L’uomo del lunapark, l’omino che striscia sotto la piattaforma della giostra impazzita, ha veramente rischiato la vita. Se avesse alzato la testa di cinque millimetri sarebbe rimasto ucciso e non me lo sarei mai perdonato. Non rifarò mai più una scena di questo tipo.”
Truffaut: “ma quando la giostra si rompe?”
Hitchcock: “Qui era un modellino. Quando la giostra si rompeva era un modellino ingrandito sul trasparente con le comparse dinanzi allo schermo”.
(pag. 164)

Truffaut: “Si avverte con molta chiarezza che la sua preferenza andava al cattivo”
Hitchcock: “Naturalmente, senz’alcun dubbio” (pag. 166)

Ecco i passi-clou del romanzo d’esordio
della scrittrice gay texana:
“Quel non so che di degenerato 
su quel volto di età indefinibile…”

di PATRICIA HIGHSMITH

“Il giovane di fronte a lui sembrava indeciso se iniziare una conversazione o farsi un sonnellino. (…) Era un volto interessante, anche se Guy non sapeva spiegarsene il perché. Non sembrava né giovane né vecchio, né intelligente né del tutto stupido. Tra la fronte stretta e sporgente e la mascella appuntita, il viso s’incavava con un che di degenerato, specie intorno alle labbra sottili e più ancora negli alvei bluastri delle palpebre. La pelle era liscia come quella di una fanciulla, chiara come la cera, quasi che tutte le sue impurità fossero state assorbite da quel bitorzolo spuntato sulla fronte. Guy si rimise a leggere per qualche minuto. La lettura lo interessava e sembrava alleviare la sua ansia. Ma a che ti serve Platone con Miriam? Domandava una voce dentro di lui. La stessa cosa s’era chiesto a New York, ma aveva ugualmente portato il libro, un vecchio testo liceale di filosofia, una concessione a sé stesso a compenso forse di quel viaggio che faceva per Miriam. Guardò fuori del finestrino e, scorgendo la propria immagine riflessa, si aggiustò il colletto ripiegato. Era sempre Anne ad aggiustarglielo. Di colpo si sentì smarrito senza di lei. Cambiò posizione, urtò per caso il piede allungato del giovane che dormiva e l’osservò affascinato battere le ciglia e poi aprire gli occhi. Quegli occhi iniettati di sangue sembrava avessero continuato a fissarlo anche attraverso le palpebre.”



 PPatricia Highsmith, “Sconosciuti in treno”,
Bompiani - Corriere della Sera, Milano 2012, pagg. 9 - 10)


I sottintesi omosessuali del romanzo:
Guy in treno legge e cita il gay Platone
Nell’Ottocento si citavano Autori omo nelle conversazioni fra sconosciuti: un linguaggio cifrato per intendersi


Il protagonista del romanzo legge Platone durante il viaggio in treno. Come racconta lo storico inglese Graham Robb nel suo libro “Sconosciuti. L’amore e la cultura omosessuale nell’Ottocento (Carocci, Roma 2005, titolo originale “Strangers. Homosexual Love in the 19th Century”, 2003), che curiosamente s’intitola come il nostro film, nelle conversazioni fra appunto persone che non si conoscevano ancora era d’uso citare parole magiche come “Socrate” od autori classici come Platone od altre parole-chiave per capire, con questo linguaggio comune, se l’altro era gay: “La cultura comune a uomini e donne gay era uno strumento vitale di comunicazione” (pag. 157 e sgg).

Il legame morboso/platonico di Bruno:
benché Guy non sia suo amico,
egli lo ama “come un caro fratello”!
LEGAME MORBOSO. Una scena di "Nodo
alla gola" di Alfred Hitchcock, da noi visto al
Cineforum del "Guado": un caso di "folie
à deux
". 

Ed infatti, benché Guy non voglia fare amicizia con lui, Bruno svilupperà un legame morboso con lui: un legame, appunto, “platonico”. Dapprima, Bruno si firmerà nelle sue lettere “il suo amico” (pag. 49) e poi “il tuo amico e ammiratore” (pag. 106), poi, quando Guy mette in chiaro il suo disinteresse in una lettera (“non comprendo la sua lettera e, di conseguenza, il suo interesse per me. Io la conosco molto poco, ma abbastanza per essere sicuro che non abbiamo nulla in comune su cui basare la nostra amicizia”, pag. 115), Bruno “cominciò a piangere”: “si sentiva avvilito come se fosse scomparsa una persona cara” (pag. 116). E poi: “Non c’è nulla che non farei per lui! Mi sento molto legato a Guy, come a un fratello!” (pag. 267).
Ma Guy, ad un certo punto, si rende conto di essere consimile a Bruno: “era come Bruno. Non ne aveva avuto la sensazione di quando in quando e, come un vigliacco, non aveva mai voluto ammetterlo? Non sapeva che Bruno era come lui? E perché dunque Bruno gli era piaciuto? Amava Bruno. Bruno aveva preparato ogni centimetro della strada per lui, e tutto sarebbe andato bene perché tutto andava bene a Bruno. Il mondo era fatto per la gente come Bruno” (pag. 156).



Il passo: “Bene e male coesistono nello stesso individuo"

             di PATRICIA HIGHSMITH

“Pensò a sua madre e sentì che non le avrebbe più potuto permettere di abbracciarlo. Rammentava che lei gli aveva detto che tutti gli uomini sono buoni perché tutti hanno un’anima, e l’anima è buona. Il male, diceva, viene sempre dall’esterno. E questo lui aveva sempre creduto, anche quando avrebbe voluto uccidere Steve, l’amante di Miriam. Questo aveva creduto anche in treno, quando avrebbe voluto leggere Platone. Dentro di lui, il secondo cavallo della biga aveva sempre obbedito come il primo. Ma ora pensava che l’odio e l’amore, il bene e il male, esistessero l’uno accanto all’altro nel cuore umano, e non in proporzioni diverse in questo o quell’individuo, ma tutto il  male e tutto il bene. Bastava cercarne un po’, dell’uno e dell’altro, per trovarlo tutto, bastava scalfire un po’ la superficie. Tutte le cose hanno il loro opposto, a ogni decisione si oppone una ragione, a ogni animale un altro animale che lo distrugge, il maschio ha la femmina, il positivo il negativo. La disintegrazione dell’atomo è la sola vera distruzione, un’infrazione alla legge universale dell’unità. Nulla può esistere senza il suo opposto che gli è legato. Potrebbe esistere lo spazio in un edificio senza gli oggetti che lo limitano? Potrebbe esistere l’energia senza la materia, o la materia senza l’energia? Materia ed energia, la cosa inerte e quella attiva, una volta considerate opposte, sappiamo ora che sono una cosa sola.
E Bruno, lui e Bruno. Ciascuno era quello che l’altro non aveva scelto di essere, il sé stesso che respingeva, che credeva di odiare, ma forse in realtà amava.
Per un po’ credette d’impazzire e pensò che anche la pazzia e il genio spesso si sovrappongono. Ma che vita mediocre conduce la maggior parte della gente!
No, c’era quel dualismo di cui è permeata la natura fino ai più piccoli protoni ed elettroni, nell’interno dell’indivisibile atomo. La scienza studiava ora il modo di disintegrare l’elettrone e forse non ci sarebbe riuscita perché dietro di esso forse c’era solo un’idea: l’unica e sola verità, che l’opposto è sempre presente. Chi mai sapeva se gli elettroni fossero materia o energia? Forse Dio e il Diavolo che ballano dandosi la mano intorno a ogni singolo elettrone”

Patricia Highsmith, “Sconosciuti in treno”, pagg. 189 - 190



Padre Martin Luther King: ha ragione Platone
C’è qualcosa di malvagio anche nel migliore di noi


Quando la Highsmith scrive "dentro di lui, il secondo cavallo della biga avrebbe sempre obbedito come il primo", il riferimento letterario e filosofico è al mito platonico della Biga Alata del dialogo "Fedro". 
Anche Padre Martin Luther King (1929 – 1968), nell’indicare le buone ragioni del perdono cristiano, la pensava così (cito dalla raccolta di sermoni “La forza di amare”, collana “La scala di Giacobbe”, fondata da Aristide Vesco, edizione italiana a cura di Padre Ernesto Balducci, SEI, Torino 1968, prima ediz. it. 1967, titolo originale “Strength to Love”, Harper & Row 1963): “Dobbiamo riconoscere che l’azione malvagia del vicino-nemico non esprime mai interamente tutto ciò che egli è. Ciascuno di noi è in qualche misura una persona schizofrenica, tragicamente divisa in sé stessa. (…) Qualcosa dentro di noi ci spinge a concordare con Platone che la personalità umana è simile ad un cocchiere che guida due cavalli, testardi, ciascuno dei quali vuole andare in una direzione diversa. (…) Vi è qualcosa di buono anche nel peggiore di noi, e qualcosa di malvagio anche nel migliore; quando ce ne rendiamo conto, siamo meno inclini a odiare i nostri nemici” (pag. 79).




Il Mito della Biga Alata citato dalla Highsmith:
"L'Anima è come una coppia di cavalli
guidati da un Auriga..."

di PLATONE


1    [246 a] [...] Dell’immortalità dell’anima s’è parlato abbastanza, ma quanto alla sua natura c’è questo che dobbiamo dire: definire quale essa sia, sarebbe una trattazione che assolutamente solo un dio potrebbe fare e anche lunga, ma parlarne secondo immagini è impresa umana e piú breve. Questo sia dunque il modo del nostro discorso. Si raffiguri l’anima come la potenza d’insieme di una pariglia alata e di un auriga. Ora tutti i corsieri degli dèi e i loro aurighi [b] sono buoni e di buona razza, ma quelli degli altri esseri sono un po’ sí e un po’ no. Innanzitutto, per noi uomini, l’auriga conduce la pariglia; poi dei due corsieri uno è nobile e buono, e di buona razza, mentre l’altro è tutto il contrario ed è di razza opposta. Di qui consegue che, nel nostro caso, il compito di tal guida è davvero difficile e penoso. Ed ora bisogna spiegare come gli esseri viventi siano chiamati mortali e immortali. Tutto ciò che è anima si prende cura di ciò che è inanimato, e penetra per l’intero universo assumendo secondo i luoghi forme [c] sempre differenti. Cosí, quando sia perfetta ed alata, l’anima spazia nell’alto e governa il mondo; ma quando un’anima perde le ali, essa precipita fino a che non s’appiglia a qualcosa di solido, dove si accasa, e assume un corpo di terra che sembra si muova da solo, per merito della potenza dell’anima. Questa composita struttura d’anima e di corpo fu chiamata essere vivente, e poi definita mortale. La definizione di immortale invece non è data da alcun argomento razionale; però noi ci preformiamo il dio, [d] senza averlo mai visto né pienamente compreso, come un certo essere immortale completo di anima e di corpo eternamente connessi in un’unica natura. Ma qui giunti, si pensi di tali questioni e se ne parli come è gradimento del dio. Noi veniamo a esaminare il perché della caduta delle ali ond’esse si staccano dall’anima. Ed è press’a poco in questo modo.

2    La funzione naturale dell’ala è di sollevare ciò che è peso e di innalzarlo là dove dimora la comunità degli dèi; e in qualche modo essa partecipa del divino piú delle altre cose che hanno attinenza con il corpo. Il divino è [e] bellezza, sapienza, bontà ed ogni altra virtú affine. Ora, proprio di queste cose si nutre e si arricchisce l’ala dell’anima, mentre dalla turpitudine, dalla malvagità e da altri vizi, si corrompe e si perde. Ed eccoti Zeus, il potente sovrano del cielo, guidando la pariglia alata, per primo procede, ed ordina ogni cosa provvedendo a tutto. A lui vien dietro l’esercito degli dèi e dei demoni ordinato in undici [267 a] schiere: Estia rimane sola nella casa degli dèi. Quanto agli altri, tutti gli dèi, che nel numero di dodici sono stati designati come capi, conducono le loro schiere, ciascuno quella alla quale è stato assegnato. Varie e venerabili sono le visioni e le evoluzioni che la felice comunità degli dèi disegna nel cielo con l’adempiere ognuno di essi il loro compito. Con loro vanno solo quelli che lo vogliono e che possono, perché l’Invidia non ha posto nel coro divino. Ma, eccoti, quando si recano ai loro banchetti e festini, salgono [b] per l’erta che mena alla sommità della volta celeste; ed è agevole ascesa perché per le pariglie degli dèi sono bene equilibrate e i corsieri docili alle redini; mentre per gli altri l’ascesa è faticosa, perché il cavallo maligno fa peso, e tira verso terra premendo l’auriga che non l’abbia bene addestrato. Qui si prepara la grande fatica e la prova suprema dell’anima. Perché le anime che sono chiamate immortali, quando sian giunte al sommo della volta celeste, si spandono fuori e si librano sopra il dorso del cielo: e l’orbitare del cielo le trae attorno, cosí librate, ed esse [c] contemplano quanto sta fuori del cielo.

3    Questo sopraceleste sito nessuno dei poeti di quaggiú ha cantato, né mai canterà degnamente. Ma questo ne è il modo, perché bisogna pure avere il coraggio di dire la verità soprattutto quando il discorso riguarda la verità stessa. In questo sito dimora quella essenza incolore, informe ed intangibile, contemplabile solo dall’intelletto, pilota dell’anima, quella essenza che è scaturigine della [d] vera scienza. Ora il pensiero divino è nutrito d’intelligenza e di pura scienza, cosí anche il pensiero di ogni altra anima cui prema di attingere ciò che le è proprio; per cui, quando finalmente esso mira l’essere, ne gode, e contemplando la verità si nutre e sta bene, fino a che la rivoluzione circolare non riconduca l’anima al medesimo punto. Durante questo periplo essa contempla la giustizia in sé, vede la temperanza, e contempla la scienza, ma non quella [e] che è legata al divenire, né quella che varia nei diversi enti che noi chiamiamo esseri, ma quella scienza che è nell’essere che veramente è. E quando essa ha contemplato del pari gli altri veri esseri e se ne è cibata, s’immerge di nuovo nel mezzo del cielo e scende a casa: ed essendo cosí giunta, il suo auriga riconduce i cavalli alla greppia e li governa con ambrosia e in piú li abbevera di nettare.

4    [248 a] Questa è la vita degli dèi. Ma fra le altre anime, quella che meglio sia riuscita a tenersi stretta alle orme di un dio e ad assomigliarvi, eleva il capo del suo auriga nella regione superceleste, ed è trascinata intorno con gli dèi nel giro di rivoluzione; ma essendo travagliata dai suoi corsieri, contempla a fatica le realtà che sono. Ma un’altra anima ora eleva il capo ora lo abbassa, e subendo la violenza dei corsieri parte di quelle realtà vede, ma parte no. Ed eccoti, seguono le altre tutte agognanti quell’altezza, ma poiché non ne hanno la forza, sommerse, sono spinte qua e là e cadendosi addosso si calpestano a vicenda nello sforzo di sopravanzarsi l’un l’altra. Ne conseguono [b] scompiglio, risse ed estenuanti fatiche, e per l’inettitudine dell’auriga molte rimangono sciancate e molte ne hanno infrante le ali. Tutte poi, stremate dallo sforzo, se ne dipartono senza aver goduto la visione dell’essere e, come se ne sono allontanate, si cibano dell’opinione. La vera ragione per cui le anime si affannano tanto per scoprire dove sia la Pianura della Verità è che lí in quel prato si trova il pascolo congeniale alla parte migliore dell’anima [c] e che di questo si nutre la natura dell’ala, onde l’anima può alzarsi. Ed ecco la legge di Adrastea. Qualunque anima, trovandosi a seguito di un dio, abbia contemplato qualche verità, fino al prossimo periplo rimane intocca da dolori, e se sarà in grado di far sempre lo stesso, rimarrà immune da mali. Ma quando l’anima, impotente a seguire questo volo, non scopra nulla della verità, quando, in conseguenza di qualche disgrazia, divenuta gravida di smemoratezza e di vizio, si appesantisca, e per colpa di questo peso perda le ali e precipiti a terra, allora la legge vuole che questa anima non si trapianti in alcuna natura ferina [d] durante la prima generazione; ma prescrive che quella fra le anime che piú abbia veduto si trapianti in un seme d’uomo destinato a divenire un ricercatore della sapienza e del bello o un musico, o un esperto d’amore; che l’anima, seconda alla prima nella visione dell’essere s’incarni in un re rispettoso della legge, esperto di guerra e capace di buon governo; che la terza si trapianti in un uomo di stato, o in un esperto d’affari o di finanze; che la quarta scenda in un atleta incline alle fatiche, o in un medico; che la [e] quinta abbia una vita da indovino o da iniziato; che alla sesta le si adatti un poeta o un altro artista d’arti imitative, alla settima un operaio o un contadino, all’ottava un sofista o un demagogo, e alla nona un tiranno.



5    Ora, fra tutti costoro, chi abbia vissuto con giustizia riceve in cambio una sorte migliore e chi senza giustizia, una sorte peggiore. Ché ciascuna anima non ritorna al luogo stesso da cui era partita prima di diecimila anni giacché non mette ali in un tempo minore tranne [249 a] l’anima di chi ha perseguito con convinzione la sapienza, o di chi ha amato i giovani secondo quella sapienza. Tali anime, se durante tre periodi di un millennio hanno scelto, sempre di seguito, questa vita filosofica, riacquistano per conseguenza le ali e se ne dipartono al termine del terzo millennio. Ma le altre, quando abbiano compiuto la loro prima vita, vengono a giudizio, e dopo il giudizio, alcune scontano la pena nelle prigioni sotterranee, altre, alzate dalla Giustizia in qualche sito celeste, ci vivono cosí come hanno meritato dalla loro vita, passata in forma umana. [b] Allo scadere del millennio, entrambe le schiere giungono al sorteggio e alla scelta della seconda vita; ciascuna anima sceglie secondo il proprio volere: è qui che un’anima può passare in una vita ferina e l’anima di una bestia che una volta sia stata in un uomo può ritornare in un uomo. Giacché l’anima che non abbia mai visto la verità non giungerà mai a questa nostra forma. Perché bisogna che l’uomo comprenda ciò che si chiama Idea, passando da una molteplicità di sensazioni ad una unità organizzata dal [c] ragionamento. Questa comprensione è reminiscenza delle verità che una volta l’anima nostra ha veduto, quando trasvolava al seguito d’un dio, e dall’alto piegava gli occhi verso quelle cose che ora chiamiamo esistenti, e levava il capo verso ciò che veramente è. Proprio per questo è giusto che solo il pensiero del filosofo sia alato, perché per quanto gli è possibile sempre è fisso sul ricordo di quegli oggetti, per la cui contemplazione la divinità è divina. Cosí se un uomo usa giustamente tali ricordi e si inizia di continuo ai perfetti misteri, diviene, egli solo, veramente perfetto; e [d] poiché si allontana dalle faccende umane, e si svolge al divino, è accusato dal volgo di essere fuori di sé, ma il volgo non sa che egli è posseduto dalla divinità. [...]



(Platone, Opere, vol. I, Laterza, Bari, 1967, pagg. 752-758)



“La gente, i sentimenti, tutto! Tutto è duplice! Vi sono due esseri in ogni individuo. C’è anche una persona che è esattamente l’opposto di lei, come la parte di lei che non si vede, in qualche posto del mondo, e che la sorveglia, in agguato.” Lo divertiva ripetere le parole di Guy, benché non gli fosse piaciuto udirle, ricordò, perché Guy aveva detto che le due personalità erano anche nemiche mortali, e aveva intesi alludere alle due diverse personalità che c’erano in lui e in sé stesso.”

Patricia Highsmith, “Sconosciuti in treno”, op. cit., pagg. 268 – 269

“Le leggi della società sono lievi in confronto a quelle della coscienza. (…) Aveva scoperto Dio, man mano che andava rivelandosi il suo talento, in quel senso di unità che hanno tutte le arti, e poi nella natura, e infine nella scienza…e in tutte le forze creative e ordinate del mondo. Era convinto che non avrebbe potuto lavorare nella sua professione senza credere in Dio. E dov’era questa fede quando aveva assassinato? Lui aveva abbandonato Dio, ma Dio non aveva abbandonato lui.”

Patricia Highsmith, “Sconosciuti in treno”, op. cit., pag. 187


Il Tema del Doppio (Doppelgänger),
da  Platone a Freud, dalla Highsmith ad Hitchcock...
Nel film viene reso col montaggio parallelo
Pel padre della psicanalisi e gli allievi è l’Es (gl’istinti antisociali) o l’Inconscio (il rimosso o le paure) o l'Ombra (Jung)

Una scena da un remake del film di Hitchcock.  
Per il filosofo greco Platone, come per la scrittrice Patricia Highsmith (1921 - 1995), per il cattolico Hitchcock (1899 – 1980) come per l’ateo Freud (1856 – 1939), l’essere umano è doppio, cioè ha un lato oscuro, che nel caso dello psicanalista austriaco è detto “Es” oppure “Inconscio (o subconscio)”. La duplicità, la doppiezza, caratterizza il rapporto fra i due protagonisti, accomunati da un desiderio che, a livello profondo, è lo stesso per entrambi: sbarazzarsi di qualcuno che ostacola la loro vita.

Secondo Robin Wood (“Hitchcock’s Films Revisited”, Columbia University, New York 1989), “il complesso e sconcertante senso morale di Hitchcock, in cui il bene e il male sembrano essere così strettamente intessuti da risultare praticamente inseparabili (…) insiste sull’esistenza d’impulsi malvagi in ognuno di noi” e la sua opera ci rende “consapevoli, anche se forse solo a un livello inconscio (dipende dallo spettatore), dell’impurità dei nostri stessi desidéri”.
L’inconscio, diceva il padre della psicanalisi, tratta le parole come cose: è esattamente quello che fa Bruno rispetto alla frase di Guy (“vorrei spezzare quel suo collo di serpente velenoso”, grida nell’ira riferendosi a Miriam). E così, dopo l’omicidio, Guy si sente complice e colpevole, come confesserà ad Ann. Scrive la Highsmith: “si rese conto che desiderava proteggere Bruno come se si fosse trattato di sé stesso, come se il colpevole fosse stato lui” (pag. 142).
Un musical a Londra (2014). Foto di Lele Jandon. 
Bruno, dal quale sprigiona il fascino ambiguo dei malvagi che non si pentono nemmeno in punto di morte, è il DOPPIO di Guy: il suo “Mr Hyde” (per citare il capolavoro dello scrittore gay scozzese Robert Louis Stevenson, 1850 - 1894), la parte ove albergano odio e distruttività (Bruno non mostra alcuna tenerezza nemmeno per i bambini: fa scoppiare un palloncino ad un ragazzino, e tratta con ironia persino la madre, l’unica persona alla quale appare legato da un rapporto edipico e quindi morboso).
Dice Truffaut nel suo libro-intervista ad Hitchcock: “Come per “L’ombra del dubbio” (“Shadow of a Doubt”, il thriller di Hitchcock del 1943, ndr) “il film è sistematicamente costruito sul numero due e, anche qui, i due protagonisti potrebbero benissimo chiamarsi con lo stesso nome, Guy o Bruno, perché si tratta chiaramente di un solo personaggio diviso in due” (pag. 166)
Il titolo italiano, “L’altro uomo”, riprede le parole della voce off che s’ascolta mentre scorrono le prime inquadrature.  Sin dall’inizio del film si stabilisce un parallelo fra Bruno e Guy: il montaggio alternato, che mostra ora l’uno ora l’altro, è la struttura di base intorno alla quale s’articola tutta la narrazione. Nel finale, proprio grazie al montaggio parallelo la suspence raggiunge il suo vertice: all’incontro di tennis disputato da Guy fa da controcanto il tragitto di Bruno verso il luna park, in un’affannosa, elettrizzante, intensissima corsa contro il tempo.
Il tema del "doppio" (a partire da un noto film dell’epoca, “Lo studente di Praga”) è stato studiato da Otto Rank (Vienna 1884 – New York 1939, delle cui ricerche sulla creatività parlo nel mio articolo http://lelejandon.blogspot.it/2013/12/il-segreto-della-felicita-e-la.html), allievo di Sigmund Freud (1856 - 1939), nella sua opera Il doppio (Der Doppelgänger) del 1914: quando riaffiora il nostro “doppio”, emerge il rimosso (l'Es, l’Inconscio, la parte sconosciuta di sé) e l’Io (la parte di noi che cerca di conciliare il Super-Io e l'Es) viene sopraffatto dall’angoscia.  
Il suo maestro riprenderà il concetto del doppio di Rank nel suo saggio sul Perturbante (1919), istituendo la celebre contrapposizione heimlich/unheimlich, familiare ed estraneo (tradotto in italiano con l’espressione “perturbante”, intorno a cui ha scritto un saggio lo psicanalista Aldo Carotenuto.
Anche un altro allievo di Freud, lo psicanalista Carl Gustav Jung (1875 – 1861), parla di doppio, anche se usa la parola “ombra”: ciascuno di noi ha una personalità uno (fondata sull’Io) ed una personalità due (fondata sul sé). 
Ci sono almeno due scrittori gay che hanno trattato il tema del doppio nei loro capolavori: Oscar Wilde ne "Il ritratto di Dorian Gray" e Robert Louis Stevenson ne "Lo strano caso del dottor Jeckyll e di Mr Hide". Dorian (di cui ci sono numerose versioni cinematografiche) è scisso, diviso fra bene e male (che nasconde in soffitta assieme al proprio ritratto, specchio della sua anima, di cui infine prova disgusto e che frantuma, autodistruggendosi). Il tema del doppio lo ritroviamo in “Uno nessuno e centomila” e nel “Fu Mattia Pascal” di Pirandello,  nel “Sosia” di Dostoevskij e nel film “Fight Club” con Brad Pitt.
Rank osserva che, presso alcune popolazioni primitive, il timore di ritratti e fotografie è dovuto alla convinzione che l'immagine dell'uomo sia, di fatto, la sua anima e  che potrebbe essere danneggiata da chi se ne impadronisse. La lingua tedesca ha una parola specifica, doppelgänger, per indicare il  sosia, il doppio, la dualità dell’essere: etimologicamente, il vocabolo è composto da doppel (“doppio”) e ganger (“che se ne va”) ed è più comunemente identificato, nella cultura tedesca, con la figura del “gemello maligno”.
La letteratura ha spesso descritto il doppelgänger, la controparte spettrale che alberga nell’animo umano, sopita e minacciosa, con un connubio di fascino e irrimediabile malignità.
L’autrice del libro “Confessioni di una sociopatica” (che analizzeremo più avanti) paragona una donna con cui ebbe una relazione proprio come “una specie di doppio”, il suo “alter ego” (pag. 248).

La dualità dell’Essere come condizione di possibilità del Bene: 
        senza un lato oscuro non saremmo liberi di scegliere

Di questa presunta duplicità dell'animo umano si può dare una interpretazione hegeliana, cioè ispirata al filosofo luterano Hegel (1770 – 1831) il quale vede nel bilanciamento degli opposti e nel superamento (Aufheben) delle contraddizioni la verità ed autenticità: il vero è l’intero. In tale ottica, l’esistenza di due componenti in noi, una orientata al bene, ed un lato oscuro, sono la condizione di possibilità del bene. Altrimenti non saremmo liberi di scegliere fra il bene ed il male. Contro il pessimista Agostino (secondo cui l'uomo appare capace soprattutto di cadere nel male) scriveva il monaco di origine britannica Pelagio (360 - 420) nella sua "Lettera a Demetriade", il suo testo più famoso:


"Non vi sarebbe alcun merito nel perseverare nel bene, se l'uomo non avesse anche la facoltà di compiere il male. Per cui è un bene che possiamo commettere anche il male, perché ciò rende più bella la scelta di fare il bene"

Il Fascino Pericoloso dei Sociopatici:
come riconoscerli, come evitarli
“I più furbi di noi non usano violenza fisica”: 
i passi dal libro di un’anonima Prof

Sono una sociopatica. Grazie a un mix di fattori genetici e ambientali, soffro di quello che oggi gli psicologi chiamano “Disturbo antisociale della personalità”, caratterizzato, secondo il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder), da costante “disprezzo e violazione dei diritti degli altri”, assenza di rimorso, tendenza a mentire e incapacità di adeguarsi alle norme sociali.
M.E. THOMAS (pseudonimo), “Confessioni di una sociopatica
Marsilio, Venezia 2013, pag. 17

Qualcuno crede che i sociopatici incarnino un po’ il prototipo del prepotente. In realtà i sociopatici più intelligenti sanno benissimo che la violenza è sempre controproducente. I sociopatici non opprimono gli altri: li blandiscono. I prepotenti si fanno sempre dei nemici; i sociopatici sanno che conviene molto di più farsi degli amici

Confessioni di una sociopatica”, pag. 218

IL LIBRO APPENA USCITO. 

Il film che vedremo domenica al Cineforum Gay del “Guado” ci dà occasione di unire l'utile al dilettevole e fare un altro approfondimento d'interesse sociale: la figura del sociopatico.
Una donna sociopatica (dapprima autodiagnosticata, poi riconosciuta tale da un esperto citato per nome e cognome) che nel 2008 ha fondato un blog, SociopathWorld.com, visitato da un milione di persone (con FAQ come “i sociopatici sanno di esserlo?” oppure “come rompere una relazione con un sociopatico”: ne parla a pag. 34 del suo libro), ha pubblicato con uno pseudonimo il libro “Confessioni di una sociopatica”, di cui leggeremo vari passi per cercare di capire come possiamo riconoscere questo genere di soggetti, e magari evitarli.
La donna appartiene alla chiesa mormona ( come tutti i mormoni ha studiato alla Brigham Young University, è un’ex avvocatessa che ha lasciato per “noia” la professione, ed ora è una libera docente brillante adorata (con una specie di “culto della personalità”) dai suoi  studenti in un ateneo “non di primissimo piano”.
La sociopatia è un disturbo della coscienza sociale, che colpisce dall’1 al 4 per cento della popolazione, il 20 per cento dei detenuti e (secondo Robert Hare, il 4% dei dipendenti delle grandi aziende americane) e, secondo la Thomas, moltissimi avvocati, specie quelli disposti a difendere coloro i quali han commesso i crimini più atroci (ma non fornisce i dati).
Secondo Piero Petrini, direttore della Scuola dell’accademia di psicoterapia psicoanalitica e responsabile del Centro per i disturbi della personalità dell’Ospedale San Camillo di Roma, interpellato dalla rivista “Mente e Cervello” (n. 108, anno XI, dicembre 2013, pag. 46), “secondo le statistiche i sociopatici sarebbero all’incirca il 3 per centro della popolazione maschile e l’1 per cento di quella femminile: una differenza che forse dipende anche dal fatto che si tende ad assimilare la sociopatia alla violenza fisica, trascurando le altre possibili forme in cui si esprime”.
Ed infatti, il soggetto in questione che ci fornisce la sua testimonianza (ma non dimentichiamo che una caratteristica dei sociopatici è proprio mentire, quindi è lecito diffidare che sia tutto vero ciò che racconta di sé) è proprio una donna che preferisce evitare di commettere violenza, ma solo per evitare di andare in prigione, non per ragioni di principio o di empatia.

“Posso anche comportarmi bene, ma solo per interesse. So anche mostrarmi tollerante, ma non per un ragionamento morale…Il sesso? Un fast food, come una scimmia bonobo”


“Sono un mostro? Preferisco pensare che io e voi occupiamo due posti diversi nell’ampio spettro di colori dell’umanità. (…) La mancanza di approccio emotivo ci rende più razionali e tolleranti. E anche se non abbiamo alcuna spinta morale per comportarci in maniera corretta, possiamo farlo – e lo facciamo- per perseguire i nostri interessi. E’ un po’ quello che càpita con le grandi aziende o le multinazionali. (…) Penso al sociopatico come alla versione umana della scimmia bonobo: fa un sesso frequente, casuale e utilitaristico. L’ambiguità di fondo nella sfera sessuale è uno dei tratti che meglio ci aiutano a capire la psicologia del sociopatico. Non a caso in passato la sociopatia fu ritenuta un disturbo strettamente connesso all’omosessualità o ad altri comportamenti sessuali all’epoca considerati “anormali”
 Confessioni di una sociopatica”, pag. 271


Il riconoscimento di essere una sociopatica proviene dalla lettura di un libro di uno psichiatra che reca come esempio proprio una donna che, come lei, è insegnante di religione alla sua chiesa mormona ed omosessuale (benché la Thomas non si riconosca in un preciso orientamento):

Iniziai a leggere un libro che trovai integralmente disponibile online, scritto dal padre del concetto moderno di psicopatia, il dottor Hervey Cleckey. Nel suo pionieristico libro “La maschera della sanità”, pubblicato per la prima volta nel 1941, Cleckey illustrava il profilo di una personalità che definiva “psicopatica”, ma per cui oggi si preferisce comunemente il termine “psicotico” o “sociopatico”. (…) Secondo Cleckey, gli psicotici sarebbero soggetti antisociali che eccellono nel sembrare sociali (…) Lo psicotico di Cleckey è non solo affascinante e brillante. E’ un maestro di retorica, ed è imperturbabile, capace di mantenere la calma anche sotto pressione. Dietro la sua “maschera di sanità”, tuttavia, è un mentitore, un manipolatore, una persona che non tiene mai in conto i suoi obblighi, senza alcun senso di responsabilità. (…) In più di mezzo secolo di vita, non ho mai letto una descrizione tanto precisa del mio lato sociopatico.”

 “Confessioni di una sociopatica”, pagg. 48 - 49

“E’ come scoprirsi gay: grazie alla mia amica lesbica mi sono documentata sul grande classico del dr. Cleckey (1941)”


Nel suo libro, la Thomas racconta di una sua amica gay (l’esatto opposto di lei in quanto ad intelligenza emotiva) che le suggerì che poteva essere sociopatica: lei le è ancora grata perché così ha scoperto sé stessa.

“Non sapevo allora cosa fosse un “sociopatico” né sospettavo minimamente che lo potessi essere io, finché (…) una mia compagna avanzò questa possibilità. (…) Mi domandò se avessi mai preso in considerazione l’idea di essere sociopatica. Ero veramente felice che ci fosse una parola per definirmi, che non fossi io la sola a essere fatta così. Dev’essere un sentimento simile a quello che prova chi scopre di essere gay: dentro di sé, l’aveva sempre saputo”

  Confessioni di una sociopatica”, pagg. 46 - 47

Ciò che c’insegna questo libro da poco uscito in libreria è che un sociopatico non adotta necessariamente modalità criminali (come nel film di Hitchcock): può essere un imprenditore od un politico di successo nel lavoro (ma non nelle relazioni umane).



Il passo-choc“Ops, mi ero scordata di non avere un Io: 
non riesco a diventare normale”

“Non conta avere una morale. L’importante è avere un’etica. La mia bussola morale artificiale funziona bene, e la maggior parte delle volte mi porta a seguire ciò che la maggioranza delle persone ritiene sia la cosa giusta da fare”

Confessioni di una sociopatica”, pag. 165

Mi ero convinta di essere una persona sensibile. Fingere di conformarmi alle aspettative sociali era diventato così facile che avevo dimenticato che stavo fingendo

Confessioni di una sociopatica”, pag. 175

UN CLASSICO della PSICHIATRIA.

Questo sopra citato è uno dei passi più scioccanti del libro. Attraverso il raffronto con una compagna, la Thomas riconoscere di non avere una personalità: 

“Al college incontrai una ragazza (…) una di quelle persone buone di natura (…) provavo a copiarla, come se quel suo delicato equilibrio di fascino e tenerezza fosse stato qualcosa di costruito (…) ma la verità era un’altra: il suo modo d’essere era il risultato di mille cause…una ricetta che non si poteva ricreare a tavolino. Era fatta così, non fingeva. Lo so perché lessi di nascosto le se lettere private e il suo diario, nel tentativo di capire e di far miei tutti i suoi segreti. Risultato: un bel giorno mi colse in flagrante. Da quel momento non volle più frequentarmi né parlarmi, e lo stesso fecero tutti i miei compagni” (pagg. 173 - 174).

Il sociopatico, dice Howard Kamler, professore della California State University-Northridge, è privo di un Io: di un’identità.





Come riconoscerli:
“Erosione empatica, simulazione, asocialità, 
sesso casuale usa-e-getta”:
verso un destino di autodistruzione…
Platone: tipico del Tiranno è essere senz’amici
E al “Guado”, prima del film, faremo il Test…

Sembra esserci qualche collegamento tra l’empatia e la capacità di comprendere il sarcasmo. (…) Io, per esempio, il sarcasmo non lo capisco mai, al punto che chiunque mi sta intorno rimane interdetto

Confessioni di una sociopatica”, pag. 241

LE CARATTERISTICHE dei SOCIOPATICI.

Ecco le caratteristiche (cfr. pagg. 172 – 174 de “La scienza del male” di Simon Baron-Cohen, Raffaello Cortina editore, Milano 2011, titolo originale americano “The Science of Evil”, USA 2011):

-       inosservanza e violazione delle norme sociali, cioé distruttività e violenza: “compiere atti che sono puniti con l’arresto”
-       cinismo e mancanza d’interesse per gli altri: la Thomas dice “chiacchierare con la gente non mi piace per niente” (Thomas, pag. 222) e racconta di tenersi pronta degli aneddoti curiosi “per sedurre e intrattenere” durante i ricevimenti 
-       megalomania, idee fisse, ossessioni (Thomas, pag. 9)
-       egocentrismo patologico e incapacità di amare (Thomas, pag. 50): punti simili ad un altro disturbo della personalità, il narcisismo

-    mancanza di comprensione (“insight”) nei confronti degli altri (pag. 9, cfr. Simon Baron-Cohen, pag. 57): mentre i normali sono capaci di sintonizzarsi automaticamente sui segnali emotivi degli altri, leggendo inconsciamente il body language, i sociopatici sono costretti ad un faticoso sforzo cognitivo e, in caso di emozioni forti, si danno alla fuga (Thomas, pag. 231)

-   fascino superficiale, atteggiamento manipolativo (ad esempio con la tecnica che la psicologa Martha Stout chiama del “pity play”: farsi giuoco degli altri creando compassione), pag. 49 (cfr. Simon Baron-Cohen, cit., pag. 57)
-  abitudine a mentire, uso di nomi falsi: disonestà, simulazione, camaleontismo, tendenza ad indossare “la maschera giusta per ogni occasione” (come dice il titolo del grande classico del dr. Hervey Cleckey, “The mask of Sanity”, del 1941), pag. 49
CUORI SPEZZATI. I sociopatici lasciano dietro di sé una
lunga scia di cuori spezzati. 

-      inaffidabilità (Thomas, pag. 49): la Thomas racconta dei suoi rimborsi gonfiati e del proprio licenziamento dal suo passato lavoro (pag. 223)
-  inosservanza della sicurezza propria e altrui (esempio: sesso non protetto e irresponsabile).
-       mancanza di rimorso: indifferenza per aver ferito, maltrattato o derubato qualcuno e razionalizzazione dell’avere ferito, maltrattato o derubato qualcuno
-      incapacità di creare legami emotivi duraturi (cfr. Simon Baron-Cohen, cit., pag. 57): vorrei far notare che già il filosofo greco antico Platone, nel suo dialogo “Politéia” aveva indicato nell’assenza di amici una delle caratteristiche del tiranno
-    vita sessuale casuale, impersonale: la Thomas paragona il suo stile di vita sessuale a quello di una “scimmia bonobo” che considera il sesso come un “fast food” o “una caccia” o “un equivalente emotivo di un massaggio” (pagg. 270 – 271)
-        immunità dalla depressione (pag. 30)
-       assenza di obiettivi realistici e a lungo termine (pag. 50)

Guida per i Genitori di Teenagers turbolenti:

Per un adulto non è tanto ovvio pensare che esistano bambini sociopatici…

Confessioni di una sociopatica”, pag. 119


Se tutti i sociopatici sono stati bambini antisociali, non tutti i bambini antisociali divengono sociopatici. E allora ecco i criteri per i genitor: se sussistono tre o più elementi nei 12 mesi precedenti alla vostra diagnosi fai-da-te, allora vostro figlio è disturbato:  
1)    aggressione a persone o animali:
      minacce, intimidazioni o atti di bullismo verso altre persone
      scatenamento di zuffe
      uso di un’arma che può provocare seri danni fisici (un bastone, una bottiglia rotta, un coltello o una pistola)
      crudeltà fisica verso persone e/o animali
      furto in presenza della vittima (rapina, scippo, estorsione, rapina a mano armata)
      costrizione a rapporti sessuali

2)    distruzione di proprietà:
-appiccamento d’incendi con l’intenzione di causare seri danni
-distruzione deliberata di proprietà altrui

3) truffa o furto:
- intrusione nella casa o nell’auto di qualcun altro
- mentire per ottenere vantaggi o favori o per evitare obblighi (raggirare gli altri)
- rubare (per esempio, taccheggio, contraffazione)

4)    gravi violazioni di norme:
-       restare fuori la notte contro la proibizione dei genitori, a partire da prima di aver compiuto i tredici anni
-       allontanarsi di casa di notte
-       assenze ingiustificate da scuola, a partire da prima di aver compiuto i tredici anni


Due esempi di sociopatici portati al cinema sono il personaggio di Norman Bates interpretato da Anthony Perkins nel capolavoro “Psycho” del Premio Oscar Alfred Hitchcock e quello dello yuppie di Wall Street di “American Psycho” interpretato dal Premio Oscar Christian Bale.


Le radici intrafamiliari: genitori anaffettivi
La sociopatica conferma: “desideravo uccidere mio padre”, come Bruno del film
Tale incapacità di legarsi ha una componente ereditaria
(per malfunzionamento del cervello limbico)
E la Teoria di Bowlby predice effetti transgenerazionali

“Posto che esiste, nella mia storia familiare, una certa propensione ai problemi emotivi, penso che la mia predisposizione genetica alla sociopatia abbia ricevuto parecchi stimoli. Io, per esempio, non ho mai potuto imparare a fidarmi di qualcuno. In particolare, l’instabilità emotiva dei miei genitori m’insegnò che, per ricevere protezione, non potevo fare affidamento su nessuno, e che perciò dovevo dipendere solo da me stessa”

Confessioni di una sociopatica”, pag. 93

La diagnosi di psicopatia si deve concentrare su un concetto chiave, la malvagità innata (…) Lo psicotico non può redimersi; è un soggetto pericoloso che si pone per natura al di fuori della società, e perciò dev’essere isolato o bandito

Karen Franklin, ricercatrice in Etica della Psicologia giuridica
"VANNO ISOLATI". La posizione della psicologa americana
Karen Franklin sui sociopatici. La ricercatrice ha studiato,
fra le altre cose, anche le radici sociali
della  violenza antigay (hate crimes, crimini dell'odio). 

Nel suo libro “La scienza del male” (Raffaello Cortina editore, Milano 2011, titolo originale americano “The Science of Evil”, USA 2011), Simon Baron-Cohen, professore di Psicopatologia dello Sviluppo a Cambridge, in Gran Bretagna, illustra la sua teoria dell’empatia: noi tutti ci troviamo in uno spettro dell’empatia, che va da un massimo ad un minimo. Il grado zero-negativo di empatia lo hanno il comune i borderlines (come Marylin Monroe), i narcisisti e, appunto, gli psicopatici (o sociopatici): i tipi B, i tipi N ed i tipi P. A livello cerebrale, il circuito dell’empatia è ridotto nei soggetti al grado zero. Il grande scienziato ebreo fa partire la sua ricerca dalla Shoah: “come possono gli esseri umani trattare gli altri come oggetti? Come possono spegnere i loro naturali sentimenti di compassione per un altro essere umano che soffre?” (pag.2).
GLI ESPERIMENTI SULLE SCIMMIE SENZA MAMME.
Harry Harlow con una delle sue cavie: le scimmie fatte
crescere contronatura, senza l'affetto della madre, divengono
aggressive. 
E menziona anzitutto John Bowlby, psicanalista e psichiatra infantile alla Tavistock Clinic di Londra ha sviluppato la sua teoria sull’attaccamento (cfr. Simon Baron-Cohen, “La scienza del male”, Raffaello Cortina Editore, Milano 2012, pagg. 59 - 61) nel suo libro “Forty-four Juvenile Thieves” (1944) in cui cercava nella deprivazione genitoriale le radici della delinquenza giovanile, prendendo in esame 44 giovani psicopatici anaffettivi: fiducia ed amore (attaccamento primario sicuro) sono fondamentali per lo sviluppo del cervello, senza di essi i danni cerebrali sono “quasi irreversibili”. A Cambridge, lo psicologo Harry Harlow (1905 - 1981, dell’Università del Wisconsin) ha svolto esperimenti (oggi eticamente discutibili) sulle scimmie fatte crescere senza madre e così divengono aggressive. La teoria dell’attaccamento di Bowlby è “straordinaria perché predice effetti transgenerazionali” (Baron-Cohen, cit., pag. 61).
Ebbene, la famiglia della Thomas è disfunzionale: i genitori hanno un “amore incostante”, che non la fa sentire protetta (pag. 88), le fanno pesare ogni sua debolezza. Un giorno, i genitori (un po’ come nel film “Mamma ho perso l’aereo”) “dimenticano” lei ed il fratello (che anch’esso crescerà disturbato) al parco (pagg. 80 – 81).

LA MASCHERA di PSYCHO. Una scena del film "American Psycho", con
protagonista Christian Bale.
La madre le fa sentire addosso il peso del rimpianto di non aver potuto inseguire i suoi sogni di carriera come attrice fallita.
Il padre pare interessato soltanto alla propria immagine pubblica, la picchia (pag. 168), senza che lei ne capisca il senso e ciò non fa che accrescere il suo odio ed una “rabbia freddissima”. Un’altra volta, lei si chiude in bagno ed il padre sfonda la porta pur sapendo di ferirsi la mano (pag. 103). Infatti, proprio come il personaggio di Bruno del film “Sconosciuti in treno” di Hitchcock, anche lei odia suo padre e come lui sogna di ucciderlo:
IL FASCINO PERICOLOSO dei SOCIOPATICI.
Christian Bale in "American Psycho".

“Il primissimo sogno ricorrente che riesco a ricordare era di ucciderlo a mani nude, e quelle scene di violenza erano sempre incredibilmente eccitanti: io che gli sbattevo una porta in testa dieci, cento, mille volte, con un sorriso malefico, finché non cadeva a terra, immobile”

M. E. Thomas, “Confessioni di una sociopatica”, pag. 85


“Spesso i sociopatici sono stati abbandonati o trascurati da bambini, dal punto di vista materiale o anche solo da quello emotivo”, dichiara Pietro Perini a “Mente e cervello” (pag. 51). “La sociopatia ha una forte componente ereditaria, e sono ragionevolmente sicura che sia legata ad un malfunzionamento cerebrale. Possiamo dire che in questi soggetti le aree del cervello connesse all’attaccamento, come il sistema paralimbico, funzionano meno rispetto alle persone normali”, dice Martha Stout alla stessa rivista di psicologia e neuroscienze. 
PREMIO OSCAR. Il Premio Oscar Christian Bale nel film
"American Psycho".
Negli ultimi vent’anni, gli psichiatri hanno individuato una dozzina di varianti genetiche. Nei sociopatici l’amigdala è più piccola, fra l’amigdala e la corteccia prefrontale (l’area in cui si prendono le decisioni, fra le altre cose) sono più scarse che nelle persone normali, ed inoltre presentano un corpus callosum più lungo e sottile a separare i due emisferi sicché tali soggetti possono trasferire le informazioni fra i due in maniera più celere.
Intanto, Jean Decety, neurobiologo dell’University of Chicago, sta studiando perché le aree del cervello prefrontale dorsolaterale e prefrontale ventromediale (che elaborano il giudizio morale) non funzionino nella mente dei sociopatici che non sentono mai né disagio né disgusto dinanzi ad atti contro la società.

“Sono come un virus, come uno squalo, come un predatore, un’orca assassina, come un topo che divora gli uccelli, come Achille la Bestia”: così la sociopatica descrive sé stessa e la propria disumanità
“Schadenfreude e Volontà di Potenza”


La sua è una Wille zur Macht, per usare le parole di un’altra persona disturbata, lo scrittore Nietzsche (1844 – 1900), una volontà di potenza che nasce dal rapporto malato col padre: “tutto ciò che imparai sul potere, l’ho imparato da mio padre. Gran parte del nostro rapporto consisteva in una sottile lotta per il potere” (pag. 99): “siamo tutti in lotta per il potere!” (pag. 153). Così descrive la sua insensata Schadenfreude: “Devo avere una valvola di sfogo, perciò rovino le persone. Non è illegale, è difficile da provare, e mi permette di esercitare la mia volontà di potenza quanto basta” (pag. 247). “L’unica cosa che mi sazia è entrare nella testa di un’altra persona e, pian piano, combinare più disastri che posso: essere cattiva, terrorizzarla senza nemmeno avere un progetto preciso. Distruggere è bello perché è qualcosa di raro, ricercato” (pag. 244). “Nel profondo del cuore” (che lei definisce “questo cuore di ferro, questo ordigno nietzschiano”, pag. 227) “io sento di essere essenzialmente Volontà, Necessità e Azione” (pag. 228).

Inoltre, dice di essere convinta che la sociopatia sia un “dono” ed un “vantaggio” perché è sempre sicura di sé: “grazie alla sociopatia non ho mai avuto paura di parlare in pubblico” (pag. 190), “un’altra tipica virtù dei sociopatici è la facilità con cui parlano a braccio” (pag. 191: nella stessa pagina, accenna al particolare stile di apprendimento che avrebbero tali soggetti).
Vediamo quali sono le immagini, le similitudini con cui la sociopatica del libro da noi preso in esame paragona sé stessa: una auto-animalizzazione paradossale, dato che lei chiede di non essere giudicata (troppo) male.
Dopo essersi detta simile ad una “scimmia bonobo” che considera il sesso come un “fast food” o “una caccia” o “un equivalente emotivo di un massaggio” (pagg. 270- 271) per via delle sue abitudini sessuali (sesso frequente, casuale, anonimo e utilitaristico) aggiunge altre immagini che ne sottolineano la disumanità, quando per esempio dice: “sono come un animale esotico: bello a vedersi, ma guai a dimenticarsi quanto può essere pericoloso” (pag. 127), “noi siamo lupi in mezzo alle pecore” (pag. 205). “La Nuova Zelanda sino all’arrivo degli esseri umani era popolata quasi esclusivamente da uccelli” che “occupavano ogni posto della catena alimentare”, “ma poi, nel Tredicesimo secolo, arrivarono gli esploratori polinesiani, e con loro i topi”. 
FALSI AMICI. 
“Nella sua lotta per la sopravvivenza, l’uccellino s’impegnava a non muovere un muscolo, con l’unico risultato di essere mangiato in un boccone”. “Non mi sono mai identificata con l’uccellino (…) Io sono il topo” (pagg. 181 – 182)
O per esempio quando dichiara “mi sento come Achille” (pag. 173), il personaggio spietato dell’Iliade di Omero che la scrittrice Christa Wolf (1929 – 2011) chiamava “Achille la Bestia”; “ero un virus, sempre alla ricerca di un organismo ospite da sfruttare a dovere” (pag. 176), oppure ancora, dinanzi ai compagni credenti che “porgono l’altra guancia”: “eravamo tutti parte di una catena alimentare, e visto che loro avevano già scelto il proprio ruolo- le vittime, quelli nati per subire- gli unici spazi disponibili erano quelli in cima alla piramide, tra i predatori, quelli nati per agire. Non mi posi mai il problema se quello che facevo fosse giusto o sbagliato, così come uno squalo non s’interrogherebbe mai su quanto sia morale andare a caccia delle sue prede” (pag. 157).
“Sono una predatrice. Molti predatori hanno un comportamento simile, il surplus killing, l’uccisione di una preda senza che ci sia la necessità immediata o una qualsiasi utilità nel farlo. Avete mai visto uno di quei video in cui c’è un’orca assassina che azzanna una preda, la sbatte a destra e a sinistra e poi l’abbandona lì così senza mangiarla? E’ un meccanismo di sopravvivenza: chi lo fa è più aggressivo, e i predatori più aggressivi sono quelli che sopravvivono e procreano” (pag. 126).
Un’altra immagine letteraria è quella che richiama uno dei misteri irrisolti dell'universo: “I sociopatici sono come la materia oscura, in quanto, tipicamente, teniamo nascosta l’influenza che abbiamo sul prossimo” e “Io mi accorgo delle reazioni che provoco negli altri, e perciò mi dico: “Ecco, se le guardo in questo modo, le persone si spaventano”. La coscienza che ho del mio Io è fatta di milioni di queste piccole osservazioni, e l’insieme di questi particolari va a comporre un ritratto di me stessa, un po’ nello stile del pointillisme” (pag. 178, una cui variante è il divisionismo del pittore Segantini, 1858 - 1899).
Un’altra volta ancora, dice di essere “una domatrice di leoni” (pag. 199) e “un’attrice” (pag. 224).
Per quanto riguarda la sua appartenenza alla chiesa mormona (sulla cui storia controversa e sui cui limiti abbiamo parlato al Cineforum Gay del “Guado” in occasione del film “Latter Days”), senza voler dare troppo spazio ai suoi deliri, ci basti sapere che la sociopatica del libro non è una vera credente, ma è “religiosa” nelle pratiche esteriori (pag. 180): “la mia religione è stata una buona copertura” (pag. 154) ed è “un credo che si adatta moltissimo alla mia idea megalomane secondo cui mi spetterebbe un vero e proprio destino divino” (pag. 147). La preghiera l’ha aiutata a sviluppare la coscienziosità: l’autocoscienza di essere per così dire priva di una coscienza morale.


L’autrice del saggio “Il sociopatico della porta accanto”: “Recitano il giuoco di farsi compatire, 
ma sono privi di empatia”


Questi soggetti giuocano a creare compassione, quello che hanno fatto non è mai colpa loro: se siamo di fronte ad una persona che mette sistematicamente in atto un comportamento di questo tipo, e tratta gli altri in modo scorretto, è possibile che si tratti di un sociopatico

MARTHA STOUT, psicologa statunitense
Autrice del saggio “The Sociopath Next Door
a proposito del “pity play
alla rivista di psicologia e neuroscienze “Mente e Cervello” (cit., pag. 48)

Ma pericolosa è la “normalizzazione” di questa condizione patologica:

“Se le persone si rendessero conto di cosa significhi trovarsi di fronte a qualcuno che è fisiologicamente incapace di provare sentimenti anche per le persone che gli sono più vicine penso che cambierebbero idea. Si tratta di una condizione diffusa, più della schizofrenia o dell’anoressia: in Nord America possiamo definire sociopatica una persona su quattro. Ed è molto triste, oltre che difficile da capire.”

Martha Stout alla rivista di psicologia e neuroscienze “Mente e Cervello” (cit., pagg. 48 – 49).

GLI PSICHIATRI
Minkowski: è l’Empatia che ci rende Umani
E Baron-Cohen: urge Riforma in Psichiatria
Classificare i "Disturbi dell'Empatia"


Tralasciamo qui sia i racconti delle relazioni che la Thomas ha avuto con una masochista e con un uomo affetto da sindrome di Asperger, e lasciamo da parte anche le considerazioni pessimiste ed estremiste che la presunta autrice fa sulla natura umana, sugli avvocati e sulle aziende. E tralasciamo anche i cenni alle recenti ricerche che suggerirebbero che i tratti sociopatici potrebbero essere mutati da una buona educazione (pag. 314).

Abbiamo preferito concentrarci sulle caratteristiche che possiamo riconoscere, magari attraverso una socratica maieutica, questi soggetti, e come starne alla larga. Resta il problema sociale di fondo: “Come si fa a impedire ai sociopatici di agire in maniera antisociale?” (pag. 56)
Nel film di fantascienza “Blade Runner” (1982)
del britannico Ridley Scott, i replicanti
sono simili ai sociopatici e possono essere
 individuati
 solo attraverso una serie di domande
emotivamente provocatorie.

Quel che è certo è che, come dice lo psichiatra Eugène Minkowski (1885 - 1972): "La simpatia è quel dono meraviglioso che portiamo in noi di far nostre le gioie dei nostri simili, di farcene penetrare interamente, di sentirci in perfetta comunione, di essere un tutt'uno con essi (...) è quanto c'è in noi di più naturale, di più "umano"  (...) la base stessa della vita sentimentale" ("Il Tempo vissuto. Fenomenologia e Psicopatologia", Rizzoli, Milano 2011, pagg. 68 – 69).

Perciò, come commenta Baron-Cohen, invitando a ripensare la psichiatria, “stupisce che nel curriculum scolastico o genitoriale l’empatia compaia a stento o non compaia affatto e che in politica o negli affari, nei tribunali o in polizia venga considerata raramente, se non addirittura mai” (pag. 132): “la conclusione più ovvia è che il sistema medico e psichiatrico di classificazione richieda a gran voce una categoria chiamata “Disturbi dell’empatia” (pag. 137).






Appuntamento domenica 23 febbraio 
alle ore 15.30 al "Guado"
Conduce LELE JANDON

 NB: Quest'articolo è un'anticipazione (con vari tagli) della Scheda di approfondimento del film 
che sarà distribuita gratuitamente come omaggio al Pubblico in sala. 
Prima del film sottoporrò il Test per calcolare il vostro Quoziente di Empatia comodamente a casa